di Giulio Scarantino

Ormai da diversi anni esiste un gemellaggio tra la diocesi di Caltanissetta e la diocesi di Sapa in Albania. Un ponte di solidarietà costruito nel tempo, che ha portato volontari attivisti nella terra delle Aquile. Tra le fautrici del ponte di solidarietà c’è sicuramente la Caritas diocesana di Caltanissetta, in particolare nella persona di Donatella D’Anna. Attualmente direttore dell’ufficio Migrantes di Caltanissetta.
Oggi quel ponte di solidarietà sembra aver contribuito a dare in qualche modo i suoi frutti, con la decisione del governo albanese di inviare una squadra di medici in Lombardia. E con il discorso del Presidente albanese Edi Rama che ha dato qualche lezione di civiltà all’intera Europa. Una scelta forse non inaspettata per chi conosce il popolo degli albanesi. Chiediamo così al direttore Donatella D’Anna:

Non siamo privi di memoria Italia ci ha salvato e accolto. È casa nostra amica e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà. Oggi siamo tutti italiani, e l’Italia deve vincere e vincerà questa guerra anche per noi, per l’Europa e il mondo intero- ha detto il premier albanese Edi Rama

Da persona che conosce molto bene l’Albania, si aspettava questa scelta del Governo albanese?

No, non me l’aspettavo. Sinceramente sono rimasta sorpresa. Non perché abbia dubbi sulla generosità del popolo albanese, ma perché è un paese ancora in difficolta’ che ha tanto bisogno per sé. Però è una scelta che interpreta sicuramente il sentimento di gratitudine che tanti albanesi hanno nei confronti dell’Italia e degli italiani, sia in termini di accoglienza, ma anche di interventi umanitari e di cooperazione.

Pensa che con il suo lavoro possa aver contribuito a fare crescere questo ponte di solidarietà, questa “amicizia” definita dal Presidente dell’Albania, e quindi anche la decisione di inviare una squadra di medici?

A questo “ponte di amicizia” abbiamo lavorato in tanti, siamo volontari, educatori, medici ed operatori sparsi per tutta l’Italia, piccoli mattoni messi uno accanto all’altro, cementati dall’amore per un paese che ti entra nel cuore e nell’anima. Sono convinta che il merito più grande, i pilastri di questo ponte, per continuare ad usare questa metafora, sono i missionari che dai primi anni ’90, subito dopo la caduta del regime, hanno messo piede in un paese in cui, ancor prima di ricostruire la fede andava ricostruito l’uomo. Uno di questi missionari, probabilmente colui che si è speso più di tutti per l’Albania è stato don Antonio Sciarra. Un prete fidei donum della diocesi di Avezzano, che quando l’Albania era un inferno dal quale tanti scappavano, non ha esitato a partire con una piccola roulotte, per andare a portare il proprio aiuto. Ha trascorso 15 anni in una delle zone più povere del paese, la Zadrima. Da lui, tutti noi, che lo abbiamo conosciuto abbiamo imparato veramente cosa sia la fantasia, la bellezza della carità. Don Antonio era uno sempre “sul pezzo”, ha speso tutto sé stesso per riportare nel cuore degli albanesi il gusto per le cose belle e fatte bene, seppur nella semplicità. Ha riacceso nei loro cuori la fiducia e la speranza distrutti da 50 anni di regime. Quando ho ascoltato il discorso del primo ministro Edi Rama ho pensato alle ultime parole di don Antonio, pronunciate in punto di morte “il deserto fiorirà”. Questo gesto mi sembra veramente un bel fiore nato in un terreno arido dove don Antonio e tanti con lui e dopo di lui hanno seminato.

Oggi dopo quanto accaduto probabilmente pensare ad un gemellaggio con l’Albania sarebbe più semplice, ma diversi anni fa quali sono state le ragioni che hanno portato alla scelta dell’Albania ?

