di Mario Nicolò Mattina
Da poco è terminato il periodo delle festività, in cui Caltanissetta è stata meta di tanti ritorni al suolo natio. Per questo abbiamo deciso di iniziare proprio adesso una nuova rubrica dedicata a chi vive ormai fuori dalla Sicilia, per motivi di studio o di lavoro, ma ritorna comunque dalle proprie famiglie, dai propri amici, dai propri cari.
Qualche giorno fa ero a Siena, a casa di due giovani sposi nisseni che per motivi di studio e lavoro ormai sono residenti da un paio anni nella cittadina toscana. Sono qui per fargli qualche domanda su Caltanissetta e sul loro rapporto, prima e dopo l’esodo, con il capoluogo nisseno.
Lui Giacomo e lei Francesca, giovanissimi e sposati da circa due anni, mi aprono la porta della loro casa giovialmente.
Giacomo dopo la laurea in Scienze Politiche presso l’università di Catania decide di completare i suoi studi a Siena, in Storia e Filosofia, per poter seguire il percorso che lo avrebbe portato a diventare professore e che lo vede attualmente come dottorando presso l’università senese.
“Inizialmente, arrivati alla stazione, l’impatto non è stato uno dei migliori” racconta Giacomo “poi quando abbiamo cominciato a camminare verso il centro, guardavo i grandi palazzi per la via e lì Siena, mi ha conquistato. Mi ha dato l’impressione di una bella città. Non tanto il luogo, come piazza del Campo o altro, ma soprattutto le strade mi hanno affascinato, quindi la città intera”.
“Questo ha influito sulla tua visione di Caltanissetta?” gli chiedo.
“L’ho apprezzata molto di più. L’ho rivalutata in questi anni. Per esempio il centro storico: ho acquistato un altro sguardo sia attraverso i miei studi, sia una volta che mi sono abituato ad osservare attentamente gli edifici di Siena. Questo mi ha concesso di vedere, come mai avevo visto prima, il centro storico di Caltanissetta che possiede edifici più antichi rispetto a Siena, per esempio. Per me adesso il centro storico nisseno è anche più bello rispetto a quello senese.”
“Quindi vivere in una città esteticamente bella come Siena ti ha portato a rivalutare Caltanissetta, nella sua bellezza estetica?”
“Esatto.”
“Secondo te qual è lo scarto, cioè quello che manca alla nostra città?”
“È la consapevolezza. Perché un edificio, per esempio, può essere solo un mucchio di pietre, a meno che non si sa riconoscere un edificio per il suo valore, in questo caso storicamente rilevante.”
“Guardando Caltanissetta in quest’ottica, quale potrebbe essere una sua caratteristica?”
“La cosa che si dà di più per scontato: la piazza. Ad esempio da siciliano a Siena ti accorgi di una cosa: in piazza non c’è la cattedrale! Questo per dire che quello che è scontato da noi, non lo è per niente in altre città e bisognerebbe puntare su queste piccole cose. Saperle individuare e valorizzare. Se ad esempio lavorassi a Caltanissetta e mi chiedessero dove vorrei andare a vivere, io risponderei: nel centro storico. Cioè io personalmente mi prenderei una casa in centro, la ristrutturerei, forse spendendo molti soldi, però comunque preferirei andare a vivere nel centro storico di Caltanissetta. In quanto per me non avrebbe valore andare a vivere in un nuovo appartamento, perché non ha un’identità. Per me avrebbe più valore, da siciliano, andare a vivere in luogo dove so che si vive dai tempi degli arabi. Sono consapevole che questa è una cosa che rimanendo a Caltanissetta non avrei mai pensato.”
“Pensi che questo sia comune anche ad altri nisseni?”
“Sì. Penso che stando sempre a Caltanissetta si possa venire a creare una sorta di asfissia mentale. Cioè come se tutto ciò che è stimolante si spegnesse. Ma questa non è una esclusiva nissena. In un certo qual modo alcuni senesi vedono Siena come alcuni nisseni vedono Caltanissetta.”
“Che cosa bisognerebbe fare?”
“Il problema che io vedo e che ci si sforza di rilanciare l’economia nissena attraverso realtà che cercano di portare soldi. Quando invece, secondo me, il problema è rilanciare l’identità cioè fare prima un lavoro culturale.”
