di Luigi Garbato

Un po’ come per l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, credo che molti di noi ricorderanno esattamente cosa stavano facendo quando, venerdì 21 febbraio 2020, abbiamo ricevuto la notizia dei primi casi di persone contagiate dal coronavirus in Italia.
Io ero ad Agripolis, il campus della Scuola di Agraria e Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Padova, dove stavano per concludersi le due giornate di orientamento dedicate agli studenti delle scuole superiori. Abbiamo appreso prima la notizia del focolaio di Codogno, nel tardo pomeriggio poi anche la notizia allarmante del focolaio di Vo, a soli 30 km da Padova.


Nonostante la paura, ho sentito comunque l’esigenza di visitare, sabato 22 febbraio pomeriggio, la raffinatissima mostra di opere in terracotta allestita nelle sale del Museo Diocesano di Padova: “A nostra immagine. Sculture in terracotta del Rinascimento da Donatello a Riccio”.
Quella è stata la mia ultima boccata di cultura, poiché domenica 23 febbraio il decreto-legge n. 6 ha disposto la chiusura al pubblico “dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 dei codici dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.L. 42/2004”.


Com’è avvenuto però durante la Seconda Guerra Mondiale (penso a film come “Monuments Men” o a libri quali “Salvate Venere!” di Ilaria Dagnini Brey) oppure come avviene in occasione dei terremoti che flagellano l’Italia, le comunità sentono la necessità di proteggere e restituire alla fruizione il patrimonio culturale ferito dagli eventi, poiché quel patrimonio rappresenta non solo la memoria storica ma anche il luogo della quotidianità vissuta dalla comunità. Non si tratta solo di chiese, campanili, palazzi, ville, teatri, monumenti, fontane e musei, ma di luoghi che parlano di noi, delle nostre radice, delle nostre aspirazioni future; le ricordano a noi membri della comunità e le raccontano ai turisti che vengono ad ammirarle.


Ecco perché nei giorni a seguire il 23 febbraio si sono moltiplicati gli appelli affinché i musei potessero restare aperti, per consentire alla cultura di venire in aiuto ai cittadini presi dallo sconforto.
La sera di domenica 1 marzo è arrivato il DPCM che ha stabilito, nelle regioni dell’Italia settentrionale, l’“apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a condizione che detti istituti e luoghi assicurino modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, e tali che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”.


La riapertura al pubblico però non è durata a lungo, dal momento che con il DPMC di sabato 8 marzo è stato disposto che “sono chiusi i musei e gli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” in tutto il territorio nazionale.
È stata una scelta drastica, sofferta, drammatica, ma certamente necessaria per contrastare l’avanzata del coronavirus che in tre settimane ha fatto più di 1.400 morti.


Tuttavia i musei hanno reagito e hanno continuato a rimanere aperti al pubblico nonostante la chiusura fisica delle loro sale.
Ecco allora che nelle chat di Whatsapp sono rimbalzati i link per visitare virtualmente alcuni celebri musei del mondo, come la Galleria degli Uffizi ; sono state offerte alla curiosità dei visitatori digitali mostre affascinanti come quella “Alle radici del Museo Botanico. Un viaggio alla scoperta delle collezioni del Museo” , una delle tante mostre virtuali ideate dall’Università degli Studi di Padova.


Su Instagram si fanno largo simpaticissimi quadri viventi, come quelli del profilo di immagini narranti, che riproducono celebri capolavori conservati nei musei di tutto il mondo.
Su Facebook si moltiplicano le spiegazioni dotte di celebri capolavori, come la Dama del Pollaiolo della Casa Museo Poldi Pezzoli.

Così come vengono riproposte le schede di approfondimento della piattaforma izi.TRAVEL, come quella dedicata al Museo Mineralogico di Caltanissetta , realizzata all’interno di un più ampio progetto ideato anni fa dalla Rete Museale Culturale e Ambientale del centro Sicilia.
I principali quotidiani nazionali inoltre propongono online video in cui promuovono i musei e offrono lezioni sui grandi monumenti della storia.


Molti altri potrebbero essere gli esempi e numerosi ancora saranno in futuro, perché anche in questo momento così difficile i musei continuano il loro ruolo di presidio culturale dei territori e delle comunità, garantendo anche attraverso gli strumenti digitali un ristoro culturale ai nostri animi turbati e preoccupati, regalando a ciascuno di noi un confortante senso di sicurezza di appartenere a un unico grande retaggio culturale che sarà fondamentale per ripartire quando l’emergenza sarà passata.