Di Giulio Scarantino

A pochi passi dai colori, i profumi e le culture della Strata A Foglia incontriamo chi ha fatto della multiculturalità la sua casa: Luca Vullo. “Il concetto di casa per me è relativo, ormai è da diversi anni che sono un cittadino del mondo. Ho scelto Londra per la sua libertà.” Sarà forse per questo che nel suo continuo spostarsi, tracce di dialetto siciliano di origini confuse sono rimaste nel suo parlare. Resta indistinguibile invece il suo interloquire a gesti.

Proprio dal suo nuovo libro “L’Italia s’è gesta. Come parlare italiano senza parlare” inizia la nostra chiacchierata:

Ti conosciamo per i tuoi documentari e le importanti collaborazioni tra New York e Londra, dove sei diventato esperto di linguaggio non verbale. Come mai hai deciso adesso di scrivere il tuo primo libro?

A dirti la verità è da diversi anni che penso di scrivere un libro sulla mia avventura, qualcosa che potesse raccontare come ho portato la lingua italiana dei gesti nel mondo. Una testimonianza del fatto che non ho inventato nulla ma partendo da qualcosa che rappresenta la nostra quotidianità ,dicui a volte neanche ci accorgiamo, sono riuscito a far cose che reputo straordinarie e inaspettate. Finalmente mi è capitata una grande occasione per farlo.

Ti riferisci alla Ultra edizioni  e alla sua collana “Veni vidi risi”?

Si, in particolare Stefano Sarcinelli che è un amico ma soprattutto un grande autore, comico, attore e regista italiano. Mi seguiva già da anni con la sua trasmissione Italiani incontinenti di Radio Rai Due era molto affascinato dalla mia storia, l’anno scorso ha iniziato questo progetto curando una collana comica, mi ha chiesto se volessi raccontare la mia avventura. Insomma mi ha servito un assist perfetto, finalmente ho potuto focalizzare la mia attenzione sulla scrittura del libro potendo racchiudere tutte le esperienze pazzesche che ho avuto in un’unica chiave di lettura che è appunto la comicità.

Hai trovato difficoltà nell’utilizzare il codice scritto per descrivere i gesti o per raccontare in chiave comica la tua esperienza?

La difficoltà maggiore è stata scrivere la mia storia facendo i conti con un determinato genere narrativo . Inizialmente ho fatto fatica perché tendevo ad essere molto autobiografico, ritenendo che già l’episodio citato fosse in sé comico ed invece con l’aiuto di Stefano ho capito che non era abbastanza. Il rischio era di raccontare qualcosa che non divertisse realmente il lettore. Anche far sintesi di tutto ciò che ho fatto, escludendo esperienze o dettagli che ritenevo fondamentali a livello di comunicazione non verbale ma che rischiavano di sviare il filo narrativo. Dopo la prima, la seconda, alla terza stesura sono riuscito a completare la narrazione.

 

Perché un italiano dovrebbe leggere un libro che parla della lingua italiana e della tua esperienza nel portarla fuori?

Perché io parto dal fatto che ho raccontato al mondo la gestualità, ma nel libro affronto tutto quello che riguarda il confronto che ho avuto con le altre culture. Il resoconto del confronto internazionale tra la nostra gestualità e quella del resto del mondo, come metodi, incomprensioni ed errori interculturali. Tutto ciò mi ha permesso di fare una auto analisi su come siamo fatti noi e come sono gli altri. Su questo ti annuncio solamente che il risultato dell’analisi è che siamo dei veri e propri super eroi!

Dopo qualche minuto di chiacchierata Luca tira fuori il suo libro e con piacere ci mostra la copertina con una foto di Ettore Maria Garozzo. Con il fotografo nisseno esiste una collaborazione che parte da lontano “la stessa pazzia che ci unisce, un filo conduttore di comune idea di pensiero. Quello di far cose, di essere propositivi e non soltanto polemizzare” convengono entrambi. Da questi presupposti di pro positività che viene fuori l’evento del 22 Luglio, la presentazione del libro durante il festival Sicilia dunque penso con la collaborazione della libreria Ubik che ha risposto presente all’ invito della casa editrice. La collaborazione tra i due si ripeterà in una presentazione del libro che i protagonisti annunciano come fuori dal comune e informale, per rendere il pubblico più partecipe possibile.

Concluse le domande sul suo nuovo libro, sciolto il ghiaccio, proviamo a conoscere meglio la persona dell’autore.

Il filo conduttore dei tuoi lavori artistici, e non solo, sembra essere sempre il tema della migrazione: prima con “Dallo zolfo al carbone”, poi con” Influx” per finire con l’aver portato in giro per il mondo la lingua dei nostri gesti .

Come nasce il legame con questo tema?

