@fotografia di Noemi Iannello
di Carlo Vagginelli
È trascorso più di un mese dal giorno in cui siamo scesi in piazza chiedendo giustizia per Adnan Siddique e verità sulla sua tragica morte. Da quel 12 giugno si sono moltiplicate iniziative volte a tenere alta l’attenzione sul tema del caporalato e del contrasto allo sfruttamento del lavoro.
Il 29 giugno l’ARCI provinciale di Caltanissetta ha presentato il progetto S.I.P.L.A., finanziato dal Ministero del Lavoro e finalizzato ad offrire consulenza, supporto abitativo e sostegno logistico ai lavoratori dell’agricoltura. Il 30 giugno la Casa delle culture e del volontariato, il Mo.Vi. e l’associazione Migranti solidali hanno presentato un appello al Governo e al Parlamento, chiedendo l’estensione delle procedure di emersione del lavoro nero e l’introduzione di norme che facilitino la regolarizzazione dei flussi migratori.
Anche le organizzazioni sindacali sono scese in campo: la CGIL, che si è fatta promotrice della campagna “Isola senza catene”, dimostrando la sua presenza nei luoghi di lavoro e chiedendo il rafforzamento delle misure di contrasto al caporalato.
Insomma, la società civile nissena è in prima fila nel chiedere politiche che garantiscano la dignità del lavoro e fermino la piaga dello sfruttamento. Si tratta di una battaglia doverosa, l’assassinio di Adnan Siddique ha offerto un’ulteriore conferma della condizione inaccettabile in cui versano tante lavoratrici e tanti lavoratori delle campagne nissene. Una conferma non necessaria: già alla fine del 2019 indagini dei Carabinieri avevano dimostrato l’esistenza di un’organizzazione criminale dedita allo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori, persone stipate su furgoni, trasportate nei campi e costrette a lavorare per 12 ore al giorno, con retribuzioni da fame e senza il riconoscimento di alcun diritto, a partire dalla tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.
Ma il caporalato non va circoscritto a dinamiche strettamente criminali, si tratta di un fenomeno che affonda le sue radici in rapporti commerciali strutturalmente segnati dallo strapotere della grande distribuzione, capace di imporre prezzi di acquisto inferiori ai costi sostenuti dai produttori, spinti a recuperare margini di profitto attraverso la contrazione dei salari e il peggioramento delle condizioni di lavoro. La domanda di manodopera a basso costo si incrocia, peraltro, con la vulnerabilità socio-economica di tante lavoratrici e tanti lavoratori, spesso stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello stato e quindi in condizione di ricattabilità.
Il ricorso all’intermediazione illecita diventa quindi il canale attraverso il quale aggregare l’offerta di lavoro, affidando ai caporali il compito di negoziare salari e condizioni favorevoli. Ciò vale per l’agricoltura, come anche in altri settori economici: l’edilizia, la logistica, la cura della persona. A fronte di un quadro così complesso e variegato, la risposta al caporalato non può essere solamente sanzionatoria: serve una politica capace di restituire centralità al lavoro, partendo dalla dignità e dai diritti di chi lavora.
Ciò vale soprattutto nella nostra provincia, una terra caratterizzata da situazioni economiche e sociali di estrema gravità e che per questa ragione rappresenta il contesto più facile nel quale il caporalato può diffondersi e proliferare, come un virus in un corpo malato. La reazione della società civile nissena va quindi sostenuta e incoraggiata anche dalle forze politiche e dalle istituzioni.
Il Partito Democratico sta facendo la sua parte: lo scorso 20 giugno abbiamo promosso un momento di confronto con i cittadini, proponendo un intervento regionale in attuazione delle norme di contrasto al caporalato introdotte nel 2016 e ribadendo la necessità di una riforma della disciplina sull’immigrazione che superi le storture della legge Bossi-Fini. La nostra proposta parte da un concetto semplice e chiare: l’occupazione regolare, stabile, ben retribuita e accompagnata da diritti è capace di generare innovazione e sviluppo. In altre parole, il buon lavoro produce lavoro.
Serve quindi una svolta nelle politiche migratorie, che porti alla luce e sottragga da una condizione di ricattabilità chi vive e lavora senza diritti e tutele. Serve inoltre una legge regionale che faciliti l’incontro regolare tra domanda e offerta di lavoro e che agevoli l’erogazione di servizi essenziali per i lavoratori, a partire dal trasporto e dall’abitazione. Servono indici di congruità capaci di destinare le agevolazioni e i finanziamenti alle imprese con un rapporto tra la quantità e la qualità dei beni o servizi offerti e la quantità delle ore lavorate coerente e adeguato. Occorre potenziare la Rete del lavoro agricolo di qualità ed accrescere il ricorso a certificazioni e bollini etici per le imprese maggiormente meritevoli sotto il profilo della gestione dei rapporti di lavoro, così da sostenere chi si impegna per lo sviluppo e la buona occupazione.
Anche i Comuni e le amministrazioni locali possono svolgere un ruolo importante, ad esempio promuovendo la costruzione di reti imprenditoriali e di filiere produttive corte, o adottando criteri di impiego delle risorse pubbliche che premino le imprese impegnate a mantenere standard elevati sul piano della legalità, della sostenibilità ambientale e della promozione del lavoro di qualità.
Allo stesso tempo sarebbe possibile combattere il lavoro nero attraverso misure penalizzanti nei confronti delle imprese che impiegano manodopera irregolare, a partire dalla revoca delle concessioni di suolo pubblico per le attività commerciali e imprenditoriali che non rispettino le norme in materia retributiva, contributiva e di sicurezza sul lavoro. Il Comune di Napoli, ad esempio, ha adottato un regolamento sull’occupazione del suolo pubblico che va proprio in questa direzione e che rappresenterebbe un buon modello da seguire anche nel nostro territorio.
Molto si potrebbe fare, infine, sul fronte delle c.d. politiche attive per il lavoro, facilitando l’incontro tra domanda ed offerta di occupazione attraverso l’accreditamento del Comune presso l’Albo Regionale degli Operatori per i Servizi al Lavoro, ma anche promuovendo stage e attività formative appositamente destinate a chi si trova in condizioni di difficile occupabilità. Anche in questo caso esistono numerosi esempi positivi da replicare, a partire dagli Sportelli Lavoro del Comune di Milano.
Tutto ciò può servire a promuovere la buona occupazione e lo sviluppo del territorio. Esiste quindi uno spazio enorme per un’iniziativa politica che voglia mettere al centro il lavoro e la dignità di chi lavora. Il Partito Democratico di Caltanissetta è impegnato ad occupare questo spazio con coerenza e determinazione, ribellandosi all’idea per cui le persone che vivono nella nostra terra debbano essere condannate ad un destino di precarietà, emigrazione o sfruttamento.
Nei prossimi mesi proseguiremo la nostra mobilitazione, interloquendo con le parti sociali, con le forze produttive e con il mondo della ricerca scientifica. Lo faremo nella consapevolezza del nostro ruolo, chiamando a raccolta le energie migliori di questo territorio e chiedendo l’aiuto di tante e tanti. Lo faremo, soprattutto, nel nome di Adnan Siddique e dell’idea di giustizia che il suo sacrificio ci ha insegnato.
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