di Giulio Scarantino
Giovedì sera ha avuto inizio “Cambio pelle”: la nuova atipica mostra al Centro espositivo di Arte Contemporanea. Qualche ora prima abbiamo incontrato uno degli artisti protagonisti, Michele Lombardo. Mattina presto ma l’aria è già calda, seduti al tavolino di un bar il sole stiracchiandosi ci concede giusto il tempo di una chiacchierata.
Come sarà strutturata la mostra “Cambio Pelle” e quali sono i motivi di questa scelta?
La mostra prevede una serie di interventi nel tempo poiché vivrà due diversi momenti, il primo come spazio specifico di installazioni fino a Luglio nel quale si inserirà anche la musica ed altre attività come gli incontri di lettura. Il secondo momento vedrà la presentazione del catalogo delle fotografie realizzate durante il periodo di attività della mostra. La gente che andrà a visitare la mostra, se vorrà, potrà essere, fotografata negli spazi dedicati agli artisti, assumendo una posa che sia in connessione con l’opera. In questo modo i visitatori sono coinvolti personalmente, creano un legame istantaneo con l’opera partecipando attivamente. Sicuramente un’operazione intelligente che supera l’esposizione fine a se stessa dell’autore e mette invece insieme le persone.
Possiamo dire una via di mezzo tra spettatore e partecipe?
Si, in altri termini una mostra performativa poiché mette al centro la performance del visitatore. Credo Caltanissetta sia abbastanza matura per questo tipo di attività culturale, d’altronde in altri posti questo viene fatto già da diverso tempo.
E allora perché “Cambio Pelle”?
Innanzitutto perché questa città è molto lenta ad assorbire le dinamiche più innovative, è molto conservativa nel senso artistico quindi sicuramente il primo riferimento riguarda questo aspetto. E poi la ricerca di voler trasformare qualcosa di non accettato. Al centro c’è il processo di trasformazione ma ogni artista lo farà diversamente, da queste differenze potrà nascere sicuramente qualcosa di interessante.
Quindi possiamo vederlo come un inno alla trasformazione?
Voglio precisare una cosa. A me piace il bello del passato, non violentarlo e non distruggerlo ma se quest’ultimo è fatiscente e malcurato si è trasformato in un’altra cosa ed è necessario il nuovo. Quello che conta è che il nuovo non sia calato dall’alto. Sto vedendo questo tipo di reazione uguale e contraria all’abbandono e al fatiscente in tante città, per fare un esempio alla Biennale di Favara. Nelle città dove c’è questo tipo di emergenza gli interventi riguardano non soltanto artisti ma c’è un interessamento sociale sui luoghi abbandonati che riprende l’idea di trasformazione non per le persone ma con le persone.
Riprendendo il concetto di differenza, in queste esiste però un filo conduttore tra gli artisti che interverranno alla mostra?
Siamo artisti diversi per formazione, educazione ma anche divario generazionale, però non credo che questo impedirà di trovare un filo conduttore tra tutti noi: la ricerca . Personalmente io dal 2016 faccio una ricerca nella metafora della pelle con il territorio che viviamo, l’ambiente circostante. I nostri luoghi che ci permettono di respirare e di avere una memoria come le cicatrici sulla pelle. Per questa ragione ho utilizzato nella mia opera il lattice policromo.
I nisseni capiranno questa mostra ?
La linea di tendenza dell’ultimo periodo è la curiosità, quindi sono fiducioso. Penso anche che l’arte contemporanea non sia destinata a grandi numeri però questo evento può servire anche a veicolare una grammatica diversa dalle altre arti. Questo tipo di mostra può sicuramente facilitare, attraverso l’incontro con l’artista e il workshop con i fotografi presenti, a comunicare una grammatica fondamentale per capire il linguaggio dell’arte contemporanea.
Possiamo dire che questa mostra sia frutto di una decisione di più artisti per dare una spinta al Centro Espositivo di arte contemporanea non ancora sfruttato per le sue potenzialità?
Si assolutamente, l’intenzione prima è permettere il rilancio di questo luogo. In questa città è quasi costretto l’artista a dover dare una scossa nell ’ambito dell’arte contemporanea. Non si può attendere la Pubblica Amministrazione perché questo tipo di arte necessita la presenza di laureati in lettere, storia dell’arte, conservazione di beni culturali ecc. nell’ organizzazione strutturata del Comune. Non c’è dubbio che il nostro sia un messaggio per la cittadinanza e per la PA.
Per ultimo, un tuo pensiero personale su come potrebbe essere maggiormente sfruttato il Centro Espositivo ex rifugio?
Le potenzialità sono tantissime, è un posto nato per l’emergenza e resilienza. Un luogo che potrebbe finalmente svolgere la sua funzione (è stato ultimato dopo la fine della guerra) di rifugio per gli artisti. Personalmente non credo sia strutturato per essere un centro espositivo di arte contemporanea per i tanti vincoli che ci sono all’interno, l’arte contemporanea per antonomasia deve essere libera . Potrebbe essere un laboratorio artistico, dove far venire persone da tutto il mondo –con chiamate- a svolgere workshop. Un luogo che sia rifugio per i bambini dal vortice della strada o delle tastiere, e poi donare i lavori pensati all’interno del rifugio alla città. Questa è la mia idea.
Grazie Michele
Grazie a voi.
Foto di Liborio Di Buono
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