di Federica Dell’Aiera
Le epidemie hanno accompagnato la storia sin dall’antichità, sono state presenza costante dell’umanità e tutte le arti le hanno descritte, forse per esorcizzarle, lasciando testimonianze importanti.
Il coronavirus e i tragici avvenimenti che stanno preoccupando tutta la nostra comunità, hanno riportato nel nostro vocabolario quotidiano, le minacciose parole di epidemia, contagio e quarantena. Le abbiamo lette sui libri di scuola e di letteratura, riferendosi ad avvenimenti quali la peste nera che tra il 1347 e 1352 ha devastato un quarto della popolazione europea, o all’influenza spagnola che contagiò duecento milioni di persone. Eventi tanto tragici quanto lontani nel nostro immaginario. La forza distruttrice dell’epidemia è anche movente in avvincenti romanzi contemporanei.
Storici e scrittori ci hanno riportato le sofferenze delle numerose epidemie descrivendone gli effetti sulla società e le misure adottate per evitare il contagio.
Ecco un breve excursus di autori che hanno trattato di epidemie nei loro romanzi.
Tucidide ne “La guerra del Peloponneso”, descrive la devastante peste che colpì la città di Atene nel 430 a.C., raccontando le atroci sofferenze e gli effetti sulla salute e sulla morale dei cittadini:
«I santuari in cui si erano accampati erano pieni di cadaveri, la gente moriva sul posto, poiché nell’infuriare dell’epidemia gli uomini, non sapendo che ne sarebbe stato di loro, divennero indifferenti alle leggi sacre come pure a quelle profane. […] ci si credeva in diritto di abbandonarsi a rapidi piaceri, volti alla soddisfazione dei sensi, ritenendo un bene effimero sia il proprio corpo sia il proprio denaro».

Un altro grande romanzo che parla di epidemia è il Decameron di Giovanni Boccaccio. La “mortifera pestilenza” arriva dall’oriente e affligge Firenze nel 1347 restando per cinque anni in tutta Europa. Questa epidemia è il pretesto per la fuga in campagna di sette ragazze e tre ragazzi, dove resteranno per dieci giorni raccontandosi storie e facendosi compagnia. È nelle pagine introduttive del Decameron che si racconta della peste, con particolare riferimento allo stupore per gli effetti e sul perché una tale sofferenza si sia abbattuta sugli uomini, riflettendo su una punizione divina o su qualche maligno influsso astrale. Il romanzo, rimane attualissimo poiché racconta una storia di evasione, quell’evasione che noi oggi cerchiamo dalle notizie di morte e sofferenza. E la fuga in campagna, tra scherzi e novelle è intrecciata al racconto di una Firenze devastata dalla malattia, un brusco ritorno alla realtà. «Vogliamo e comandiamo che niuna novella, altro che lieta, ci rechi di fuori». Le novelle raccontate dai giovani protagonisti, allontanano il terribile racconto della pestilenza che affligge la loro città e confermano quanto l’uomo abbia bisogno della narrazione per evadere dalla cupa atmosfera che avvolge giorni così tristi e difficili. È molto contemporaneo anche il fruire delle novelle, come un appuntamento fisso al quale non si manca mai, come gli episodi delle nostre serie tv preferite, che per qualche minuto, ci restituiscono una parvenza di normalità.

Parlando di Boccaccio, non si può non parlare di Alessandro Manzoni e del celebre romanzo “I promessi sposi”. Al contrario di Boccaccio, Manzoni la peste non l’ha vissuta, ma raccogliendo quanto più materiale possibile, ne descrive i particolari. Sicuramente entrambi descrivono l’incapacità dell’uomo e delle istituzioni nel fronteggiare un’emergenza così pericolosa, per quanto possa provare ad arginarla e contenerla. Leggendo il romanzo di Renzo e Lucia troviamo la psicosi del popolo, l’inesattezza delle informazioni, di lazzaretti troppo affollati e di volontari in prima linea nella rete della solidarietà. Sembra quasi di leggere un giornale dei nostri giorni.
“L’epidemia si diffonde, la gente rimane scettica e si scaglia contro i medici. Si moltiplicano le morti e diviene impossibile negare l’esistenza del morbo, si parla però di fabbri pestilenti ciò induce a trascurare i pericoli del contagio. I malati trasportati al lazzaretto si fanno sempre più numerosi; così si parla finalmente di peste, ma si diffonde al tempo stesso l’idea che all’origine del male non vi sia il contatto con gli ammalati, ma bensì quello con ungenti velenosi.” (I Promessi Sposi capitolo XXXI)

