Di Tommaso Junior Mancuso
Si è svolta ieri, 20 agosto, la seduta in Senato riguardante la crisi di governo iniziata a causa delle dichiarazioni e, successivamente, della mozione di sfiducia presentata dalla Lega nei confronti del Primo Ministro, Giuseppe Conte. Molteplici gli interventi che si sono susseguiti nel pomeriggio, nel corso della riunione che si è protratta per circa sette ore, tra cui quelli dell’ex Premier Matteo Renzi, dei Vice Premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio e, ovviamente, del Primo Ministro in persona.
Ciò che è evidente dai discorsi pronunciati in aula, non con poche polemiche da una parte e dall’altra, è la spaccatura venutasi a creare tra le due compagini che, per quattordici mesi, hanno retto il governo del Paese. Le accuse sono volate da ambo le parti: i pentastellati accusati di bloccare qualsiasi proposta che persegua il progresso del paese, i leghisti di essere traditori del contratto firmato con gli ex alleati e, dunque, degli italiani. A stupire, però, è stata la netta presa di posizione del Primo Ministro Conte che, mantenendo un gran contegno, la calma che lo ha contraddistinto in questi mesi e dimostrando un grande rispetto delle Istituzioni, ha accusato il suo Ministro degli Interni e Vice Premier, Matteo Salvini di essersi comportato da uomo “pericoloso, autoritario, poco rispettoso”. Un gigante in mezzo ai nani, con il suo portamento, il suo atteggiamento pacato ed il suo profilo di alta istituzionalità, Conte sembra avere colpito nel segno, tanto da spingere la Lega, nel corso del pomeriggio, a ritirare la propria mozione di sfiducia, forse nel tentativo di ricucire lo strappo con il movimento e di convincerlo a portare a termine alcune riforme prima di andare al voto (probabilmente anche per cercare di scongiurare la minaccia di un accordo rosso – giallo in vista delle consultazioni).
Il dietrofront della Lega non solo si è rivelato una mossa inutile, dato che il Premier non ha esitato, nella stessa serata di ieri, a recarsi al Quirinale per consegnare la lettera di dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma si è dimostrata addirittura deleteria per quella che è la credibilità del Carroccio e del suo leader, Salvini. Nel suo discorso finale, infatti, nel confermare la propria intenzione di dimettersi dal proprio ruolo istituzionale, Conte ha avuto, in questo modo, la possibilità di accusare il proprio ministro di “poco coraggio”, marcando la differenza tra se ed il Vice Premier.
Ora, nonostante la caratura a livello giuridico dei due protagonisti principali della giornata giochi senza dubbio a favore del giurista e professore ordinario di diritto privato, Giuseppe Conte, tanto da rendere prevedibile l’esito di un incontro/scontro tra lo stesso e Matteo Salvini, rimangono comunque delle domande irrisolte, delle questioni poco chiare. Il Presidente del Consiglio, ex art. 95 Cost. “dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”. Ecco, dunque, che ripensando alla sua attività nel corso di questi quattordici mesi sorgono, appunto, dei dubbi. Il Presidente Conte, infatti, non ha partecipato alla formazione del programma di governo, ma lo ha quasi subito, impegnandosi a far fede ad un “contratto” stipulato dai due partiti ex alleati. Chiarissima, sin dall’inizio, è stata la differente linea politica dei due partiti, messa in evidenza da continui litigi riguardanti molti argomenti di alto rilievo: Ilva, TAP, TAV sono gli esempi più lampanti e conosciuti, ma non gli unici. Un profondo rispetto del proprio ruolo istituzionale, quale ieri sembrava dimostrare di avere, probabilmente avrebbe dovuto spingerlo a dimettersi già in precedenza, anzi a non accettare di essere mero esecutore di idee e programmi altrui. Ma, cosa forse più importante, un ministro della Repubblica che giudichi pericoloso, autoritario non dovrebbe essere sfiduciato da lui stesso, per evitare danni maggiori? O dobbiamo credere che se ne sia accorto solamente nel corso dell’ultima settimana? Poco credibile.
Molto più probabile che, in virtù del consenso maturato in questi mesi, grazie anche al Movimento, anche lui abbia voluto sfruttare il momento di gloria, così come intendeva fare Salvini che nei sondaggi è alle stelle. Il leghista sperava di giungere presto alle urne per sfruttare l’onda buona e conquistare la guida di un governo di alleati veri, il professore ed il Movimento, dati i sondaggi negativi, sperano di riuscire a raggiungere un accordo con il PD allo scopo di terminare la legislatura e riabilitarsi, così, agli occhi degli elettori.
Non esistono santi, in politica.
Commenti recenti