Di Giulio Scarantino
Pochi giorni fa c’è stato un caso di cronaca locale venuto alla ribalta: successo a Canicattì, un datore di lavoro avrebbe, stante la pronuncia del giudice di primo grado, estorto il dipndente per ottenere la restituzione del TFR, la rinuncia alle ferie, tredicesima e via dicendo minacciando di licenziarlo, costringendo altresí quest’ultimo ad accettare una paga misera. Oggi un altro episodio, questa volta a Caltanissetta, di un operaio che ha tentato il suicidio per fortuna sventato dell’intervento delle forze dell’ordine. Questi avvenimenti riportano al centro del dibattito la condizione dei lavoratori.
A prescindere da come finirà il caso processuale accaduto a Canicattì, non nascondiamoci dietro ad una notizia di cronaca: il mondo del lavoro, soprattutto in Sicilia é costellato da più o meno consitenti, esplicite o tacite minacce. Basti pensare all’ esercito di giovani camerieri sfruttati e mal pagati ovvero ai lavori piu umili nelle fabbriche, nell’ ambito dei costruttori, tra tutti i settori a maggiore rischio e piu vulnerabili alla violazione dei diritti dei lavoratori.
Eppure nella muta disperazione di queste persone a volte ci chiediamo perché non si ribellano, perché non fanno valere i propri diritti, finendo per giudicare senza in realtà trovarci nella stessa situazione. Per questo ho deciso di provarci.
Supponiamo che un giorno mi alzo e decido di non voler più continuare cosi, decido di parlare con il mio datore di lavoro per avere ciò che mi aspetta, il TFR o una giusta paga, gli strardinari non paagati che mi hanno fatto perdere anche il primo compleanno di mia figlia.
Facciamo che lo faccio, finalmente sarò un uomo anche per un solo giorno. Oggi prima di andare in quella triste fabbrica a piegare ancora un po’ la mia schiena, accompagno mia figlia all’asilo, che solo Dio sa come faccio a mantenerlo. Ti guardo negli occhi figlia mia, cerco anche in te uno spunto per la mia rivoluzione. Facciamo che per oggi finisco al mio orario, quello giusto. L’orario di uomo e non di animale. Per questa volta drizzo la mia schiena e varco la soglia dell’ufficio. No non non mi hanno chiamato, son venuto io, non sono terrorizzato, ho deciso di giocare a carte con il mio destino e son sicuro: ho la mano vincente. Il buon Dio aiuta semprre gli audaci e poi l’ho visto nei film, finisce sempre bene a chi fa valere i propri diritti.
Facciamo che mi hanno licenziato. Mi dicono tutti che ho ragione, anche mia moglie supporta la mia scelta. Devi farti valere mi dicono, è un licenzamento senza giusta causa. Però qui ci sta scritto che l’azienda é in crisi ed io sono il piu vecchio e meno incline alla tecnologia, che era inevitabille.
Va bene mi faccio valere, ma io neanche lo conosco un avvocato. Insomma non voglio dire che sono tutti uguali, o che nessuno di loro è un brav’uomo. Si c’ è quel mio cugino, o l’amico di mio cognato ma chi li conosce, come faccio a fidarmi, come posso consegnare tutto ciò che ho avuto nella vita ad una persona che non conosco neppure.
Facciamo che mi cerco un nuovo lavoro mentre aspetto la sentenza sulla mia vita, facciamo che in paese si è sparsa già la voce e nussuno vuole piu assumermi. Mia moglie è dalla mia parte ma le bollette no, arrivano comunque. I numeri sono senza scrupoli. Facciamo che per poter lavorare devo andare via, lasciare qui mia moglie e mia figlia. Facciamo che mia moglie non è più dalla mia parte, che forse avrei potuto resistere ancora un altro po’. Non posso più permettermi l’asilo e non posso più guardare negli occhi di mia figlia la rivoluzione, ma solo la vergogna e il fallimento.
Facciamo che oggi mi alzo, stringo ancora un po’ la cinghia, prendo la camicia ancora sporca del giorno precedente e faccio finta di niente.
Facciamo che non posso neanche sfogarmi con gli amici, perché tanto di cosa ti lamenti siamo tutti sulla stessa barca e chi non lo è mi direbbe di confessare tutto, di ribellarmi, di far valere i miei diritti. Si sono codardo e me ne vergogno. E poi questi diritti sono troppo sopravvalutati. Io non li ho mai visti, nessuno me li ha mai presentati. Sono sempre tra le mani degli altri.
Si facciamo che ricomincio dal mio TFR restituito, dagli straordinari non pagati, dalla busta paga che piange. Ricomincio dalla schiavitù, in fondo sono figlio di un muratore cosa potrei mai pretendre. Facciamo che oggi passo da quel ponte e quanto é vero Dio, per un giorno troverò il coraggio. Preferisco perdere la mia vita che il lavoro.
Facciamo che… Cosa facciamo per queste persone? Per il nostro “fratello figlio unico, maltrattato, calpestato, sottomesso, disgregato”?
Bravo Giulio.Condivido e apprezzo il tuo articolo.