di Enrico Lipani
La nostra incapacità di prevedere gli eventi, implica la nostra incapacità di prevedere il futuro. Per questo motivo, non mi sento di fare nessuna considerazione sulla (eventuale) ripresa economica delle nostre imprese nissene. Inutile lambiccarsi il cervello con la produzione di stime sulla data di ritorno alla “normalità”. Non siamo capaci di prevedere nemmeno cosa succederà fra un mese.
Neanche la scoperta del vaccino, che è un bel regalo di natale, ci permetterà di stabilire una data di ripartenza. E nel frattempo, per le imprese nissene, la tempesta continuerà inesorabilmente. La dura verità è che molte realtà imprenditoriali, che hanno chiuso durante i vari lockdown, non risorgeranno più. E mi dispiace tanto.
Ma permettetemi di fare un’osservazione, sperando di non far storcere il naso a qualcuno (lo dico senza presunzione): le imprese nissene (non tutte, ma quasi tutte) prima della pandemia, presentavano già i sintomi di un paziente moribondo. Erano già in “modalità sopravvivenza”: i fondatori lavoravano duro, facevano sacrifici e sforzi, ma alla fine i risultati non arrivavano (o erano poco significativi). Il loro umore oscillava tra lo stress e la noia, provando un senso di smarrimento che portava a poca lucidità nei momenti salienti in cui dovevano “decidere” come fare per sbarcare il lunario. E ve lo dico in qualità di consulente d’impresa, che quotidianamente, lavorando gomito a gomito con imprenditori, riscontra in continuazione decisioni discutibili e controproducenti per l’azienda e il suo futuro.
Pochi hanno costruito solide basi per gestire un’azienda in situazioni d’emergenza, mentre molti si sono limitati a convivere con la cecità legata a “verranno tempi migliori”. Ciò che voglio dire è che la pandemia e la scarsa cultura imprenditoriale del territorio nisseno, hanno semplicemente evidenziato l’incapacità nel gestire situazioni complicate. A scanso di equivoci chiarisco che ho il massimo rispetto e stima per colui o colei che ce la mette tutta per mandare avanti la bottega (e che nonostante ciò viene spazzato fuori), ma è giusto dire che un conto è avere il coraggio di salire sul ring dell’imprenditorialità, e un altro conto è agire bene per restarci a lungo.
La scarsa managerialità e capacità d’innovazione è una delle cause della perdita di competitività da parte delle aziende nissene, che inibisce il potenziale di crescita. Il Covid ha solo sollevato queste carenze. Ad esempio: quante aziende hanno un “fondo emergenza” su cui fare affidamento in caso di crisi? Quasi nessuna.
La maggior parte, essendo, come dicevo prima, in “modalità vivacchiare”, hanno la liquidità sufficiente per “respirare” solo per due mesi (molte anche meno). Ora immaginate cosa significhi per queste aziende la seconda ondata pandemica o la terza… Nel post Covid, non mi sorprenderebbe se molti imprenditori mettessero a dieta la propria impresa, tagliando i costi, riducendo le dimensioni dell’organico e snellendo le attività aziendali nel tentativo di trovare, appunto, “nuovo ossigeno” in casa. Ma questa cura, tuttavia, raramente conduce ad un futuro roseo per l’azienda in crisi. Quindi che fare ? Nessuno ha ricette pronte all’uso (sia chiaro), ma durante la tempesta, incassare la testa fra le spalle non è la soluzione. Perché ? Perché c’è gente che dinnanzi ad un disastro finanziario o alle insolvenze e alle conseguenti umiliazioni si scoraggia e non riesce più a tirarsi su.
Allora, per evitare di mettere in vendita l’azienda o nel peggiore dei casi, di chiudere bottega, è necessario avviare una svolta radicale per adattarsi al nuovo contesto competitivo. Bisogna spogliarsi di vecchie convinzioni e ritirarsi da mercati non più attraenti, infrangendo strutture di management incrostate e fare upskilling per conquistare nuove terre. Non a caso, coloro che in questo periodo hanno colto la possibilità di cambiamento, (modificando l’architettura del proprio business attraverso lo smart working, l’apertura di canali e-commerce o la nascita di nuovi servizi online), gode di un vantaggio competitivo superiore rispetto a chi ha deciso di rimanere ancorato ai paradigmi di business che strutturalmente non funzionano più. Il Dna vincente delle aziende post covid è un dna costruito con investimenti di tempo e denaro per generare asset digitali, fisici e intellettuali. E non mi sorprende, perché dal punto di vista economico, le aziende pagate per pensare, organizzare, ampliare il loro know-how, sono sempre quelle più pronte a navigare le tempeste. Faccio un passo in avanti e prendo in considerazione un elenco di caratteristiche salienti che trovi dentro la scatole nera di queste aziende eccellenti:
1. TRASFORMANO I DATI IN VALORE; la necessità di raccogliere dati (attraverso dashboard) per analizzare la situazione così incerta del covid, ha permesso a queste aziende di essere già pronte ad affrontare un mercato in cui i dati, sono fondamentali per prendere la decisione giusta;
2. SONO “PURPOSE DRIVEN”;
Hanno sia uno scopo profondo (“brand activism”) più ampio della semplice ricerca del profitto, sia un ambiente che favorisce un rapporto orizzontale (“olocrazia”) e non gerarchico tra i dipendenti e il top management. Questo permette la creazione di un movimento culturale e una maggiore agilità organizzativa;
3. SONO SEMPRE IN MODALITÀ “SPERIMENTAZIONE CONTINUA”:
Per rimanere al passo con l’innovazione, sfidare i cambiamenti di scenario ed evitare di rimanere ingessati da strutture organizzative obsolete. Tale capacità permette loro di avere un asset che va aldilà del parametro successo o fallimento: acquisiscono, durante e dopo il covid, una curva di apprendimento ed esperienza in grado di far impallidire i competitor che hanno aspettato i “ tempi migliori”;
4. HANNO UNA CULTURA BASATA SULLA FIDUCIA E SULL’AIUTO RECIPROCO :
Nei momenti di difficoltà è proprio questo che funge da collante per la costruzione di team compatti e con un senso profondo di missione (il futuro è di chi “dona” e non di chi “prende”);
5. SONO DIGITALMENTE MATURE: fanno largo uso di tecnologie, algoritmi, dati e sicurezza informatica, stimolando i dipendenti ad acquisire competenze innovative. In questo modo evitano di perdere treni importanti per la crescita; Naturalmente ci sono altre caratteristiche, che non inserisco per non dilungarmi, ma questo elenco è già sufficiente per avere un’idea di chi nel 2021 (o di chi nei prossimi anni) rimarrà a galla. Saranno queste imprese che aumenteranno le proprie quote di mercato, che cresceranno e che raccoglieranno i frutti di chi gioca d’anticipo.
Non le altre. E le imprese nissene? Da che parte staranno?
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