Di Andrea Alcamisi (Qui per leggere la prima parte)

Allegato B

ESTRATTO TRASCRIZIONE(PRIMO NASTRO): COLLOQUIO AVVENUTO
GIORNO 31 OTTOBRE ALLE ORE 12:30 PRESSO LA CLINICA PRIVATA DEL DOTTOR S, TRASMESSO DAL COMMISSARIO AGATINO MANCUSO ALLA PROCURA DI MUNAFÒ.

Dottor S: «Acconsente alla registrazione del colloquio?».
Paziente: «Colloquio».
D: «Dunque, è d’accordo?». (Ecolalia moderata. Visto il Dottor S)
P: «D’accordo».
D: «Ha un impiego? Disoccupato?».
P: «Apro e chiudo».
D: «È un usciere?».
P: «Aggiusto tornelli. [Paziente fischietta La Marsellaise, poi un grugnito e una risata] Sto nella tana».
D: «Mi racconti un po’ di questa tana».
P: «Mangio sgombro sott’olio, bevo chinotto. Poi, quando smonto, apro e chiudo la porta della cabina, lo sportello, il portone, il cassetto dell’armadio col pigiama all’interno».
D: «Suvvia, non si agiti. Beva questo bicchiere d’acqua».
[Paziente rovescia il bicchiere; conta i frantumi; salta sulla scrivania del Dottore]
P: «Certo è un azzardo un po’ forte scrivere delle cose così, che ci son professori, oggidì, a tutte le porte».
D: «Presto, accorrete! Una crisi! Infermieri!».
P: «Brucia le gabbie!».
D: «Quali? Siamo noi le gabbie?».
P: «Spezza le catene!».
Infermiere: «Dottore, sono qui! Calmo, tu! Una puntura e via a casa».
P: «Perché scrivere? Pagliacciate! Pagliacciate!
Pagliacciate! Ecco, io sono venuto a liberare gli oppressi!».
D: «Chi sono gli oppressi? Getta via il tagliacarte!».
I: «Dottore, lo immobilizzi! Lo tiro giù dalle gambe».
P: «Rendo giustizia all’Arte! Salva Prometeo!».

 

Allegato C

«Noi sappiamo dire molte menzogne simili a cose vere; ma, quando vogliamo,  sappiamocantare il vero». Dissero così le figlie del grande Zeus dal franco parlare, e mi diedero come bastone un ramo di florido alloro che avevano colto, mirabile.

31 Ottobre, ore 04:30

Cammino su un roccioso viottolo, addolcito da qualche ciuffo di arbusto mediterraneo. Ogni cosa traluce un’aria familiare e riflette qualcosa che mi appartiene. Il sole quasi un ectoplasma, in filigrana lo scirocco.
Un giardino. Senza un recinto, vergine. Che pomi lucenti!
Chi pesta le mie scarpe inglesi? Un bambino.
«Sii fanciullo» mi dice, e si fa sempre più piccolo, avviluppato in un ampio mantello di porpora.
«Dove sei?» Che silenzio tra i filari del giardino!
Sassi, cocci di vetro, colori smunti, polche assonnate, pupi logorroici, lieviti spenti, tutto divora il mantello e la mano paffuta torreggia tra le giravolte voluttuose.

«Prendi». E strappo dalla piccola mano madreperlacea un chicco di melagrana e mezza polpa di loto, doni per un solitario cantastorie.
Un masso impedisce il cammino. In punta di piedi, sopra di esso, un giovane pastore. Mi incanta per le sembianze greche e per lo sguardo, dove cozzano canti di eroi e antiche nenie. Una fragranza legnosa di mosto pigiato mi avvolge e un belato improvviso scivola tra le mie gambe: un agnello dal vello setoso, dono per un solitario cantastorie.
Infine, sotto una quercia, un’armonia arabesca mi ingabbia in un contrappunto salvifico e mi smarrisce. Un piffero saraceno, damascato in avorio e lapislazzuli, dono per un solitario cantastorie.
Apro gli occhi. Mi sveglio. Vivo.