di Ivan Ariosto

Tra oggi e domani milioni di studenti italiani si recheranno nuovamente nelle scuole, ed alla luce dello scenario socio-culturale del nostro Paese, urge domandarsi quale sia lo stato clinico della scuola di oggi.

Da tale analisi emerge il quadro di un Paese lacerato da enormi disuguaglianze: basti pensare che, attualmente, nelle regioni del Sud quasi il 50% degli studenti è sotto la sufficienza di italiano, che l’evasione dall’obbligo scolastico in Sicilia raggiunge il 25% e che oltre l’80% dei bambini siciliani non usufruisce di una mensa scolastica.

Se è vero che le responsabilità dello stato comatoso in cui si trova attualmente la scuola italiana gravano per lo più sulla politica (solo Romania e Irlanda assegnano all’istruzione risorse inferiori a quelle assegnate dall’Italia), non si può non constatare come questo problema non venga neppure percepito dalla gran parte delle persone; va preso atto, insomma, che viviamo in un Paese sempre più convinto che la scuola non serva, che le cose realmente gravi siano “ben altre”.

Oltre al totale ripudio per il passato (concepito ormai come un mero ostacolo verso il “progresso”), la scuola italiana di oggi si muove nel solco delle seguenti direttrici: appiattimento sul pensiero unico, riduzione a semplicità estrema delle questioni più complesse, condanna di qualsiasi pensiero critico e difforme, apprendimento superficiale e meccanico. Queste sono soltanto alcune delle piaghe che oggi appaiono evidenti sulla pelle dell’istituzione deputata a formare “la nuova classe dirigente”, già lacerata da anni di infruttuose riforme.

La scuola di oggi ha rinunciato alla sua missione di formare individui capaci di stare al mondo – a prescindere dall’ambito sociale di appartenenza – per abbracciare ciecamente l’idolatria delle competenze settoriali, per cui se un alunno frequenta un istituto tecnico-scientifico non si può pretendere che studi alla perfezione anche l’italiano o la storia…

Tale convinzione è stata avallata anche dai vertici di Confindustria, i quali – guardando esclusivamente ai propri interessi – hanno più volte ribadito come compito della scuola di oggi sia quello di «insegnare l’etica aziendale, l’inglese, e come trasformare un’idea in una impresa». Così, sulla scia di tali premesse, le recenti riforme – come la fallimentare “Buona Scuola” del governo Renzi – hanno provveduto ad infarcire le scuole di scartoffie e di burocrazia, di dirigenti scolastici con manie di protagonismo, di lavagne digitali, di slide proiettate su pareti fradice di muffa, di deleteri confronti coi genitori, di sterili inglesismi, nonché di un’alternanza scuola-lavoro utile solo a preannunciare allo studente la sua futura condizione di sfruttato pagato in nero.

E allora non ci si può stupire se, nelle scuole di oggi, si commemora la Strage di Capaci con un balletto o si ricorda l’Olocausto tramite la visione di bizzarri film pluripremiati. Si vogliono sensibilizzare i ragazzi? Allora, invece di mandarli 15 giorni a Barcellona, portateli in gita a Dachau o ad Auschwitz (li ho visitati ai tempi del liceo, avevo 17 anni, ed il fischio gelido di quel vento risuona ancora nelle mie orecchie a tal punto da farmi odiare qualsiasi forma di discriminazione per il resto della mia esistenza), raccontate il fastidio dei siciliani nel trovarsi nello stesso bar, ristorante o condominio di Falcone durante gli anni ’90…

Il male maggiore della scuola di oggi è la patetica fragilità intellettuale delle sue premesse. Interrogarsi su questo tema è forse l’unico modo per raccontare il declino dell’Italia: bisogna prenderne coscienza e intervenire urgentemente, il tempo rimasto non è molto, ma è ancora sufficiente per cambiare le cose.