Di Carlo Vagginelli
“Cambia, todo cambia!” cantava Mercedes Sosa, e questa folle estate, con i suoi repentini cambiamenti, si è preoccupata di darle ragione. Le vicende umane e politiche, del resto, sono spesso accompagnate da una rilevante dose di imprevedibilità e se guardiamo ai fatti di questi mesi possiamo facilmente rendercene conto:
– fino alle elezioni di maggio il dibattito europeo sembrava schiacciato dall’alternativa tra mera conservazione dell’esistente e distruzione del processo di integrazione. Oggi la nuova Commissione UE promette l’abbandono delle politiche di austerità e progetta la revisione dei Trattati, mentre la prossima governatrice della BCE afferma di voler rivedere la politica monetaria della zona euro introducendo strumenti simili ai Treasure Bond USA;
– nelle scorse settimane Boris Johnson ha tentato di imporre l’uscita unilaterale del Regno Unito dall’Unione europea, ma è stato sconfitto dal suo Parlamento ed oggi è costretto a gestire la Brexit attraverso una difficile trattativa diplomatica;
– anche oltreoceano la prospettiva anti-europea dell’amministrazione Trump sembra essere stata abbandonata a vantaggio di un nuovo dialogo con l’UE, suggellato dall’ultimo G7.
Più in generale, l’avanzata del sovranismo trova ovunque una resistenza maggiore rispetto a quanto sarebbe stato lecito immaginare ed anche in Italia l’ascesa dell’uomo del Papeete ha trovato un punto di arresto grazie all’accordo di governo tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico.
Questo vuol dire che i democratici hanno vinto la loro partita? Assolutamente no: la destra è ancora forte ed espone apertamente il volto truce dei nazionalisti, ma anche del clero reazionario statunitense e dell’impresa che estrae valore senza crearne.
A fronte di ciò, l’errore che i democratici devono evitare è quello di concepirsi esclusivamente come argine all’avanzata del nazionalismo sovranista, come forza di contenimento rispetto all’impeto di chi vorrebbe cambiare tutto. Far propria questa narrazione sarebbe un errore fatale, perché il sovranismo non rappresenta affatto il cambiamento, ma la peggiore destra reazionaria.
Dal fisco alle regole del mercato del lavoro, dal giudizio sull’integrazione europea alla gestione dei flussi migratori, la politica sovranista si insinua nelle fratture della società, raccogliendo il consenso degli esclusi per rappresentare gli interessi dei più forti. Se questo giudizio è fondato, il ruolo dei democratici non può certamente essere quello dell’argine, dev’essere quello del fiume che travolge tutto e cambia lo stato di cose esistente.
L’ha spiegato con la sua solita lucidità Fabrizio Barca: se il Governo scegliesse la strada di un’ordinata gestione degli affari correnti, ci troveremmo in una situazione più grave rispetto a quella di oggi. Sarà quindi necessario dare voce a chi si sente escluso, mettendo in campo un’agenda fondata sul contrasto alle disuguaglianze e sulla riconversione ecologica del nostro modello di sviluppo.
Serviranno scelte coraggiose: politiche redistributive e predistributive, a partire da quelle salariali, di coesione territoriale e di formazione; un enorme investimento nei servizi pubblici universalistici, dall’accesso alla casa, alla cura dell’infanzia, all’assistenza sanitaria; politiche industriali e risorse per lo sviluppo sostenibile, l’efficientamento energetico, la mobilità pubblica, la gestione dei rifiuti, la cura del territorio.
In questo contesto andrà collocata anche la battaglia per il rilancio del Mezzogiorno, l’area del Paese in cui tutte le disuguaglianze si concentrano e si aggravano. Il Sud non è una causa persa, ma per sostenerne il riscatto serviranno investimenti in infrastrutture materiali ed immateriali, la prima delle quali non può che essere una pubblica amministrazione intelligente, trasparente e qualificata. La scelta di Peppe Provenzano quale nuovo Ministro per il Sud e la Coesione territoriale va quindi salutata positivamente, non soltanto per le sue competenze professionali, ma soprattutto per la sua sensibilità politica di uomo di sinistra. Del resto, chi potrà mai porsi il tema delle intollerabili differenze di opportunità che esistono tra un bambino nato a Caltanissetta ed uno nato nel centro di Milano se non lo farà la sinistra? Nessuno.
