di Danilo Napoli
Il sentiero dei nidi di ragno tradizionalmente viene considerato giustamente un romanzo neorealista. L’anno d’uscita è il 1947, l’ambientazione partigiana e l’esperienza personale dell’autore a monte della storia raccontata sono caratteri che testimoniano un’indubbia appartenenza ad una famiglia letteraria. Come Calvino stesso riconobbe, nella celebre Prefazione del 1964 alla nuova edizione del romanzo, lui come tanti suoi coetanei avvertiva la responsabilità che un evento d’importanza storica come la guerra affidava all’uomo di lettere, protagonista e allo stesso tempo interprete di quegli avvenimenti. Tuttavia l’immagine della Resistenza che emerge dalla storia di Pin e della sciatta brigata del Dritto non è certo quella eroica e vincente che si è soliti associare alle narrazioni neorealiste, che spesso erano incentrate su una rappresentazione stereotipata ed esasperante dei drammatici avvenimenti che avevano scandito la “guerra civile” combattuta tra partigiani e nazifascisti tra il 1943 e il 1945.
Il romanzo di Calvino si colloca infatti in quella schiera di opere che, tra la fine della Seconda guerra mondiale e la metà degli anni Cinquanta, s’incaricarono di raccontare la storia recente mostrandone le contraddizioni, gli errori, i risvolti più problematici. Per fare questo, Calvino decide di affrontare il tema di lato, e non di petto. Rinunciando all’ ispirazione epica del Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio (pubblicato postumo nel 1968), così come all’ indole tormentata e riflessiva della Luna e i falò di Cesare Pavese (ultimo romanzo dello scrittore piemontese, edito nel 1949), Il sentiero dei nidi di ragno racconta una storia della Resistenza attraverso gli occhi di un bambino. Quella di Pin, protagonista del romanzo, è una prospettiva abbassata e straniante, che presenta cioè un mondo cui siamo quotidianamente abituati sotto una lente che lo deforma, e ne sottolinea così aspetti inediti ed originali. Lo sguardo di Pin sulle cose è quello di chi non conosce il mondo, non ne ha ancora fatto esperienza e non può quindi riconoscerne tutti i significati sottintesi. Pin prende alla lettera tutto quello che vede e gli viene raccontato: è così che le vicende degli adulti intorno a lui appaiono a chi legge sotto una nuova luce. Attraverso questa prospettiva allucinata, affascinata dai colori e dagli inaspettati fenomeni che la natura disvela, la realtà acquista una dimensione fiabesca, quasi astratta, in notevole dissonanza rispetto agli avvenimenti tragici che riporta. Quando osserva e non comprende i problematici rapporti tra gli adulti – gli amori e le gelosie, ma anche i tradimenti e le violenze efferate – l’occhio di Pin si dimostra tanto acuto quanto ingenuo. Privo di qualsiasi sovrastruttura concettuale o ideologica, il suo sguardo traduce quei comportamenti nei termini della sua coscienza di bambino, rivelandone così un impensabile carattere infantile. Allo stesso tempo, però, si dimostra anche involontariamente spietato nel marcare le debolezze, le meschinità e le contraddizioni di un’umanità partigiana che appare come un perfetto contro-modello rispetto a quel che ha tramandato la storia.
A bilanciare la prospettiva di Pin, interviene, in quel nono capitolo del Sentiero dei nidi di ragno che più di un commentatore ha considerato didascalico e spurio, il comandante Kim, giovane studente di medicina e “responsabile” dell’eterogenea composizione del distaccamento del Dritto. È lui a portare nel romanzo un punto di vista “politico” e a rappresentare le posizioni di Calvino di fronte all’esperienza della guerra e alle sue ripercussioni sulla società. Nelle sue parole, intrise di razionalità e umanistica fiducia, anche la vicenda di quella scalcagnata brigata partigiana acquista un significato positivo: nella prospettiva lunga di un corso storico giusto e progressivo, la guerra combattuta dagli uomini che la società relega ai margini, sui quali nessun pensiero rivoluzionario potrà mai attecchire, ha un valore indiscutibile perché avviene dalla parte giusta, dalla parte che la Storia premierà: questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta al riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni. Il sentiero dei nidi di ragno si presenta allora come il romanzo di un intellettuale che nell’esperienza partigiana ha maturato una notevole consapevolezza politica e che vuole sfruttare le strategie retoriche e narrative per dar vita a un racconto problematico e coinvolgente. Così Calvino, da un lato prova a guardare i fatti appena accaduti da una prospettiva inusuale, che permetta di rivelare contraddizioni e miserie, ma anche eroismi e umanità di una vicenda storica troppo spesso ridotta ai minimi termini della retorica celebrativa.
Allo stesso tempo, però, come rivelerà nella già citata Prefazione, confidente nelle possibilità che la Liberazione apre al futuro di libertà e democrazia, egli orienta la narrazione verso un complesso ma indiscutibile ottimismo, proprio di chi crede nel progresso della Storia, che saprà riscattare le sofferenze di ognuno e assegnare a tutti il proprio ruolo nella costruzione della società. Nella prefazione parla anche appunto dell’importanza e influenza che la storia ha sulla letteratura, come in questo passo: “Non che fossi così culturalmente sprovveduto da non sapere che l’influenza della storia sulla letteratura è indiretta, lenta e spesso contraddittoria; sapevo bene che tanti grandi avvenimenti storici sono passati senza ispirare nessun grande romanzo, e questo anche durante il “secolo del romanzo” per eccellenza; sapevo che il grande romanzo del Risorgimento non è mai stato scritto Sapevamo tutto, non eravamo ingenui a tal punto: ma credo che ogni volta che si è stati testimoni o attori d’un epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale ” Fu altrettanto interessante il suo commento sincero e spassionato sulla sua esperienza di neorealismo, che ci chiarisce in modo definitivo il pensiero di Calvino su di esso: “Il neorealismo non fu una scuola. Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la varietà di Italie sconosciute l’una all’altra, senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato neorealismo “.
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