Proporre una missione, uno scambio, un progetto di cooperazione in Albania è stato sempre impopolare. L’Albania, a causa dello stereotipo che accompagna gli albanesi in Italia, non è un paese che gode della simpatia della maggioranza, mentre diverso è il discorso per l’Africa. Anche tra i paesi di missione ahimè ci sono quelli, per così dire più graditi e quelli meno, è brutto da dire, ma è così. E stata veramente molto dura in questi anni coinvolgere la nostra comunità in questa relazione di amicizia con il paese delle Aquile. Io stessa, del resto, tanti anni fa, mi sono ritrovata in Albania assolutamente non per scelta. Volevo partire come casco bianco con Caritas Italiana e avevo espresso la preferenza per due paesi, ovviamente scartando l’Albania. Quando me l’hanno proposta come destinazione di servizio è stato uno shock. Ho dovuto anche io smantellare nella mia mente l’idea che mi ero fatta, influenzata dai media che diffondevano solo ed esclusivamente alcuni “fattacci” di cronaca. Ho scoperto in Albania la “mia piccola Africa”. Un paese affascinante, che deve essere conosciuto e capito per poter essere amato. Ho speso tante energie per fare conoscere e amare l’Albania anche alla comunità nissena. Anche io nel mio piccolo vedo qualche fiore germogliare in questo senso. Ovviamente mi auguro che questo gesto del governo albanese dia una mano alla crescita del nostro gemellaggio diocesano.

Nei suoi diversi anni che è stata in servizio in Albania come “casco bianco” e poi come operatrice Caritas, quali sono le caratteristiche che secondo lei più accomunano gli albanesi? Quelle che l’hanno colpita maggiormente?

La “mikpritia”, ovvero l’ospitalità. Una parola molto importante che ha la stessa radice della parola amico, “mik”. Questa idea di accoglienza generosa e incondizionata fa parte di un carnet di valori trasmessi di padre in figlio,  sul quale nessun albanese vacilla. Valori che hanno superato la prova del tempo, delle dominazioni e del regime. Scorrono nelle vene di ogni Shqipetare (così si chiamano gli albanesi nella loro lingua).  Ho visto famiglie poverissime mettere sul tavolo per me tutto quello che avevano in casa, pur di farmi sentire accolta.  Chi ha un amico albanese sa che può veramente contare su di lui. Un amico albanese ti apre la porta e ti invita a casa sua anche se è in disordine, perché in un’abitazione di un albanese c’è sempre una stanza più bella delle altre pronta per accogliere l’ospite.

Si sente un po’ orgogliosa di vedere tutto il paese elogiare l’Albania non sempre vista di buon occhio dagli italiani? Cosa vorrebbe dire al popolo albanese?

Vorrei ribaltare questa domanda dicendo che mi sento molto orgogliosa del popolo albanese, al quale sento di appartenere un po’. E agli italiani direi semplicemente che, un paese distante solo 75 km. di mare, del quale dalla Puglia si possono vedere le montagne all’orizzonte, non può che essere per noi una nazione sorella. L’Albania è sempre stata lì ad un passo da noi, quasi potevamo udire il dolore di 50 anni di oppressione o gli spari dei disordini del 1997. Ben venga che ora plaudiamo all’arrivo di questi 30 medici venuti per aiutarci, ma quando tutto questo finirà, ricordiamoci del “paese di fronte”, continuando a tessere relazioni di sincera amicizia.

La sua esperienza di “costruttrice” di solidarietà non è terminata, anzi oggi ha un ulteriore ruolo molto importante di direttore dell’ufficio Migrantes di Caltanissetta. Cosa sta facendo l’ Ufficio in questo particolare periodo e quali sono i progetti futuri?

La Migrantes si occupa di tutti coloro che sono in un certo senso in movimento. I migranti italiani all’estero, gli immigrati in Italia, i rom e gli operatori dello spettacolo viaggiante.
In questo momento di emergenza stiamo seguendo, in collaborazione con la Caritas diocesana, le famiglie del circo che sono rimaste bloccate a Caltanissetta al momento del blocco di tutte le attività lavorative. Cerchiamo di aiutare i migranti presenti sul territorio ad accedere agli aiuti di prima necessità offerti dalla Caritas. Attraverso la pagina fb cerchiamo di sostenere le diverse comunità etniche e religiose permettendo loro di seguire la messa in inglese per i cattolici o altri momenti religiosi per i fedeli di altre religioni.
Non potendo garantire i servizi di alfabetizzazione ci stiamo organizzando per attivare qualche classe di Italiano on line. Non appena sarà passata l’emergenza riprenderemo tutte le attività in programma, dall’apertura dello sportello Migrantes al quartiere Provvidenza, alla campagna “io accolgo” che promuove e diffonde le buone prassi di accoglienza.