di Federica Falzone

La pandemia inaspettata e terribile che ha colpito l’umanità ha riempito i nostri schermi, i nostri pensieri, i nostri occhi di immagini, parole, riflessioni differenti da quelli che usualmente ci appartenevano.

La paura del contagio, della morte, di perdere le persone care sono divenuti centrali in questo frangente di tempo che crea una crepa tra quel che è stato prima e che sarà domani.

In modi differenti, ci accostiamo a nuove ansie, a nuove possibilità di esprimerci e di essere. In questi due mesi alcuni hanno riadattato le esigenze lavorative a nuove tecnologie, altri hanno riorganizzato la propria routine in pochi metri quadrati e altri ancora hanno fatto di maschere e tute l’abbigliamento di ogni giorno. Per tutti, però, l’eco dei vissuti si riflette nelle storie che raccontiamo, che custodiamo, nei sogni che nella notte ci tormentano o ci lasciano sperare.

In modi differenti, questo periodo può generare angosce o divenire un momento per espirare prima di una partenza, un periodo in cui far emergere nuovi modi di essere al mondo. Oltre la possibilità di rivedere il rapporto con la natura, con gli altri, con gli anziani, giaciglio di narrazioni, possiamo rivedere il rapporto con i nostri obiettivi, il nostro itinerario.

Questo periodo di stasi ha obbligato ogni uomo a sedersi accanto e di fronte ai suoi maggiori limiti e timori, a trovare, a stupirsi di punti di resistenza mai immaginati. In questo periodo, ponte di creta da scaldare al sole, la creatività può emergere e può essere lo snodo vitale per i bambini e per gli adulti. Scoprire nuovi desideri, abilità, provare a sperimentare può far divenire questo periodo un trampolino.

Impugnare una matita, disegnare, cantare anche se si è stonati, imparare una nuova lingua, fare sport, trovare nuove soluzioni per vivere quell’ambiente che solitamente chiamiamo casa e che in questi giorni è il mondo di molti. La creatività diventa fonte di vita anche per gli operatori costretti a interfacciarsi con la morte e con la solitudine, con la perdita, con la mancanza di respiro che solo chi ha camminato fra i reparti sa quanto fa paura e che non va dimenticata, che serve per esser cauti ancora un po’ in questo nuovo capitolo intermedio.

Sarà utile per ognuno fare un resoconto, una narrazione dei giorni trascorsi, dare un senso alle ore, rivivere sensazioni che hanno dato l’avvio un lavorio interiore per trasformarci. Sì, perché tutti in questo periodo siamo cambiati un po’. E se la paura è un’emozione primaria che ci tutela dal pericolo, che nell’evoluzione ci tiene in stato di allerta necessario, dall’altra ci conduce all’essenziale, all’autenticità dell’esistenza, alla possibilità di elogiare il bello.

Pian piano sarà anche il tempo di chi ha perso qualcuno in questo tortuoso tragitto e arriverà il tempo in cui daranno uno spazio ai ricordi. Sarà anche il tempo per chi ha lavorato, dai corrieri agli operatori, di medicare le ferite dell’anima, che non fanno male ma con il tempo possono sanguinare nei sogni, nelle paure.

Il rischio, infatti, è quello di sviluppare una sindrome da disturbo post traumatico da stress, i cui sintomi maggiori sono frequenti flashback, pensieri intrusivi, anestesia emotiva, insonnia, incubi ricorrenti, depressione, ipervigilanza, evitamento futuro di situazioni riconducili al trauma.

In situazioni in cui il trauma ha coinvolto numerose persone, l’intervento può essere rivolto al gruppo attraverso debriefing psicologico, una discussione in gruppi omogenei che hanno il fine di alleviare i sintomi acuti, comprendere i bisogni primari, fornire informazioni necessarie, ascoltare i vissuti. L’importante, in generale, diviene la rielaborazione narrativa che permette di integrare l’evento nella più complessa trama personale.

Per le persone che hanno contribuito alla limitazione del contagio rimanendo in casa sarebbe ideale programmare gradualmente il ritorno agli ampi spazi.  Ci stiamo riaprendo al ritorno di un mondo già esplorato sì ma con occhi diversi. Non abbiate fretta e non dimenticate dell’importanza del tempo, degli spazi. Gli animali si sono riappropriati del loro cielo, della loro porzione di natura e noi ci siamo riappropriati di noi stessi, dell’autenticità dell’indispensabile e del necessario.

Ci sarà un tempo in cui racconteremo ciò che è stato, in cui gli operatori sanitari si fermeranno e seduti ricostruiranno cinte di pietra nelle fortezze del sé. Ci sarà un tempo in cui i bar saranno affollati di gente che sorseggia un caffè, elogiando lo splendore del sole, riannunciando vittoria nel cuore dei commercianti.

Prima di allora spero che la fase due non comporti una stolta idea di inizio perché non possiamo perdere il respiro per non perdere un attimo, lavarci le mani, indossare una mascherina.

Vorrei concludere questo articolo lasciando ai cari lettori di Lao una poesia che racchiude alcune sensazioni di questi due mesi

Si perde ogni vita

fra le rughe

che sgualciscono la pelle

e si cela la paura

dietro tute bianche,

maschere legate sopra cuffie strette.

Echeggia ogni timore

in quei silenzi

che hanno riempito le strade

e canta un merlo

mentre si cerca invano

di inseguire il mare.

Le parole hanno occhi

e il conforto attraversa guanti spessi

e da ogni reparto

si portano bagagli di stoffe e storie,

sul proprio cuscino si stendono

speranze di tener qui, al mondo

fra le case e i sofà,

i propri cari affetti.

Dentro l’anima urla

“Vi prego restate”.

E mai come adesso

le pagine sono onde lievi

su vascelli di porpora,

le note, le carezze, tintinnio

di campanelle,

conforti ardenti nelle tempeste.