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di Giulio Scarantino
Il 4 Agosto nella capitale libanese una gigantesca esplosione ha spazzato via un pezzo di terra. Così Beirut, “la Parigi dell’ Oriente”, è stata ferita profondamente in un corpo già dilaniato dalla guerra civile durata 15 anni, dal recente crollo del sistema finanziario, dalla corruzione politica, e infine il collasso economico-sanitario dovuto alla Pandemia.
Dall’esplosione che ha sconvolto la terra dei cedri sono passate quasi due settimane, eppure le indagini non hanno ancora chiarito le responsabilità di questa tragedia. Nel silenzio che il mondo globalizzato e in rete riserva alle “Breaking News” consumate, inizia per Beirut un lungo percorso per venir fuori dall’inferno in cui è caduta.
“Beirut si rialzerà, ma non può farlo da sola”.
Queste sono le parole di Elena Sofia Fanciulli, operatrice della Caritas che ha prestato servizio in Libano. Con l’amarezza per il momento vissuto dalla città di Beirut, parliamo della sua esperienza in Libano interrotta soltanto dall’incedere della pandemia.

Perché hai deciso di prestare servizio in Libano?
Ho deciso di prestare servizio in Libano perché credo che ci sia bisogno di alzarsi in piedi e operare per la Pace attraverso gesti concreti, sporcandosi le mani in prima persona, con l’umiltà di chi è un semplice essere umano e con la consapevolezza che anche una piccola goccia può contribuire a cambiare il mondo. La Pace è una scelta, non è un sogno irrealizzabile.
Com’è stata la convivenza con il popolo libanese, cosa ti ha colpito di più?
Sarà che l’arabo è una lingua piena di benedizioni, sarà che in Libano la gente ne ha già passate tante, sarà che il Medio Oriente è una zona di mondo tormentata da una vita e per questo persino le peggiori crisi umanitarie le si affrontano con estrema lucidità e senso di responsabilità. È la resilienza che impregna le biografie delle persone che incontri nella terra dei Cedri. Ciò che mi ha colpito di più è l’accoglienza che ho ricevuto, la volontà di condividere persino un chicco di riso pur di farti sentire a casa nonostante i mille problemi.
Che situazione politica e sociale hai trovato in Libano?
Sono stata in Libano una ventina di giorni, da fine febbraio a metà marzo. Venti giorni potrebbero sembrare pochi, eppure sono stati abbastanza per capire la fragilità in cui verte questo Paese e con esso il Medio Oriente intero. Ho avuto la sensazione di essere come davanti ad un vaso di vetro pieno di incrinature, pronto a sgretolarsi a breve. ‘’Il Libano non è più la Parigi d’Oriente. Se potessi andrei in tribunale contro il governo libanese, contro tutta questa corruzione’’, mi ha detto un ragazzo di Baalbek mentre facevamo colazione insieme, con i suoi occhi neri, profondi e pieni di malinconia. Il Libano è in coma profondo, precipitato in una crisi economica senza precedenti. La classe media libanese è praticamente scomparsa. La lira libanese negli ultimi 8 mesi ha perso l’80% del suo valore. Dallo scorso ottobre si è passati da un tasso di cambio di 1500 per un dollaro a 8000 sul mercato nero. Manca una rete elettrica efficiente, con blackout programmati di circa 12 ore al giorno. La carne rossa è diventata un bene di lusso. Pannolini e latte in polvere hanno raggiunto cifre esorbitanti, portando al verificarsi di rapine addirittura nelle farmacie. Secondo le Nazioni Unite, l’1% della popolazione detiene il 25% della ricchezza. In un paese che ha uno dei debiti pubblici più alti al mondo, il tasso di disoccupazione è al 33% (quello giovanile al 45%). Mai si è arrivati a un punto del genere. A questa situazione si aggiunge una pandemia in forte peggioramento: 5000 i casi totali di Coronavirus ad oggi, che crescono ad un ritmo di 200 al giorno, con un sistema sanitario pubblico inefficiente, che fatica a far fronte anche alle minime necessità. Dalla fine della guerra civile (1975-1990) il Libano ha fatto i conti con l’occupazione da parte di eserciti stranieri e con una ricostruzione post bellica diseguale. Ha vissuto due guerre con Israele, gli anni degli attentati ed infine gli effetti della guerra in Siria, che ha portato all’afflusso di 1,5 milioni di profughi siriani – che si aggiungono ai 500mila palestinesi, in un Paese che ha 5 milioni di abitanti ed è grande praticamente quanto l’Abruzzo. Le tremende esplosioni dello scorso 4 agosto hanno distrutto quartieri interi e lasciato 300.000 persone senza casa, con un numero di morti e feriti che purtroppo continua a crescere. L’aria è tossica e irrespirabile. Beirut ha tolto la maschera al mondo dimostrando il suo vero volto: quello di un pianeta completamente impazzito.