“In che senso?”
“Sì, mi spiego meglio. Quello che dico è che la soluzione che ti rilancia una città, non è il fare eventi che siano meri circuiti economici che abbiano come scopo esclusivo il fare spendere soldi alle persone. Ad esempio Piazza a Colori, anche se non l’ho vissuta, non è stata pensata come un qualcosa per far spendere soldi alle persone che si recavano in piazza. Ma è stato un fare vedere che a Caltanissetta c’è gente capace di fare cose belle. Questo è un lavoro culturale, questa è la via da seguire. Questo è il discrimine del provincialismo.”
“In questi termini, quando una città diventa provinciale?”
“Lo diventa quando si copiano le cose, in senso generale, delle altre città. Quando si smette di puntare sul proprio, smettendo così di essere originali. Ad esempio, in determinate città fanno il villaggio di Babbo Natale? Allora lo si fa anche a Caltanissetta. Questo vuol dire che se io vado a Siracusa, a Catania o a Palermo trovo un villaggio di Babbo Natale che può essere più o meno eccellente, rispetto a quello di Caltanissetta. E questa comparazione ha degli effetti che possono essere negativi o positivi, ma molto spesso negativi.”
“Francesca tu invece, come hai vissuto l’andare via da Caltanissetta?”
“Mi ricordo che poco prima di partire avevo voglia di cambiare, ma non per la città. Per me è sempre stato perfetto vivere a Caltanissetta, non mi sono mai lamentata, ad esempio, del fatto che c’erano pochi locali o non c’erano tanti divertimenti, come magari fanno o hanno fatto dei miei coetanei disprezzandola e criticandola sempre. Volevo cambiare senza tuttavia avere in mente che a Siena sarebbe stata una vita migliore, ma semplicemente con la convinzione che sarebbe stato un ricominciare da zero: dalle amicizie, al lavoro, al conoscere la città…”
“Come è stato trovare lavoro?”
“Io pensavo che sarebbe stato più semplice. Mandavo curriculum ma nessuno chiamava se non per fare la cameriera. Ma io avevo ben chiaro in mente che mi sarei messa in gioco, senza accontentarmi di fare la cameriera o la babysitter o la commessa. Perché ho sempre fatto questi lavori e volevo quindi provare a trovare un lavoro che mi sarebbe potuto piacere e che, in qualche modo, poteva darmi una qualche stabilità, non tanto economica, ma di prospettiva di carriera.”
“Un lavoro di lunga durata?”
“Sì esatto: consolidare un lavoro. Quindi cercavo un lavoro secondo le mie qualità e capacità professionali.”
“Sei andata al centro per l’impiego?”
“Sì. Qui ho visto la differenza con Caltanissetta. A Siena sono stata molto aiutata nell’orientamento al lavoro. In due incontri, uno individuale e uno collettivo, hanno indagato sulle mie esperienze e preferenze. Mi hanno indicato i siti da controllare, in cui candidarmi e mi hanno illustrato sul come ricercare lavoro. Poi hanno fatto questo seminario in cui eravamo circa dieci persone, dove ci hanno spiegato come compilare un curriculum e come muoversi nel mondo del lavoro.”
“A che cosa pensi sia dovuta questa differenza?”
“Non saprei… Magari quando ero a Caltanissetta non avevo ancora maturato una grossa esperienza lavorativa e non avevo le idee molto chiare. Quindi può essere anche una mia impressione.”
“Chiaro. E questi due incontri, presso il centro per l’impiego, sono serviti?”
“Sì. Attraverso questi mezzi ho trovato lavoro con il servizio civile regionale della toscana…”
“E una volta conclusa questa esperienza non è stato difficile trovare un altro lavoro?”
“No, non è stato complicato. Lavorando con il servizio civile, diverse aziende vedendo come lavoravo mi hanno poi contattata. Diciamo che queste sono dinamiche che accomunano, più o meno, ogni città.”
“Si capisce. Bene, ho le ultime due domande e abbiamo finito. Procedo con la prima: a parte il discorso famiglia, che cosa pensi quando pensi a Caltanissetta?”