La prima volta che ho pensato di fare un documentarono sulla emigrazione è derivata da due fattori principali. Uno quando ho compreso che mi trovavo in un territorio di minatori che erano partiti dopo un certo periodo per andare in Belgio. Questa è stata la prima molla di curiosità “Perché tutti in Belgio?”, ho scoperto così con un amico nisseno Mauro Sapienza del patto italo-belga. L’altro punto chiave era che in quel periodo c’era il boom del centro di accoglienza di Caltanissetta. Ho pensato che forse avremmo potuto comprendere meglio quel fenomeno che ci stava coinvolgendo in prima persona, ragionando su quanto siamo stati e siamo anche noi emigranti. Forse pensare ad un nostro potenziale nonno quando andò in Belgio ci avrebbe fatto vedere la realtà contemporanea in modo diverso.

Questo legame continua con Influx sulla emigrazione a Londra degli italiani.

Nel secondo step ero un vero e proprio migrante all’ estero, effettivamente iscritto al registro degli italiani all’estero e residente a Londra. Inizialmente non avevo nessuna intenzione di scrivere sugli emigrati italiani ma trovandomi nel boom più grosso e importante dopo il dopoguerra, ho sentito l’esigenza di dire “cazzo sono parte di questa emigrazione, c’è un’emorragia totale: devo raccontarla”.

Da persona che ha coltivato la diversità, quali ragioni dai ad un contesto socio-politico in cui partiti  definiti sovranisti hanno come fulcro del loro dibattito politico la difesa delle frontiere, i muri, la chiusura verso l’esterno?

Le ragioni sono evidenti, nel senso che una certa politica interessata a raccogliere il malcontento generale utilizza come strumento il diverso, il migrante per demonizzare qualcuno sulle cose che non vanno. Per gli inglesi con il referendum erano gli europei, gli stranieri, che “stanno rubando tutto” poi hanno compreso che non era così e stanno facendo il mea culpa. Chi ha votato Trump si sta rendendo conto che è una persona assolutamente riprovevole dal punto di vista umano e politico. Su Salvini non trovo parole per descrivere il personaggio, di certo non lo stimo neanche un po’. In risposta a questo periodo che stiamo vivendo posso dire, anche se non mi occupo di politica rappresentativa ma la faccio con la cultura e con ciò che scelgo di fare nella mia vita, la scelta di fare da volontario il direttore artistico del Festival di Lampedusa dove parliamo di diritti umani e di rispetto del pianeta per me è una scelta molto forte politicamente. Ci apriamo, e con noi il porto di Lampedusa, al mondo parlando con gli altri popoli di temi fondamentali per tutta l’umanità.

 

Quando siamo in Italia possiamo assumere la posizione di chi difende determinati valori oppure di chi vuole rivederli, come ci si sente invece ad essere dall’altra parte della barricata? Come ci si sente ad essere “demonizzati”, come hai vissuto la Brexit ad esempio?

Molto male e con me tantissimi italiani, perché è stata una sorta di tradimento. Io ho scelto Londra perché è un posto che ho sempre visto come la Babilonia del mondo, dove tutto può mischiarsi e tutto può succedere. Londra, e non il Regno Unito, è simbolo di apertura, integrazione e inclusione. Questa mossa è stata un salto indietro nel tempo, un colpo basso che non mi aspettavo nonostante abbia conosciuto il lato classista e dominante dei britannici. Mi sento tradito e il fatto stesso che sono in attesa di capire quali sono gli esiti di questa Brexit dal punto di vista fiscale, legale, e di traporti mi genera ansia. Per questo ho deciso di non prendere la cittadinanza britannica perché la trovo una imposizione . Io avevo scelto il Regno Unito in quanto posto libero, se mi imponi qualcosa non lo è più. Per questo sono disposto a cambiare paese se sarà necessario.

In questo tradimento, trovi invece in Caltanissetta un porto sicuro? Una casa?

Un posto dove sono cresciuto, quindi esiste il concetto di familiarità e il legame con gli affetti. Il concetto di casa per me è molto relativo, da tanti anni sono sempre in giro per il mondo. Sicurmante è il posto che conosco più di ogni altro ma non lo definirei un porto sicuro. Un posto sempre molto difficile e particolare, ci sono dei segni di rinnovamento ma riamane un luogo ricco di tante contraddizioni, mentalità distorte, persone straordinarie ma poi lasciamelo dire anche tante teste di cazzo.

Però restano dei legami.

Mi porto sicuramente dietro le mie radici, non ho mai abbadonato il “Compà” come dice un mio caro amico nisseno Giuseppe Giglia. A Caltanissetta ho dato tanto, ho avuto anche delusioni, insomma come nei grandi amori ho un rapporto di odio e amore.

C’è ancora un filo che mi lega, la scelta di utilizzare una foto di Ettore come copertina lo dimostra.

Grazie Luca

Grazie a voi e ci vediamo lunedì.

Qui la campagna per far diventare patrimonio dell’UNESCO la gestualità italiana