di Giulio Scarantino
Alle 21. 09 si spengono le luci, ancora il brusio del pubblico che cerca posto a sedere, saluti tra i palchetti e la platea: alcuni rumorosi, altri ginnasti, talvolta acrobatici e sul finire fugaci sguardi d’intesa.
Entrano i “suonatori” in smoking, un applauso li accoglie. La magia del teatro è pronta.
Una musica incalzante, sensuale, scandisce il tempo dello smarrimento degli ultimi sguardi curiosi. L’attesa del primo spettacolo della nuova compagnia teatrale “Thèatron” è finita. Si apre il sipario.
La compagnia teatrale tutta nissena porta in scena un classico della commedia napoletana ” la Scarfaletto” di Edoardo Scarpetta.
Non una scelta semplice quella di ripetere un classico “intoccabile” della cultura napoletana, messo in scena più volte da grandi compagnie.
Eppure nella rivisitazione nasce un prodotto originale, che traduce le tradizioni siciliane e nissene in uno “Scarfaletto” che non ha nulla da invidiare alla “smorfia napoletana”. Anzi che potrebbe essere stata scritta in Sicilia e ambientata a Caltanissetta. Diversi infatti i riferimenti alla città, l’utilizzo di un dialetto siciliano scelto accuratamente tra termini intraducibili e altri radicati nel nostro territorio.
Insomma un’ immedesimazione nella immedesimazione che non è banale, al contrario rispettosa delle origini ma fedele alla nuova ambientazione.
La storia dello “Scarfaletto” è conosciuta, sono tre atti di un’intricata vicenda familare che comincia in una abitazione con protagonisti il marito Don Felice (interpretato da Giuseppe Mastrosimone) ed Amalia (interpretata da Diletta Costanzo), entrambi portano in scena la spettacolarità del litigio, e la piega inverosimile e assurda che le vicende familiari possono prendere.
Proprio i musicisti sono l’oggetto di una delle ragioni del litigio dei protagonisti, una banda di suonatori “scassapagliari” sotto la finestra. In questo modo viene restituita dignità alla presenza dei suonatori, che sono partecipi nel racconto, dialogano a suon di musica con gli attori in scena.
Non una presenza pleonastica ma partecipe della scena. I testi originali sono di Ernesto Cerrito, le musiche originali del Maestro Toti Bruno coadiuvati da Aldo Manganaro e dal maestro Pippo Pizzo.
Tanto da dare origine alla prima lite a ritmo di tango.
Continua l’ambientazione in un teatro e si conclude in Tribunale. Insomma i luoghi naturali della commedia.
Lo spettacolo mostra l’impegno profuso per la sua realizzazione: i testi tradotti e rivisitati, continue gag, giochi di parole, fraintendimenti esilaranti. Le liriche ed i brani che hanno impegnato i musicisti e gli attori in recitazione cantate.
Per continuare un’ accurata scelta dei costumi e del trucco, degli elementi della scenografia. In quest’ultima colpisce la scelta nel “secondo atto”, ambientato appunto in un Teatro, di mostrare il retro del palco al pubblico. In questo modo la scenografia minimale che utilizza gli stessi elementi del teatro Margherita, danno un tocco leggero alla scena e mostrano ciò che il pubblico non sempre ha visto: il dietro le quinte.
Insomma un grande lavoro per mettere su uno spettacolo di due ore abbondanti.
Gli attori in scena sono diversi, così come diversa è probabilmente la loro formazione teatrale, eppure il palco elimina le distanze e le barriere per rendere la diversità un elogio alle varie forme di teatralità.
Da Giorgio Villa nelle vesti dell’Avvocato Anselmo, con una mimica minimale la sua prestazione è un elogio alla parola e all’espressività del volto. Giorgio Villa è stato accolto con un caloroso applauso, da un pubblico che in ogni occasione manifesta quanto voglia bene all’attore nisseno.
All’Avvocato Antonio con Totò Cannistraci: l’ irriverenza sfacciata che ricorda l’attitudine tutta sicula della battuta sempre pronta e della risata trascinante.
Per finire con il movimento continuo di Don Gaetano (Adriano Dell’Utri), con gesti esasperati, acrobazie mimiche è un elogio alla gestualità, alla cultura dell’inverosimile del Teatro.
Nel mezzo Funiculí Funiculà strizza l’occhio agli spettatori ricordando le origini napoletane della storia, un omaggio alla meridonalità.
Le quattro figure femminili in scena mostrano tutte le sfaccettature della donna meridionale: dall’ irriverenza di Amalia (Diletta Costanzo) , alla gelosia di Dorothea ( Simona Scarciotta), passione della soubrette Emma Carcioff ( Laura Sicari) per finire con la lucida saggezza delle due “serve” (Noemi Ballacchino, Giovanna Di Mauro) .
La diversità di generazione delle attrici nella scena viene meno, fondandosi in un’unica narrazione della donna meridionale.
Infine il “servo” (Ivan Passanisi), il “garzone” (Paride Puzzanghera) che nonostante il ruolo minore nella storia partecipano con dignità al Teatro dell’assurdo delle vicende familiari, e a chi è relegato il compito di sciogliere la matassa: il giudice Raffaele (Gino Arnone) con l’aiuto del fidato usciere Giacomino ( Sergio Di Blasi).
Tutti i personaggi nell’udienza più “folle che si sia mai vista” concludono lo spettacolo.
Ancora una volta al Teatro Margherita un pubblico straordinario, con la presenza di quasi tutta la giunta e il Sindaco Roberto Gambino che ha infine ringraziato la nuova compagnia e le tantissime persone sugli spalti. Uno spettacolo popolare, il coraggio di mettersi in gioco della compagnia Théatron, una storia inventata per divertire il pubblico che in piedi ha ringraziato “con graziosità” .
Molto belle le musiche del virtuoso Toti Bruno e ben adatti e funzionanti i testi di Ernesto Cerrito. Bravi gli attori. Personalmente consiglierei di snellire molto il testo, eliminando molte ripetizioni.