di Ivan Ariosto
Gli Stati Generali, che si apriranno domani a Villa Pamphili, rappresentano l’ennesimo errore di Giuseppe Conte. Non si tratta tanto di un errore di comunicazione, ma di un errore politico.
Per capire meglio i motivi di questa affermazione, però, una premessa è d’obbligo.
L’esperienza istituzionale di Conte è macchiata da un grande peccato originale: quello di non rappresentare nessuno, di essere frutto di una richiesta fatta da M5S e Lega alla vigilia della nascita di quel teatrino che è stato il governo giallo-verde (e forse accettata in modo imprudente dal Pres. della Repubblica).
È innegabile che l’esperienza di Conte sia frutto di un’anomalia solo italiana: al netto di colpi di Stato, infatti, nessun’altra esperienza democratica – a mia memoria – ha mai visto un individuo sconosciuto all’elettorato, ergersi a personalità destinata a presiedere qualsiasi maggioranza configurabile in Parlamento (M5S-Lega prima, M5S-PD dopo).
Per questo l’avvocato del popolo ha cercato disperatamente, in questi ultimi e drammatici mesi, di costruirsi una base politica, un consenso, una legittimazione popolare che – secondo la Costituzione – può derivare nel nostro Paese solo dal voto, e non invece da un numero spropositato di apparizioni televisive a reti unificate nelle quali sciorinare informazioni poco chiare ai cittadini (basti pensare al concetto oscuro di “congiunti”). Quasi a voler affermare la propria immagine, più che la propria voce o il proprio pensiero.
Infatti, un uomo politico è uno che ha un pensiero, che non si mette a chiedere ad altri che cosa deve pensare o che cosa deve fare, ma che – al massimo – istituisce una commissione di esperti al fine di ricavare i giusti dati e le informazioni necessarie per attuarlo. La Commissione Colao, invece, oltre ad essere un organo costituzionalmente non contemplato e di dubbio rilievo giuridico, è sembrata piuttosto una assemblea di esperti a cui delegare la soluzione di una crisi che il Governo Conte sembra non saper fronteggiare. Altrimenti dovremmo credere che nessuno tra chi ci governa abbia mai pensato alle proposte – tra le quali diminuire la burocrazia, investire sulle infrastrutture al Sud, diminuire le tasse sul lavoro – avanzate dalla suddetta Commissione, il che sarebbe ancor più imbarazzante.
Quella Commissione e gli Stati Generali che inizieranno domani rappresentano solo una cosa: un espediente per guadagnare tempo e nascondere una cronica incapacità di decidere.
Il sogno di Giuseppe Conte è la decisione che piaccia a tutti, che non scontenti nessuno e per arrivarci serve tempo, serve rimandare, serve radunare tutti, sentire tutti i tecnici e gli esperti e trovare un compromesso che sia più ambiguo possibile.
È certamente vero che anche la persona al vertice di uno Stato, nei momenti più delicati, ha bisogno di affidarsi agli altri, che siano i membri del suo staff o i tecnici ministeriali. Perché le cose funzionino serve un certo livello di collaborazione, di lavoro di squadra, di fiducia totale.
Tuttavia, per quanto un Presidente possa essere ben assistito e ben consigliato, per quanto possa studiare, per quanto possa valutare con attenzione ogni aspetto e ogni scenario possibile, per quanto possa usufruire di collaborazione, lavoro di squadra e fiducia totale, ad un certo punto deve prendere una decisione e la deve prendere lui, da solo. Ogni decisione comporta dei rischi e la responsabilità di quei rischi deve essere sempre, solo e soltanto sua, anche se alla fine le cose dovessero andare male per colpe di altri. Come dicono negli Stati Uniti: “Il Presidente è l’unica persona che non può fare lo scaricabarile. Il barile resta a lui”.
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