di Luigi Garbato
Era il 9 aprile 2003 e avevo 14 anni quando ho visto le immagini della statua di Saddam Hussein che veniva abbattuta dai soldati americani e quelle degli iracheni che subito dopo si accanivano sui suoi frammenti. Del resto è sempre così: quando un potere decade cadono anche tutti i suoi simboli. La Sicilia e Caltanissetta naturalmente non fanno eccezione.
Tra il 1848, con i moti insurrezionali, e il 1860, con lo sbarco dei garibaldini e la successiva annessione al Regno d’Italia, Caltanissetta visse una profonda trasformazione in ambito sociale ed economico, ma anche in ambito urbanistico, artistico e toponomastico. In quei dodici anni furono rimossi tutti i simboli del Regno Borbonico, che cedettero il posto al nuovo programma celebrativo del Regno d’Italia. Fu così che la Villa Isabella, realizzata tra il 1821 e il 1828, venne ribattezzata Villa Amedeo e, tra il 1870 e il 1874, fu decorata con i busti dei patrioti d’Italia realizzati dagli scultori Michele Tripisciano (il busto di Vittorio Emanuele II) e Giuseppe Frattallone (i busti di Foscolo, Garibaldi, Mazzini, Rossini e Bellini). Busti – insieme a quello di Frattallone realizzato da Lo Verme e alla fontana con l’Amorino – che speriamo possano essere restaurati al più presto dando seguito al progetto del Lions Club finanziato con il bilancio partecipativo del 2018.
In questa sede però vogliamo approfondire la storia di due monumenti che andarono distrutti in occasione dei moti del 1848. Si tratta della statua su basamento di Ferdinando I, che dava il nome all’attuale piazza Garibaldi (allora appunto Ferdinandea), e la statua su basamento di Francesco I, figlio di Ferdinando, posta di fronte alla chiesa di S. Agata al Collegio, attualmente interessata dai lavori di ripristino dell’originario colore bianco delle specchiature. Entrambi i monumenti furono realizzati da Valerio Villareale (1773-1858), campione del Neoclassicismo siciliano, ritenuto comparabile per abilità e bellezza delle opere al celebre Antonio Canova.
Le due statue furono erette nel 1832 per suggellare lo stretto legame tra i nisseni e i regnanti borbonici. Caltanissetta infatti era stata elevata a città Capovalle nel 1818, così poté affrancarsi definitivamente dal giogo feudale della famiglia Moncada che la governava sin dagli inizi del Quattrocento. L’anno successivo – nel 1819 – il Decurionato di Caltanissetta decretò di sostituire la statua in stucco del re Ferdinando I, posta nell’attuale piazza Garibaldi, con una nuova statua in marmo. I moti del 1820, la morte di re Ferdinando e l’ascesa al trono di Francesco I rallentarono la realizzazione della scultura alla quale si aggiunse anche la seconda in onore del nuovo sovrano.
Prima di proseguire può essere utile forse fare un breve riassunto del quadro storico in cui si inseriscono le nostre vicende: nel 1734 Carlo III di Borbone sottrasse la Sicilia al dominio austriaco degli Asburgo, costituendo così il Regno di Sicilia separato dal Regno di Napoli. I Borbone avevano fissato la capitale del Regno a Napoli ma dimorarono in Sicilia solo per due lunghi periodi: tra il 1798 e il 1802, in seguito all’invasione delle truppe francesi guidate da Napoleone, e tra il 1806 e il 1815 a causa della seconda invasione napoleonica. Le sedi siciliane in cui risiedevano i sovrani erano la splendida Palazzina Cinese nel Parco della Favorita di Palermo, la Real Casina di Caccia nel bosco della Ficuzza, e gli appartamenti reali nel Palazzo dei Normanni di Palermo, sede ufficiale del re in Sicilia. La presenza del sovrano nell’Isola, dapprima attesa e benvoluta, divenne ben presto mal tollerata, soprattutto dopo il 1816. In questa data infatti re Ferdinando unificò i due regni in un unico Regno delle Due Sicilie, con capitale a Napoli, e ritirò la Costituzione siciliana promulgata nel 1812, con la quale era stato abolito il feudalesimo. Il crescente malcontento dei siciliani nei confronti dei reali borbonici generò ben tre grandi rivolte, nel 1820, nel 1837 e nel 1848. In occasione dei moti furono distrutte numerose statue spagnole e borboniche, come quella di Carlo II di Spagna a Messina, realizzata da Giacomo Serpotta (fig. 1), quelle di Ferdinando I, Francesco I e Ferdinando II realizzate da Antonio Calì a Catania, infine le sculture del Foro Borbonico di Palermo (fig. 2).
