Di Carmelo Sostegno
José Saramago è il Nobel per la letteratura 1998. Fu uno scrittore «ostinato, radicale, ironico», dallo stile straordinariamente inconfondibile, e celebre per quella resistenza necessaria che a suo dire originerebbe i comportamenti dell’uomo; uomo tuttavia cieco, senza nome, invisibile.
Due anni prima di morire, era il 2008, col supporto della moglie Pilar, il Nobel portoghese decise di aprire il caderno.saramago.org, un blog all’interno del quale poter intervenire liberamente su qualsiasi argomento, in particolare a difesa della democrazia, della laicità e della povera gente, senza mai assolutizzare. In Giorno 23, ad esempio, riportando la prefazione al libro El alma de los verdugos (L’anima dei carnefici) del giudice Baltasár Garzόn, denunciò l’abitudine di «considerare volontà e libertà come concetti in se stessi positivi», precisando che sempre troppo tardi ci si «accorge d’improvviso che volontà e libertà possono esibire sull’altra faccia la loro assoluta e totale negazione». Faceva riferimento alle nefandezze di cui il generale Videla, ma anche al 43° presidente americano George W. Bush e al primo ministro italiano Silvio Berlusconi.
A un anno dall’apertura del blog, i vari interventi pubblicati tra il settembre 2008 e il marzo 2009 vennero raccolti al fine di realizzarne un libro: O Caderno. In Spagna, in Portogallo e negli Stati Uniti la proposta venne accolta felicemente dalle case editrici che provvidero alla pubblicazione; in Italia, invece, l’Einaudi (casa editrice che stampava i libri di Saramago già da circa vent’anni) rifiutò senza alcuna possibilità di trattativa.
Il problema lamentato dall’Einaudi – se così ci è possibile definirlo – risiedeva nella presenza all’interno della raccolta di due “violenti” interventi contro Silvio Berlusconi. La casa editrice torinese, parte del gruppo Mondadori (e quindi di proprietà di Berlusconi) già dal ‘94, parò le accuse di censura sostenendo che l’autore adottasse un tono «puramente diffamatorio», aggiungendo che sarebbe stato imbarazzante rispondere in tribunale di frasi come “nella terra della mafia e della camorra che importanza può avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente?”.
La strategia fu quella di ricondurre il rifiuto nel novero della mera discrezione editoriale. Detto altrimenti: nelle inevitabili quanto (forse) logiche conclusioni di una casa editrice che non può certo pubblicare diffamazioni contro il proprietario. Ma se ad alcuni la scelta apparve logica e inevitabile, ad altri indubbiamente infetta. Bastò prescindere dal caso Saramago per cogliere il punto più sincero (e ancora attuale) del dibattito e che riportò a galla domande assai note, risposte altrettanto note, un problema mai risolto: può l’Einaudi rifiutare un libro in cui si parla male del suo proprietario? Forse sì; può una casa editrice importante come l’Einaudi – e così la Mondadori e le maggiori reti televisive – appartenere a un primo ministro (Berlusconi IV) e alla sua famiglia? Quale relazione dovrebbe intercorrere tra l’editoria e il leader della prima forza politica di un paese?
In breve, questi imbarazzanti interrogativi tornarono alla retorica, assai nitida l’illegalità con cui Berlusconi acquistò la Mondadori, quindi il grande potere editoriale ancora nelle sue mani. Il 16 novembre 2001, infatti, la stessa Corte di Cassazione confermò la sentenza di condanna in appello per i quattro fedeli di Berlusconi accusati di corruzione giudiziaria – Vittorio Metta, il giudice pagato da B., all’epoca annullò la decisione (famoso lodo Mondadori) con la quale il collegio arbitrale impediva allo stesso B. di ottenere le azioni della famiglia Formenton-Mondadori, in quanto spettanti al socio Carlo De Benedetti – e nel 2009, il giudice di Milano Raimondo Mesiano condannò Fininvest a risarcire la Cir (holding italiana controllata al 46% dalla COFIDE della famiglia De Benedetti, nda) per 749.955.611,93 euro». Decisione che verrà confermata in terzo grado (2013) per un importo ridotto di pochi milioni.
Il caso Mondadori, qui solo accennato, è uno dei tanti ascrivibili ai misteri-non misteri dimenticati, uno dei tanti danni cagionati alla democrazia dall’attuale deputato del Parlamento europeo – sindrome di Stoccolma e rebus perfetto. Ma il punto è il seguente: il dominio dell’informazione deriva dalla consapevolezza (e Berlusconi questa l’ha avuta fin dall’inizio, ahinoi) che la parola può condurre al dispotismo. «I maggiori colpevoli – disse Saramago in merito al rifiuto da parte dell’Einaudi – sono quei mezzi di comunicazione che adottano prontamente la voce del padrone anche quando danno l’impressione di contestarla. Del resto, per il capo la servitù volontaria è la cosa più vantaggiosa perché gli consente l’alibi di negare ogni censura, di negare di aver mai ordinato a qualcuno di proibire questa cosa o quell’altra». Per Saramago «l’eccessiva prudenza dei dirigenti è arrivata al punto da far fare loro una cosa che probabilmente nessuno aveva imposto».
Quello che ne deriva è un mondo di scontro perenne, indifferente, sordido, che arriva a censurare anche una voce viva e libera come quella di Saramago, di là dal Nobel. È il conflitto ad essere un processo generativo, creativo; è il conflitto e non il consenso la matrice della democrazia. Oggi, l’Italia sembra convinta del contrario, insiste sullo scontro che altro non è che una terribile degenerazione del conflitto. Riflessioni di Hannah Arendt, queste. Riflessioni di Saramago, uomo che sapeva imparare dalle parole che usava, voce eretica, esplicita e rivoluzionaria che andrebbe letta e studiata. Parole che salvano il popolo, distruggono il popolo, la cui felicità era un tempo possibile solo senza una storia; «domani si dirà che la felicità dei popoli è il risultato di un’amnesia generale».
Sono d’accordo con Saramago che il Catilina di oggi è berlusconi. Io supplico i suoi elettori ad aprire gli occhi e non votarlo più sarebbe l’ unico modo per togliergli quel potere di cui si è servito per risollevarsi e diventare più ricco all’ Italia ha fatto solo del male!