di Giulio Scarantino
La condizione di migrante è il racconto centrale nell’ultimo album Manzamà dei Fratelli Mancuso – co-prodotto da Squilibri editore ed 802 records– tra lacrime, sogni e paura. Tra malinconia e vissuto, morte e speranza, discesa e ascesa alla vita. E’ un vorticoso viaggio nella tempesta dei sentimenti, di chi è migrante in movimento o da fermo, dallo spazio o dal tempo, migrante dalla vita o dalla morte. In un album senza confini. Nei brani si susseguono lacrime siciliane, lamenti e preghiere, ma se chiudi gli occhi nei raffinati arrangiamenti puoi scorgere la vita. Di terre lontane tra i Balcani e lo stretto di Gibilterra, di pizzichi arabeggianti, di saudade sud americana e ascetismo asiatico, tutte unite nella grande famiglia della lingua della musica popolare, suono imprescindibile dell’anima e dell’emozione. Anche grazie a quello che Enzo Mancuso descrive come “tracce che inconsapevolmente riaffiorano, riverberazioni che anche da terre lontane si ricongiungono a livello carsico o sotterraneo”.
La contaminazione di terre lontane si confondono con il dialetto siciliano, quel paese che i Fratelli Mancuso si “portano a presso come il guscio di una lumaca” e che è il risultato delle dominazioni succedutesi nella storia del nostro popolo. Tanto da poter inserire quasi inosservato il bano “Animi”, con un elenco di nomi in lingua araba. Proprio in quest’ultimo brano i Fratelli Mancuso affrontano la condizione di migrante che affligge una parte sempre in movimento del nostro pianeta. Si tratta delle Anime che ormeggiano nell’oceano, ricordate con suoni e voci quasi trascendentali nel brano, per un paese che ha poca memoria.
Enzo Mancuso ha descritto così il brano: “Questa canzone vuole affrontare un tema così grande e così tragico nella maniera meno retorica possibile. Noi abbiamo in tutti questi anni notiziari pieni di cronaca, di storie, di fatti drammatici, ci siamo così assuefatti che non ci fa più impressione sapere del destino di tante persone. Volevamo con questo brano dare un segno preciso e semplice, attraverso la ripetizione dei nomi portare alla nostra coscienza, alla nostra memoria questo impegno di attenzione continuo e poterlo fare con il canto significa anche collegare parte della nostra coscienza e della nostra memoria con la parte più emozionale più profonda e affettiva della nostra sensibilità. Perché cantare significa mettere a nudo la propria anima per parlare delle anime, delle persone che non ci sono più. Attraverso questo modo, attraverso il canto, credo sia il modo più giusto, il modo più anti retorico. Ci abbiamo provato e ci ha dato una grossa mano Aldo Giordano che ha arrangiato il brano in maniera pregevole.”
Nell’album trova spazio anche la condizione di migrante vissuta dai due cantautori siciliani, emigrati prima a Londra e poi stabilitisi in Umbria, che portano ancora una ferita che non si è rimarginata nel distacco con la propria madre terra: “Il rapporto con la Sicilia è sempre stato di odio e amore, io sempre uso questa metafora – commenta Lorenzo Mancuso- con la Sicilia è come un grande fuoco se stai lontano ti riscaldi se ti avvicini troppo rischi di bruciarti. Sutera, il nostro paese, è sempre il luogo della memoria, il luogo dove da bambini conoscevamo tutte le strade e le pietre e i balconi, dove abbiamo avuto i primi amori, le prime delusioni, i primi sogni per scappare ed andare via perché volevamo fare qualcosa di diverso. Insomma Sutera è tutto il nostro mondo, ma vogliamo starne lontani.”. Il paese de “li suonni”, come si intitola uno dei brani, dove in fondo ad una via come in una favola puoi trovare tutto il mondo sognato.
Però come commenta Enzo Mancuso: “I paesi cambiano, i paesi si trasformano, si avvicendano generazioni che pian piano scompariranno quello che rimane a volte sono le case, le macerie, il paesaggio e la lingua, fino a quando ci sarà qualcuno che la parla, e in quella lingua c’è davvero il paese e quello te la porti appresso come il guscio di una lumaca.” Proprio il dialetto e l’utilizzo della voce, nonostante la continua sperimentazione e ricerca dei Fratelli Mancuso, resiste nei suoni contenuti dall’album Manzamà, che non tradisce chi li conosce e li ha sempre seguiti. La resistenza della musica, delle emozioni, che non lascia il passo agli stravolgimenti elettronici dei suoni di oggi. Forse perché è in quel suono che i Fratelli Mancuso continuano a vivere la loro terra, nella commistione tra poesia e canto, o più semplicemente come commenta Lorenzo Mancuso: “nell’emozione che è la madre di ogni cosa, nel nostro caso quando cantiamo insieme è una cosa così profonda quasi ancestrale che emerge con la voce nel canto che in qualche modo ci fa sentire non due fratelli ma uno solo che batte in quel momento”.
Nell’album oltre alla collaborazione con Aldo Giordano e la 802 records, preziosa è stata anche la collaborazione con Franco Battiato che ha arrangiato alcuni dei brani: “è stata una persona veramente generosissima, non ha fatto nulla per emergere lui o togliere a noi lo spessore del brano, ha cercato di dare soltanto un’impronta che coprisse con la parte degli archi quelle cose che secondo lui ancora non erano pronte per essere registrate.”. Eppure il tocco delicato di Franco Battiato si percepisce nell’ascolto profondo dei brani, ma ciò che colpisce al primo approccio con l’album è la coralità del lavoro, la complessità e pienezza dei suoni, la dettagliata cura di ogni elemento, frutto della smisurata creatività dei tanti artisti e compositori, oltre a quelli già citati anche Marco Betta, German Diaz, Ferruccio Spinetti e Giovanni Sollima.
L’album è stato pubblicato a settembre con la casa editrice e discografica Squilibri editore in collaborazione con la casa discografica 802 records, con un libretto che contiene anche i dipinti dell’artista Beppe Stasi. Nonostante abbia già ricevuto tantissime recensioni e primi riconoscimenti da riviste specializzate, a causa della pandemia però non è stato ancora presentato fisicamente.
Proprio del destino della musica dopo la pandemia i Fratelli Mancuso esprimono grande incertezza:
“Stiamo accumulando parecchia vita dentro di noi, non sappiamo fra qualche tempo come tutta questa vita, questa riflessione, viaggio interiore, uscirà fuori, in quale forma, come si trasformerà in atto creativo, collettivo durante un concerto? – commenta Enzo Mancuso- noi non lo sappiamo, sarà una bella sfida, immaginare che possa essere facile tutto questo non è detto. Chi ha scelto come lavoro quello di esprimere il proprio vissuto ha questo responsabilità non so come saremo capaci a riprendere il filo. Non è così scontato. Stiamo parlando naturalmente di questo tipo di musica. “. Anche se Lorenzo Mancuso prova ad essere fiducioso: “Siamo cambiati già in un anno, siamo cambiati perché siamo isolati, non ci possiamo esibire abbiamo bisogno di andare in scena per confrontarci con la madre di tutto che è l’emozione, è cambiato tutto perché è naturale, ma la musica avrà sempre la forza di rappresentare questo grande e terribile momento.
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