Abbiamo visto sopra che, nonostante gli eventi del 1816, Caltanissetta era rimasta fedele al potere borbonico grazie al titolo di Capovalle che le era stato riconosciuto nel 1818. Due anni dopo però la statua di Ferdinando era stata abbattuta durante i moti, dunque si decise di provvedere a erigere le due state in questione, inaugurate appunto nell’aprile del 1832.
Le statue di Caltanissetta erano entrambe ispirate al modello di Antonio Canova: i sovrani, in posa eretta su un basamento, erano raffigurati con sembianze eroiche, all’antica. Canova tra il 1800 e il 1819 aveva ritratto Ferdinando in veste di Minerva o di Pericle, con l’elmo alla greca sul capo, il braccio destro sollevato, la lorica riccamente decorata e il mantello panneggiato. La statua (fig. 3) fu collocata nel 1821 all’interno del Real Museo Borbonico, attuale Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Se per il ritratto dei due sovrani Villanova si rifece al modello canoviano, più fantasiosa è la composizione delle lastre dei basamenti.
La bellezza dei due monumenti però durò pochi anni: nel 1848, quando i moti iniziarono a scoppiare nel resto dell’Isola, fu ordinato di coprire le statue per proteggerle da eventuali atti vandalici che però si verificarono ugualmente. Le statue furono abbattute poi danneggiate; alcune cronache del tempo raccontano che la testa di una delle due statue fu fatta rotolare per le strade della città. I resti furono seppelliti nel luogo in cui si trovavano i due monumenti, ma oggi non restano che le due lapidi dei basamenti. Ritrovate durante i recenti lavori di ristrutturazione dell’ex rifugio antiaereo della salita Matteotti dai tecnici del Comune e della Soprintendenza, le due lapidi mostrano tutta la bravura dello scultore Valerio Villareale e ci danno una pallida idea della bellezza che avrebbe dovuto caratterizzare anche le due figure dei sovrani. Su una lapide (fig. 4) erano raffigurati un cane accovacciato, a simboleggiare la fedele città di Caltanissetta, e due monete greche di cui una con la scritta ΝΙΣΑΙΩΝ (NISAION); sull’altra lapide (fig. 5) invece vi erano lo stemma turrito della città con la dedica al sovrano e due cornucopie intrecciate colme di frutti e cereali.
Dopo un attento restauro curato dalla dott.ssa Belinda Giambra e finanziato dal Lions Club e dal Rotary Club di Caltanissetta, le due lapidi marmoree saranno collocate – per decisione del Comune e della Soprintendenza – nella sala consiliare di Palazzo del Carmine. Certamente la sede è suggestiva e pertinente, in quanto le opere esaltano l’identità civica nissena, ma a mio avviso penalizza fortemente la fruizione da parte del pubblico dal momento che la sala consiliare è frequentata soltanto dai consiglieri comunali, componenti della Giunta e poche altre persone. Anche se le sedute del Consiglio comunale sono aperte al pubblico, permangono le difficoltà di accesso alla sala, pertanto non credo essa sia la sede ideale per esporre questi capolavori ritrovati.
Si tratta infatti di autentiche opere d’arte che oltre a essere apprezzate per la loro bellezza estetica costituiscono anche un importante documento storico della città e meritano pertanto di essere ammirate e conosciute da tutti i cittadini. Personalmente vorrei che fossero esposte nelle sale di Palazzo Moncada che – dopo l’incontro online dello scorso 12 gennaio – sarà interessato nel futuro prossimo da lavori di adeguamento per trasformarlo in una sede museale. L’esposizione a Palazzo Moncada potrebbe essere anche solo temporanea, naturalmente per un periodo di tempo abbastanza lungo e adeguato per favorire la massima fruizione da parte del pubblico, e poi collocare definitivamente le due opere all’interno della sala consiliare. In un sondaggio che ho lanciato informalmente su Facebook sono state proposte però altre sedi: il cortile della Biblioteca Scarabelli, l’atrio del Teatro Margherita, l’ex rifugio antiaereo. Insomma, chiedo ancora una volta a Comune e Soprintendenza di rivedere la loro scelta e di valutare una sede più idonea alla valorizzazione delle due lastre marmoree per “promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura” (art. 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Oggi pomeriggio alle 18.30 ci sarà un evento online organizzato dall’Assessorato della Cultura nella persona di Marcella Natale e l’architetto Daniela Vullo, Soprintendente per i Beni culturali e ambientali di Caltanissetta, che dialogherà con la giornalista Lavinia D’Agostino. L’evento sarà in streaming dalla pagina Facebook Assessorato alla Cultura Comune di Caltanissetta nell’ambito del progetto “Caltanissetta c’è. Cultura” (clicca qui per l’evento).
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