di Rocco Gumina

Oltre all’emergenza sanitaria, la diffusione del COVID-19 produce una serie di conseguenze negative sul versante economico. Discutiamo di questo tema con Enrico Lipani, Imprenditore Tech e Business Mentor.

Probabilmente è ancora presto per valutare ma, ad oggi, quali conseguenze sul piano economico ha prodotto, e continuerà a generare, l’emergenza connessa al Coronavirus nel territorio siciliano e, in particolare, nella provincia di Caltanissetta?

La crisi del 2008 proveniva dal mondo bancario ed ha avuto ripercussioni a cascata nel sistema economico industriale. Questa, invece, è una crisi di natura biologica, che satura il sistema sanitario e paralizza l’economia. Vista l’assenza di un vaccino, l’unica misura efficace per contrastare il Covid-19 è quella di isolare i cittadini ed ibernare (laddove è possibile) il commercio. Con conseguenze non banali.

Il congelamento degli scambi commerciali in atto a livello mondiale, sta sgretolando la robustezza delle supply chain. Una paralisi che sta producendo, sia a livello macro che micro, una riduzione sia dell’offerta che della domanda perché, a parte il settore alimentare, farmaceutico, medicale ed e-commerce, la domanda è ferma al palo.

Le imprese, anche quelle nissene, si trovano con le mani legate e incapaci di gestire la crisi, in quanto non sono preparate ad affrontare un portafoglio di mercati diversificato con la quale darsi la possibilità di un’entrata alternativa.

Quindi urge immediatamente un cambio di paradigma nella gestione delle operazioni e dei processi aziendali, perché, alla fine di questa epidemia, potremmo scoprire che il mercato non è più quello di alcuni mesi fa. Si prospetta infatti, un cambio relativo alle dinamiche di acquisto e di offerta dei vari attori del mercato che imporrà alle aziende un salto tecnologico obbligatorio verso la digitalizzazione dei processi.

Cosa dovrebbero fare quindi nel concreto le piccole e medie imprese?

Dare una risposta non è semplice, perché è una situazione nuova ed in continua evoluzione, però alcune cose si possono implementare. Ad esempio:

Azione Emergency: si potrebbe fare una pianificazione dello scenario peggiore per identificare le variabili che avranno un impatto sui costi e ricavi e valutare le proiezioni finanziarie; fondamentale è capire quali sono i punti cruciali che potrebbero determinare le possibili criticità in termini di liquidità e valutare quanta benzina è rimasta all’impresa per non rimanere in panne;
Azione Supply Chain: si potrebbe mappare la “zona rossa” della catena di fornitura valutando chi tra fornitori, e fornitori dei fornitori, potrebbe mettere a rischio la gestione dei processi di fornitura e distribuzione e valutare un cambio su fornitori alternativi;
Azione Marketing: si potrebbe migliorare la propria presenza digitale, comunicando con i clienti e creando asset digitali. Molta attenzione bisogna prestare alla customer journey (viaggio del consumatore), per capire e migliorare il prodotto/servizio offerto al cliente; Se le vendite non decollassero, comunque aumenterà la credibilità;

Azione Business Model: si potrebbero analizzare eventuali opportunità di cambiamento, per non perdere quote di mercato e fornire servizi innovativi su nuovi potenziali bisogni che stanno emergendo dai clienti; Crisis Management: si potrebbe riconoscere un leader che possa assumersi la responsabilità di scelte molto strategiche, per velocizzare i processi decisionali con fermezza, soprattutto per rispondere velocemente ai cambiamenti disruptive;
Gestione delle Risorse Umane: si potrebbe adottare lo smart working come metodo lavorativo costante, sforzarsi di divenire un’azienda sempre più distribuita, indire percorsi di formazione ai dipendenti e motivare il personale con uno “scopo profondo”.

Dopo un’iniziale fase di confusione, il nostro Paese, insieme all’Unione Europea e alla sua Banca centrale, hanno deciso di avviare un grande intervento di contenimento della crisi economica. Alcuni gruppi e intellettuali liberal hanno criticato questo eccessivo “statalismo”. Hanno ragione?

Chi pensiate che sia il maggior finanziatore della ricerca che produce innovazioni tecnologiche ad alto impatto? Chi pensiate che sia il motore economico della green economy, della farmaceutica e dalla salvaguardia dai disastri finanziari? Lo Stato. Lo “Stato imprenditore”, come dice la Mazzucato, riveste un ruolo di primaria importanza per limitare i danni, perché si fa carico dello stress finanziario che nessuna “mano invisibile” o gruppi di imprenditori è in grado di sopportare. L’impatto del danno provocato dall’epidemia sull’economia mondiale dipenderà da 3 cose:

Dalla rapidità dei centri di ricerca nel trovare un vaccino efficace;
Dalla rapidità degli Stati nel mettere in atto misure di contenimento del virus;
Dalla qualità e quantità di soldi che verranno destinati per il sostegno dell’economia reale.