Che tipo di servizio hai prestato? Quali attività hai fatto materialmente?
Il progetto di servizio civile per il quale sono partita si chiama ‘’Giovani impegnati per la Pace in Libano’’, un progetto portato avanti dall’Area Pace e Mondialità di Caritas Roma assieme a Caritas Italiana. Durante i giorni in Libano abbiamo partecipato alle attività organizzate dal Dipartimento Giovani di Caritas Libano. Sono stati giorni in cui abbiamo potuto familiarizzare con il contesto. Il Coronavirus ci ha poi improvvisamente fatto rientrare in Italia e abbiamo cercato di fare il possibile per mantenere la relazione con i nostri colleghi libanesi. Al ritorno in Italia abbiamo messo al centro il valore della testimonianza, scrivendo dossier, articoli e rassegne stampa relativi alla vita quotidiana in questo difficile periodo storico in cui il Coronavirus ha coinvolto il mondo intero. Abbiamo raccolto storie dall’Italia, dal Libano ma anche dalla Siria, dalla Grecia, dal Brasile e da molti altri Paesi. Abbiamo inoltre dato vita ad una Scuola di italiano e arabo online dove per tre mesi ci siamo incontrati per due volte a settimana. Un appuntamento fisso, che ha permesso di rimanere in contatto con chi in quel momento non potevamo incontrare di persona. La relazione che si è creata è comunque forte, abbiamo sentito gli amici libanesi vicini in questo difficile periodo per l’Italia, e il giorno delle tremende esplosioni a Beirut il primo pensiero è stato quello di contattare i ragazzi e le ragazze della scuola per sapere se stessero bene. Abbiamo creato un legame, nonostante tutto. E in questo periodo in cui mi sono sentita confusa, giù di morale e a tratti anche fragile, l’essere riusciti a creare una rete di giovani che ha costruito ponti seppur davanti ad un computer, mi rende felice e speranzosa che se veramente lo vogliamo, un mondo migliore lo possiamo davvero creare. E lo possiamo creare qui ed ora, nonostante gli ostacoli.
Poi il ritorno per la pandemia e il lockdown, hai pensato per un momento che il vostro servizio, tutto ciò che avevate costruito, poteva essere reso vano dall’incombere della crisi sanitaria ed economica per il Coronavirus?
Non ho mai pensato, nemmeno per un attimo, che tutto ciò che il servizio ha reso possibile costruire potesse essere reso vano dall’incombere della crisi sanitaria ed economica per il Coronavirus. Non ho mai smesso di credere che nonostante la distanza potessimo restare uniti e cercare, fin dove e quando possibile, di mantenerci in contatto con chi per venti giorni ci ha accolto come fratelli. Certamente lo stare davanti ad uno schermo ha tolto una grande parte allo ‘’stare’’ che è l’anima del Servizio Civile con Caritas. In ogni caso abbiamo cercato di tirare fuori tutta la nostra creatività per portare avanti il progetto. Questa particolare esperienza mi ha fatto capire che nella vita dobbiamo essere in grado di gestire le circostanze, anche quando esse sembrano essere a nostro più totale sfavore.

“Le tremende esplosioni dello scorso 4 agosto hanno distrutto quartieri interi e lasciato 300.000 persone senza casa, con un numero di morti e feriti che purtroppo continua a crescere. L’aria è tossica e irrespirabile.“
Qual è stata la prima reazione alle tremende immagini di Beirut?
Sgomento. Gli occhi sbarrati e un nodo alla gola. La preoccupazione per chi era là. Il silenzio. Un silenzio durato qualche giorno. La mancanza di parole adatte per descrivere le emozioni provate. L’incredulità, la rabbia e le lacrime. I brividi tutte le volte che riguardo il video nella speranza che non sia realtà.
Si rialzerà il popolo libanese o è necessario l’intervento dell’Europa per far fronte alla tragica condizione del suo popolo?
Il default tecnico dichiarato dal governo ad inizio marzo, per via del mancato pagamento di un Eurobond da 1,2 miliardi di euro, credo sia stata una scelta troppo rischiosa da prendere. Debito pubblico e disoccupazione sono adesso alle stelle e le esplosioni del 4 agosto hanno definitivamente messo il Libano in ginocchio. Il popolo libanese si rialzerà, e si rialzerà come ha sempre fatto. La storia del Libano è la storia di un popolo che si è sempre rimesso in piedi nonostante tutto. Questa volta però ha bisogno di aiuto, non ce la potrà fare da solo.
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