di Alessio Amorelli
Era il 1977. La giovane Repubblica italiana aveva vissuto un’epoca di ricostruzione felice. Le tensioni ideologiche del secondo dopoguerra non avevano intaccato una significativa crescita economica, soprattutto negli anni del cd. boom economico, che aveva permesso a larghe fasce della popolazione di emanciparsi dalla povertà. Anche l’operaio riusciva finalmente ad avere il figlio dottore.
A partire dalla fine degli anni sessanta una serie di nuovi fenomeni iniziavano a sconvolgere la semplice e ripetitiva quotidianità italiana. Accanto alle istanze dei lavoratori era iniziata la protesta degli studenti che rivendicavano un mondo diverso, più attento ai temi della pace e dei diritti civili. Nuovi movimenti scavalcavano a sinistra il Partito Comunista Italiano, fino a quel momento l’unico baluardo delle classi sociali meno fortunate. Il referendum sul divorzio aveva messo in luce il nuovo ruolo che la donna avrebbe progressivamente assunto all’interno della società italiana. L’inasprirsi della Guerra Fredda tra le due superpotenze mondiali, gli Stati Uniti d’America e l’URSS, aveva comportato nuove tensioni internazionali e pesanti ingerenze nella politica interna dei singoli Stati. Basti qui ricordare la primavera di Praga soffocata dai carrarmati sovietici o il golpe militare in Cile con cui Pinochet, con il supporto più o meno esplicito degli americani, aveva destituito con violenza il governo socialista di Allende.
In questo contesto, il 1977 ha rappresentato un anno cruciale per l’Italia. Siamo nel pieno della fase del “compromesso storico” in cui il Partito Comunista Italiano e le correnti progressiste della Democrazia Cristiana cercano di assicurare stabilità al Paese che corre il serio rischio di essere il centro di una guerra di posizione tra USA e URSS. È l’anno in cui le contrapposizioni ideologiche si fanno roventi. Iniziano a spuntare i primi comunicati delle Brigate Rosse e le contestazioni studentesche verso le istituzioni sono sempre più violente. A ciò si aggiunga la crisi che attraversava il Medioriente e quella energetica, con la conseguente necessità di ridurre sensibilmente i consumi di petrolio.
Il 15 gennaio del 1977, il segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, si trova al Teatro Eliseo di Roma ad un convegno che vede tra i partecipanti numerosi intellettuali dell’epoca. In questa occasione, il segretario del PCI è conscio dell’importanza del momento storico che attraversa l’Italia e il mondo intero. Il suo discorso, solo in apparenza un elogio delle politiche di austerità, è una pietra miliare del pensiero politico contemporaneo. Ne riporto di seguito uno dei passaggi più significativi:
Quando poniamo l’obiettivo di una programmazione dello sviluppo che abbia come fine la elevazione dell’uomo nella sua essenza umana e sociale, non come mero individuo contrapposto ai suoi simili; quando poniamo l’obiettivo del superamento di modelli di consumo e di comportamento ispirati a un esasperato individualismo; quando poniamo l’obiettivo di andare oltre l’appagamento di esigenze materiali artificiosamente indotte, e anche oltre il soddisfacimento, negli attuali modi irrazionali, costosi, alienanti e, per giunta, socialmente discriminatori, di bisogni pur essenziali; quando poniamo l’obiettivo della piena uguaglianza e dell’effettiva liberazione della donna, che è oggi uno dei più grandi temi della vita nazionale, e non solo di essa; quando poniamo l’obiettivo di una partecipazione dei lavoratori e dei cittadini al controllo delle aziende, dell’economia, dello Stato; quando poniamo l’obiettivo di una solidarietà e di una cooperazione internazionale, che porti a una ridistribuzione della ricchezza su scala mondiale; quando poniamo obiettivi di tal genere, che cos‘altro facciamo se non proporre forme di vita e rapporti fra gli uomini e fra gli Stati più solidali, più sociali, più umani, e dunque tali che escono dal quadro e dalla logica del capitalismo?
Un passaggio successivo chiarisce il contesto di riferimento:
La ragione principale per cui consideriamo la crisi come un’occasione, sta nel fatto che obiettivi di trasformazione e di rinnovamento come quelli che ho ricordato possono essere non solo compatibili, ma debbono e possono essere organicamente compresi dentro una politica di austerità, che è la premessa indispensabile per superare la crisi, ma andando avanti, non tornando al passato. Infatti, mi pare sia evidente che quegli obiettivi contribuiscono a configurare un assetto sociale e una politica economica e finanziaria organicamente diretti proprio contro gli sprechi, i privilegi, i parassitismi, la dissipazione delle risorse: realizzano, cioè, quello che dovrebbe costituire l’essenza di ciò che, per natura e definizione è una vera politica di austerità.
Già nel 1977 quel discorso suscitò reazioni contrastanti. L’ala sinistra del PCI non fu affatto contenta della presa di posizione del segretario che sembrò troppo comprensivo verso il modello capitalista che quella stessa crisi aveva prodotto. Personalmente ritengo quel convegno sia uno dei momenti più alti della vita politica del Paese. Un discorso da statista che guarda all’interesse generale del Paese senza dimenticare le sue origini. Come troppo spesso accade, purtroppo, argomenti di tale profondità e complessità sono stati lasciati cadere nel vuoto o, peggio, strumentalizzati. Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, dai contorni tutt’altro che definiti, la fine della stagione del compromesso storico, l’anticomunismo sviluppato dalla DC e dal PSI negli anni successivi, i rampanti anni Ottanta con la deregulation Reaganiana, sono soltanto alcuni dei fatti che avvalorano questo mio giudizio.
Dopo 43 anni da quel convegno al Teatro Eliseo, è arrivato il momento di comprendere veramente cosa ci ha detto Enrico Berlinguer. Abbiamo davanti un’enorme occasione per trasformare il modello di sviluppo che abbiamo passivamente accettato negli ultimi decenni. Le parole del segretario sassarese del PCI suonano terribilmente attuali. Un maggiore intervento dello Stato nell’economia, un cambiamento dei modelli di consumo, la piena valorizzazione delle donne, di tutte le donne, all’interno della nostra società, la partecipazione dei lavoratori nelle decisioni delle aziende, una maggiore cooperazione e solidarietà internazionale. Sono tutte istanze urgenti, oggi più di ieri.
Il segretario più amato nella storia del PCI c’era arrivato quasi mezzo secolo fa. Oggi tocca a noi. Una nuova consapevolezza collettiva ci salverà. Berlinguer adorava navigare in mare aperto, dobbiamo soltanto prendere il timone che ci ha lasciato in eredità.
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