Ma vi dico di più: l’Italia da sola rischia grosso (ma vale anche per gli altri paesi UE). Perché? Se guardiamo la Cina, che è in anticipo sulle conseguenze dell’epidemia, notiamo come nel solo mese di febbraio c’è stato un crollo dell’80% delle vendite di automobili pari al 17,2% delle esportazioni. Scenario che si verificherà molto probabilmente anche nel nostro Paese. Il Cerved ha stimato 2 scenari possibili per l’economia italiana:

Nel caso più favorevole, si prevede che l’epidemia perduri fino a metà anno, bruciando un giro d’affari pari a 275 miliardi di euro nell’anno 2020/21;
Nel caso più sfavorevole, si prevede che l’epidemia perduri per lunghi mesi, con una perdita di 641 miliardi di euro, di cui 469 miliardi nel 2020 e 172 miliardi nel 2021.

Ovviamente le stime saranno rettificate di mese in mese (ma il danno economico è assicurato), e siccome i numeri in gioco non sono noccioline, l’Italia ha bisogno di una collaborazione internazionale per affrontare lo tsunami economico. In pratica abbiamo bisogno di:

Una risposta coordinata dell’Unione Europea e dei paesi G20 con politiche economiche interventiste (evitando azioni solitarie che possono risultare controproducenti);
Di un’immissione di liquidità nelle tasche dei cittadini e delle imprese, attraverso meccanismi intelligenti per sostenere la domanda (NO soldi a pioggia!);
Di una veloce ripresa economica della Cina perché rappresenta una grande catena di fornitura mondiale.

Mi preme fare un’osservazione in merito al bazooka di 750 mld sganciato dalla Bce verso le banche. L’azione è sicuramente valida, ma presenta delle criticità che potrebbero vanificare gli sforzi economici. Infatti io penso che si dovrebbe:

Fare in modo che l’immissione di liquidità nel sistema bancario, venga travasata nel sistema economico industriale;
Far comprendere che la strategia dei soldi a pioggia (compresi i prestiti) sono una boccata d’ossigeno di corto respiro che nel lungo periodo non potrà essere sostenibile;
Fare in modo che tale liquidità venga spesa dalle imprese e dai cittadini per contrastare la grave crisi di domanda;
Filtrare la posticipazione del pagamento delle tasse adottato dal Governo Italiano, distinguendo coloro che hanno subito danni dalla pandemia da chi ne è invece rimasto fuori).

Tanto in Cina quanto in Corea del Sud l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei Big data hanno contribuito in modo determinante ad arginare la diffusione del virus. Perché queste tecnologie sono così importanti per la nostra società? L’Italia dovrebbe prendere esempio da questi Paesi?

L’Italia deve cambiare radicalmente il modo di contrastare l’epidemia, giocando in attacco e non in difesa cioè inseguendo il virus. Proprio per questo è necessario l’uso di leve non convenzionali da parte delle istituzioni pubbliche. Occorre una chiamata all’industria e ai centri di ricerca per trovare un modo intelligente per usare i dati, la conoscenza e la capacità di sorvegliare. I software Intelligenti, la gestione dei big data, l’intelligenza artificiale, la robotica, i droni devono essere al servizio di uno “Stato Sorvegliante” che attraverso diversi attori (protezione civile, ospedali, operatori telefonici, ect) anticipa il progredire dell’epidemia.

Qualcuno potrebbe sollevare l’obiezione relativa al fatto che uno “Stato Sorvegliante” è una grave minaccia in quanto un’architettura nazionale di controllo può mettere a rischio la libertà individuale, ma bisognerebbe riflettere sul fatto che siamo in una situazione di emergenza e che la priorità in questo momento è la salute di tutti gli italiani. Per questo io credo che sia ragionevole il fatto che lo Stato, in questo specifico caso, by-passi le regole della Privacy Policy.