“In questo momento la prima cosa che mi viene in mente quando penso a Caltanissetta è: gente che si lamenta. Perché quello che vedo è che non c’è autostima. Ad esempio, guardando su Facebook ho visto lamentele su lamentele riguardo all’albero di Natale in piazza. E mi sono chiesta una cosa che non mi sono chiesta mai: perché si è arrivati a questo punto? Perché tutti si lamentano? Mentre qui a Siena sono forti della loro identità, hanno un qualcosa a cui aggrapparsi, loro credono alla potenzialità della propria città. A Caltanissetta ho visto e continuo a vedere gente che si spende positivamente per la nostra città ma vengono sempre osteggiati dalle continue e perenni lamentele di gran parte dei cittadini.
Io ho notato che adesso nelle mie piccole cose cerco di valorizzare Caltanissetta anche attraverso il parlarne positivamente, con altre persone che non la conoscono, di quel che c’è nella nostra città. E ci sono molte cose che hanno un gran valore, ad esempio le nostre tradizioni cittadine ma anche familiari, i nostri prodotti, i nostri luoghi e paesaggi, la nostra storia. Ma anche qualora non ci fosse niente a Caltanissetta, perché ne dovrei parlare male?”
“Inoltre” interviene Giacomo “ho come l’impressione che a Caltanissetta si va alla ricerca del costruire qualcosa di bello dal niente. Mentre già qualcosa di bello c’è a Caltanissetta, e su questo innanzitutto si deve puntare. Quindi valorizzare ciò che di bello c’è già nella nostra città. Si tratta di saperlo riconoscere e apprezzare, cioè di fare un lavoro culturale.”
“Giacomo quindi quale pensi che sia l’inghippo?”
“Penso che, in generale, quando si fa qualcosa a Caltanissetta si pensi soprattutto al proprio ritorno economico nell’immediato. Cioè si pensa di trovare e proporre qualcosa che garantisca e porti sempre i soliti soldi. Non si pensa più a proporre qualcosa come è stato il Festival di Rosso di San Secondo.”
“Pensi che ci sia poco interesse per la cultura?”
“Sì. Ma anche nel dirigere le iniziative. Ad esempio nella rivalutazione del bunker: si ha a disposizione un sito che ha già una sua identità chiara e specifica. Lo si è denaturalizzato, denudandolo della propria identità e lo si è fatto diventare una vetrina. Penso che se si fosse fatto in quel luogo, un luogo di propagazione dei racconti sulla seconda guerra mondiale, sui bombardamenti, questo avrebbe creato identità: quelli siamo noi, sono i nostri nonni. Quello che dico è che manca un’idea di identità.”
“Vorrei aggiungere una cosa…” afferma Francesca “vivendo fuori da Caltanissetta e stando in relazione con i senesi di cui molti sono forti della propria identità, della propria città. Mi è venuto il desiderio di conoscere meglio la mia città di origine, di scoprirla più a fondo, di spendere di più per essa. Cioè se fossi rimasta a Caltanissetta, magari non mi sarei interessata più di tanto alle bellezze che la città offre e può offrire. Vedo che in questo sono cambiata: se c’è da uscire e spendere qualcosa per qualcosa di culturalmente interessante, lo faccio. Perché il cittadino non può pretendere di avere tutto e non contribuire in qualche modo alle spese della città.”
“Penso la questione giri sempre intorno ad una cosa: il bello!” afferma Giacomo “Perché il culturale non vuol dire solo conoscere libri. Nel Medioevo, nell’ospedale del Santa Maria della Scala a Siena, gli ammalati stavano in una stanza affrescata perché il concetto era che il bello, cura. Perché il bello, la bellezza, innesca qualcosa nelle persone. E purtroppo vedo come a Caltanissetta non si fanno cose belle.”
Alla fine di questa intervista non può che riecheggiare nei pensieri quella frase, ripetuta all’estremo, di Dostoevskij, che nel libro L’idiota afferma: «La bellezza salverà il mondo». E non possiamo essere non convinti che la bellezza possa salvare anche Caltanissetta.
Complimenti, bellissima intervista! E complimenti ai due giovani nisseno che adesso risiedono a Siena, mi piacerebbe conoscerli quando torneranno a Caltanissetta per le loro vacanze.