“La maschera della morte rossa” è un romanzo di Edgar Allan Poe pubblicato nel 1842, racconta di un’epidemia immaginaria. Ambientazione e tempo sono imprecisati, il racconto è pervaso dal senso di angoscia e smarrimento generati da un elemento naturale ritenuto invincibile, “la Morte Rossa”. La peste è un elemento simbolico di devastazione e lotta tra vita e morte.
“Da gran tempo la “Morte Rossa” devastava la contrada. Mai s’era avuta pestilenza tanto letale, di tanta atrocità. Il sangue era il suo Avatar e il suo sigillo, il color rosso e l’orrore del sangue. Acri dolori, poi subito vertigine, e sangue che sgorgava dai pori, e il mortale disfacimento. Le macchie scarlatte sul corpo, specialmente sul volto della vittima, erano il letale contrassegno che la escludevano dall’aiuto e dalla sollecitudine dei suoi simili. Insorgeva il morbo, si diffondeva e concludeva nell’arco di mezz’ora”.

Un’altra epidemia immaginaria è raccontata ne “La peste” di Albert Camus (1947). Anche qui la peste è responsabile di sofferenza e morte ed è una metafora del male e della guerra e si riferisce al nazismo. È la testimonianza di Bernard Rieux, un medico francese che opera sulla costa algerina, del suo lavoro e della dedizione nella battaglia contro questo terribile male. Qui con forza esce il concetto che gli uomini si salvano con la collaborazione, la solidarietà e con la lotta e la resistenza contro ogni possibile ingiustizia o oppressione.

Nel 1981 Dean Ray Koontz, scrittore americano, ha scritto “The eyes of darkness”, best seller inedito in Italia fino a qualche giorno fa. Ad oggi è stato stampato da Fanucci editore con il titolo “Abisso” ed è già in cima alle classifiche dei libri più venduti. Perché? Il romanzo, ambientato nel 2020, racconta di un virus denominato Wuhan 400, creato dall’uomo in laboratorio, un virus che provoca una gravissima polmonite che dilagherà in tutto il mondo. Terrificanti analogie con la situazione che stiamo vivendo.

Un altro autore contemporaneo, maestro dell’orrore e autore di best seller è Stephen King, il quale ne “L’ombra dello scorpione” (1987) racconta di un’epidemia provocata da un virus che infetterà il 99% della popolazione globale. Tra le 1.300 pagine, il messaggio positivo che emerge è la capacità dell’uomo di riscattarsi e imparare dai propri errori. Del libro c’è anche una mini serie televisiva.

Del 1995 è invece “Cecità” di Josè Saramago che narra di un’epidemia che contagia gli occhi, provocando appunto la perdita della vista. Questa terribile conseguenza fa sprofondare l’uomo nella cattiveria e lascia spazio all’istinto di sopravvivenza. L’epidemia è motivo di sciacallaggio, il cibo diventa rifugio ed ossessione, attualissimo se pensiamo agli assalti ai supermercati. Difronte alla sofferenza, nessuno ha più un nome, per questo nel romanzo i protagonisti non hanno un nome e sono riconosciuti come “paziente zero”, “il primario” … Il romanzo è un atto di accusa contro la cecità dell’uomo difronte alle grandi emergenze mondiali.

Non è un caso che tutti questi romanzi in questi giorni, siano balzati ai primi posti delle classifiche dei libri più venduti online. Sembra che la letteratura anticipi gli avvenimenti della realtà. Pur nella distanza delle situazioni che leggiamo tra le pagine, i meccanismi umani sono pressoché gli stessi, dalla negazione del problema al panico e psicosi. Sono tanti i punti di contatto con la situazione d’emergenza che stiamo vivendo e i grandi scrittori hanno saputo cogliere gli stati d’animo dell’uomo e interpretare i fatti storici. La storia cambia ma si ripete, di fronte a situazioni limite l’uomo reagisce sempre allo stesso modo, al di là del tempo e dello spazio. E se ne traessimo insegnamento?
Commenti recenti