Se invece parliamo della gestione del sistema “Stato Sorvegliante” possiamo certamente discutere della modalità più adatta. Mi riferisco ad esempio alla partecipazione da parte dei cittadini, scaricando un’app che tracci tutti i movimenti fatti e che quindi monitori tutte le persone con cui ognuno di noi è venuto in contatto. Se invece parliamo dei provvedimenti restrittivi attuati dal governo cinese, trovo alquanto improbabile che possano essere adottati dal governo Italiano, per tutta una serie di motivi e di differenze tra il nostro sistema e il loro. Ad ogni modo, in Italia, al netto degli eccessi cinesi, si dovrebbero attuare misure che:

Smaterializzino le procedure di controllo (p.e. autocertificazione cartacee);
Riducano il contatto al minimo fra agenti e cittadini, delegando a robot i compiti ripetitivi e rischiosi;
Dotino il personale sanitario di strumentazione diagnostica del Covid 19 basate sull’AI in grado di individuare nuovi contagi in pochi minuti;
Traccino di continuo i movimenti dei cittadini asintomatici al fine di mappare i luoghi del contagio;
Favoriscano la donazione dei dati da parte dei cittadini per far sì che usino i big data nelle decisioni politiche, sanitarie ed economiche.

Prima raccogliamo i dati, prima contrastiamo la diffusione dei contagi.

A tuo parere, quale sarà la lezione più importante che apprenderà il mondo dell’economia globale e locale dalla pandemia del coronavirus?

È la prima volta che l’intero mondo globalizzato si trova a dover fare i conti con una pandemia. Un caso nuovo ed unico. Per dirla con Nassim Taleb è un “cigno verde” che ci fa navigare in un mare ignoto. Qualunque previsione a lungo termine è fallace. E la domanda più pressante che ci facciamo tutti è “Quanto durerà tutto questo?”. Difficile darsi una risposta.

Un team di 30 scienziati dell’Imperial College di Londra ha pubblicato uno studio che spiega che la guerra al Covid-19 durerà nel migliore dei casi il tempo di trovar un vaccino (un anno e mezzo). Quindi è più auspicabile fare previsioni di corto respiro, rispetto a quelle di lungo termine.
Se il virus persiste per un anno e mezzo le nostre abitudini alimentari, relazionali, gestionali saranno ribaltate, con impatti psicologici ed economici mai visti prima.

Appena l’Italia accenderà nuovamente i motori non è detto che torneremo al punto di pre-pandemia, perché in assenza di misure che tutelino la salute, la paura di essere contagiati prenderà il sopravvento (dando vita ad una società e ad un’economia “confinata e controllata”). Non sarà possibile frequentare luoghi affollati con la stessa serenità di qualche mese fa. Pensate ad esempio con quale spirito le persone andranno ai teatri, palestre, ristoranti o metro.

Il concetto di “normalità” verrà ridisegnato, e ogni impresa, finché non passerà la pandemia, dovrà fare i conti con i nuovi stili di vita e di consumo dei cittadini. Questo cambio di paradigma coinvolgerà molti settori. Mi aspetto un boom dell’e-commerce senza precedenti, dove le persone acquisteranno tutto ciò che ordinabile da casa, senza mettere a rischio la loro salute. Questo “distanziamento sociale” avrà un impatto anche sulle politiche dei vari stati che potrebbero passare da Stato a Stato Controllore, dove i movimenti delle persone in quarantena vengono tracciate con app, braccialetti e smartphone. Quindi potremmo vedere il più grande caso di controllo sociale mai avvenuto nella storia dell’uomo.

Nell’economia del “confine” la catena di distribuzione delle merci subirà notevoli trasformazioni. Molti Paesi svilupperanno la capacità di realizzare prodotti strategici per uso interno. Nessuno vorrà dipendere totalmente dai capricci del mercato e si tuteleranno il più possibile per ridurre il rischio di approvvigionamento. Potenziare le filiere corte della produzione locale, dell’economia circolare e la smobilitazione industriale di alcune attività produttive offshoring non sono ipotesi remote.

E chi pagherà il costo più alto di tutto questo capovolgimento?

Le fasce più deboli: poveri, anziani e immunodepressi, che dovranno fare i conti con le più alte probabilità di contagio. Per risolvere un simile scenario, non è da escludere l’intervento dello Stato Controllore capace di identificare le persone più vulnerabili attraverso l’uso di algoritmi complessi. Questo comporta però sia il rischio di fenomeni discriminatori e sia il rischio che la morsa del controllo possa stringersi in proporzione all’aumentare del contagio e del bilancio delle vittime. Ciò comporterebbe una trasformazione radicale del nostro modo di stare assieme e di vivere la quotidianità.

Purtroppo la situazione è molto complessa, perché la pandemia, se non gestita bene, potrebbe portare al collasso e alla disintegrazione sociale. Quindi tutto fa pensare che, per un bene comune, si debba tornare ad uno Stato interventista che applichi politiche di stampo Keynesiano. Mi auguro che l’Europa, e tutti gli stati che ne fanno parte, siano uniti politicamente e finanziariamente in questa sfida.

Intervista a cura di Rocco Gumina.