Anche un’agenda di governo radicale e di cambiamento non sarà però sufficiente se non verrà accompagnata dall’impegno collettivo di partiti, organizzazioni di rappresentanza del lavoro, associazioni di cittadinanza attiva, mondo della cultura e della formazione.
Per ciò che riguarda il mio Partito, penso che abbia ragione Goffredo Bettini nel chiedere al Partito di tornare a dare battaglia per costruire una società coesa e solidale, guardando alla vita reale delle persone e radicandosi nei luoghi di sofferenza e solitudine. Vale anche per la nostra piccola realtà di provincia, caratterizzata da mille contraddizioni e difficoltà. Anche in questo territorio occorrerà piantare semi di cambiamento, mobilitando le energie migliori di chi non si rassegna ad un destino di marginalità, ricordando con Simone Weil che “come nelle reazioni chimiche […] così anche nelle cose umane i semi impercettibili di bene puro operano in modo decisivo con la loro sola presenza, se vengono collocati ove è necessario”.
Caltanissetta è una città con enormi problemi, ma anche con uno straordinario patrimonio di risorse da valorizzare, a partire dalle tante realtà imprenditoriali, associative, artistiche ed aggregative che sono nate nel corso degli ultimi anni. Nei prossimi mesi, peraltro, questo territorio potrà cogliere alcune occasioni importantissime: le risorse di Agenda Urbana, l’inclusione nell’ambito delle Zone economiche speciali, l’istituzione di nuovi corsi universitari.
Credo che il PD nisseno debba vigilare affinché nessuna di queste opportunità vada sprecata e penso che dovrà affrontare questa sfida costruendo un grande dibattito sulla Città, finalizzato a far uscire dalle stanze degli uffici tecnici questioni di assoluta rilevanza politica.
Nel farlo bisognerà porsi il problema di costruire una nuova sensibilità per l’interesse pubblico ed i beni comuni, promuovendo un’articolata iniziativa di educazione civica che tocchi i temi della gestione dei rifiuti, della cura del verde urbano, della mobilità sostenibile.
Per recuperare la credibilità perduta, però, bisognerà soprattutto tornare a farsi percepire come donne e uomini impegnati in battaglie utili ai cittadini, per questo serviranno iniziative di mutualismo, di ascolto e di sensibilizzazione.
Dicevo che sono stati mesi strani. Fino a poco tempo fa non avrei mai pensato di tornare a vivere a Caltanissetta, eppure sono di nuovo nella mia Città, accompagnato dalla persona che amo.
Sono pronto a far sì che questa scelta non sia solamente un gioco del destino o un colpo di fortuna, ma sia soprattutto un atto politico. Alla comunità del PD nisseno ed a tutti i cittadini disposti a battersi dico quindi che, insieme a tante e tanti, sono pronto a dare una mano per costruire una prospettiva nuova per questa città.
Scrivendo Conversazioni in Sicilia, Elio Vittorini ci ha regalato una meravigliosa pagina di letteratura ed una splendida riflessione sulla natura umana, sulle ragioni della sofferenza che accomuna tutti gli uomini e su ciò per vale la pena battersi. Il dialogo tra i personaggi fa più o meno così:
«“Per cosa soffriamo noi?” l’uomo Ezechiele chiese. “Per il dolore dell’umano genere offeso”. E l’uomo Ezechiele: “Non per noi stessi dunque. Per il dolore del mondo offeso. Non per noi stessi…”».
Ecco per cosa dovremo batterci e soffrire: non per noi stessi, ma per il dolore di un mondo (e una città) che aspettano solamente noi per rimettersi in piedi.
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