di Carlo Vagginelli (Segretario Circolo PD Guido Faletra)

ll 12 novembre del 1881 un incidente verificatosi nella miniera di Gessolungo causò la morte di 65 minatori. Tra le vittime vi erano anche 19 bambini, “carusi” per meglio dire. Si trattava di ragazzini che sin dall’età di sette anni venivano assoldati per lavorare all’interno degli stretti cunicoli delle miniere di sale e zolfo, trasportando carichi che potevano arrivare anche ad 80 chili.I genitori di quei bambini, vinti da un’antica e insopportabile miseria, affidavano i loro figli ai picconieri e venivano retribuiti con la formula “a soccorso morto”. Si trattava di un sistema molto simile allo schiavismo: la famiglia riceveva una somma che si aggirava intorno alle 150 lire e che andava riscattata con il lavoro del bambino. Quest’ultimo, però, veniva “pagato” pochi centesimi al giorno e ciò rendeva praticamente impossibile l’estinzione del debito.La giornata lavorativa poteva durare anche sedici ore, che venivano trascorse all’interno dei cunicoli della miniera, senza vestiti per l’altissima temperatura che si raggiungeva lì dentro. La fatica, l’assenza di luce e le terribili condizioni di lavoro era causa di malattie e di frequenti incidenti. Dei diciannove bambini morti il 12 novembre del 1881, nove sono rimasti senza nome e senza identità, come tanti di ragazzi che troppo spesso perdono la vita nel cuore del nostro Mediterraneo. Il cimitero dei carusi ricorda ancora oggi quella tragedia.

A partire da quel giorno si moltiplicarono le forme di assistenza e di sostegno ai lavoratori e alle loro famiglie. Attorno all’Istituto Testasecca e all’Istituto Calafato presero vita le forme di welfare, gli stessi minatori iniziarono a organizzarsi. Pochi anni dopo nacque il movimento degli zolfatari.Questa vicenda ci dice tanto del valore del lavoro e del suo legame inscindibile con i diritti e la dignità delle persone. Si tratta quindi di una storia estremamente attuale. Ancora oggi, del resto, ci sono lavoratori e lavoratrici che domandano rappresentanza, condizioni di lavoro più dignitose, retribuzioni più giuste. Sono ragazze e ragazzi che alternano disoccupazione e precarietà, sono donne con stipendi sistematicamente più bassi di quelli dei loro colleghi, sono persone che dopo anni di fatica hanno perso lavoro e reddito o rischiano di perderli. Sono lavoratrici e lavoratori sfruttati da mille forme di caporalato, nei campi, nell’edilizia, nel commercio, nei trasporti.Accade ovunque, anche qui a Caltanissetta.

Pochi mesi fa un ragazzo della nostra città è stato ucciso per aver difeso dei suoi connazionali dallo sfruttamento. La società civile si è mobilitata, ha espresso solidarietà con la vittima e con la sua comunità, ma troppo rimane ancora da fare.Noi del PD l’abbiamo detto più volte: serve una legge regionale contro il caporalato, servono misure sul trasporto e l’alloggio dei lavoratori, sulla certificazione dei prodotti, sull’assistenza e l’integrazione di chi è straniero. Allo stesso tempo servono misure per il buon lavoro, provvedimenti che potrebbero essere adottati anche domani mattina, partendo proprio dalla nostra amministrazione comunale.Penso ad un protocollo per appalti pubblici di qualità, apolitiche attive che favoriscano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, a misure di contrasto al lavoro nero.Insomma, il mondo che abbiamo intorno ci dice che la storia non è finita e che c’è una lotta da portare avanti. Noi proveremo a farlo.