di Mario Nicolò Mattina
Vincenzo Marco Mugavero, in arte VIMA, ha ventisei anni ed è di Caltanissetta, città in cui è tornato temporaneamente a vivere dopo aver vissuto per motivi di studio e lavoro a Torino e Roma.
Dopo il diploma presso l’Istituto Statale d’Arte “F.Juvara” di San Cataldo e aver concluso il suo percorso anche all’Istituto Superiore di Studi Musicali “Vincenzo Bellini” si trasferisce a Torino dove si iscrive al CSC Animazione del dipartimento del Centro Sperimentale di Cinematografia. In questo periodo collabora con il Cab41 caberet, attraverso il quale l’ambiente dello spettacolo inizia a conoscere il suo talento.
Oltre a un talento eccezionale nel disegno e ad una comicità fresca e originale, Marco può contare nel suo bagaglio artistico l’arte del cantare le canzoni che scrive. Ed è in occasione del suo ultimo brano, Supergiugno, (già disponibile su Youtube e Spotify) che lo contatto per fargli qualche domanda.
Supergiugno è una canzone dalla melodia estiva, dallo stile accattivante, ma è solo questo o si cela qualcosa di più profondo?
Sì, hai indovinato. Mi fa piacere che risulti leggera all’ascolto tuttavia dentro c’è una storia complicata, piena di contraddizioni e che è stata difficile da vivere.
Quindi si riferisce ad un evento in particolare…
Esatto. Parla di una storia d’amore finita male, dove il protagonista si auto-immagina, ad un anno di distanza, a ripensare a quegli eventi dolorosi… C’è un po’ di vita vera tra le righe e penso che questo per una canzone sia importante.
Cioè?
Che sia agganciata in qualche modo alla realtà. Senza troppe idealizzazioni di situazioni ipotetiche. Mettere un po’ della propria vita nei testi delle canzoni le rende più vere e penso che questo faccia la differenza e il pubblico lo percepisce.
Pensi che quindi essere delusi e tristi possa aiutare a scrivere qualcosa di bello?
In un certo qual modo sì, ma non c’è solo questo. Ovviamente la sofferenza causata da una delusione d’amore ti facilità di più a scrivere. Però penso che sia altrettanto bello scrivere per chi si ama, ed è un modo anche per alimentare il rapporto, un modo per dire all’altra persona che è sempre una meraviglia averla accanto.
Hai scritto altre canzoni seguendo questi flussi?
C’è da dire innanzitutto che in realtà non scrivo molto. Lo faccio quando accade qualcosa che in qualche modo mi folgora. Poi non sento la necessità di dover scrivere per forza sempre qualcosa. Scrivo quando arriva il momento, cercando di dare ad ogni parola un suo senso, un suo peso ed è quello che penso di esser riuscito a fare con Supergiugno. Raramente mi era successo prima, anche perché si può dire che sono all’inizio di questa avventura.
Facciamo un passo indietro. Tu dopo il diploma decidi di trasferirti a Torino per continuare gli studi artistici. Nel frattempo entri in contatto con il Cab41 cabaret con cui collabori in vari spettacoli comici. Quando Marco capisce che la musica è la sua strada?
Avviene attraverso un incontro dopo uno spettacolo. Entro in contatto con un produttore, Franco Diaferia, che dopo aver assistito ad alcuni shows, in cui imitavo alcuni dei cantanti più famosi, italiani e stranieri, mi invita chiaramente a passare dall’essere un “cantautoma” all’essere un cantautore. Così inizio a scrivere qualcosa di mio e nasce la mia prima canzone prodotta: Capolavoro.
Dopo che cosa è successo?
Ho capito che per stare nel mondo della musica avevo bisogno di stare sempre al passo con i tempi e ampliare la mia conoscenza musicale. Così iniziai a lavorare come Piano Bar in varie strutture della Sardegna e Calabria. Lavoro che mi ha permesso varie cose: dal guadagnarmi qualche soldo al conoscere innumerevoli persone fantastiche, che mi hanno permesso di captare i loro gusti musicali e approfondirli. Ancora oggi lavoro in questo settore a cui sono grato per le esperienze che mi ha fatto vivere.
In Supergiugno c’è un pezzo in cui dici: «Pensavo di non avere il permesso, pensavo di aver sbagliato ma dopo ho visto i tuoi occhi con scritto che non era vietato». Quanto è importante avere la consapevolezza che sbagliare non è vietato?
Tantissimo, fa parte del gioco. La paura di sbagliare non ci deve bloccare, tutti sbagliamo. Penso che la questione sia più un fatto di avere coerenza, di guardarsi negli occhi e di saper guardare gli occhi dell’altra persona e quindi comprendersi.
Hai già in cantiere un nuovo brano?
Ti dò questa esclusiva, la risposta è sì. Sono già a lavoro e quello che sta venendo fuori mi piace molto. Con quello stile particolare, ricco di giochi di parole, metafore e analogie. Un modo per dire qualcosa oltre ciò che dice immediatamente il testo. Mi diverte scrivere così e sta andando bene.
Bene Marco l’intervista volge alla conclusione, ho l’ultima domanda. Se la tua vita fosse una canzone, che titolo avrebbe?
Interessante (ride ndr.) penso che il titolo più adatto potrebbe essere TardiAuguri. Perché la vita alle volte è un po’ così, ti fa gli auguri quando meno te l’aspetti, anche in ritardo. Penso che sia anche questo che ci fa andare avanti, una sorta di speranza in qualcosa che accadrà e che porterà qualche cosa di bello, che renderà la nostra vita più bella di quanto già non lo sia.
Alla fine di questa intervista mi vengono in mente tutti quei giovani che coltivano una speranza ma che abbattuti da una qualche forma di tristezza non hanno la forza di sollevare la testa. Quanti dei nostri amici, vicini, conoscenti ma anche noi stessi possiamo essere in questa situazione? Coltivare la bellezza che è in noi, cercarla continuamente e cercare di farla emergere nelle sue varie forme, è qualcosa che ci salva, che ci rende uomini e donne belli. Ultimamente seguendo un ciclo di conferenze sulla Divina Commedia ho capito una cosa: non esistono persone cattive in senso assoluto ma solo persone infelici. Quindi coltivare la bellezza, sia dentro che fuori di noi, ci rende felici ed è questo quello che ciascuno di noi ha bisogno e su cui bisogna continuare a sperare
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