di Ivan Ariosto

In un tempo, com’è quello in cui viviamo, in cui la Chiesa cattolica naviga in un mare sempre più agitato, in cui le ombre che su di essa si stagliano sembrano avere il sopravvento sulle luci divine di cui è simbolo, non possono che fare scalpore le amare riflessioni sull’operato di Papa Bergoglio da parte di Aldo Maria Valli, uno degli intellettuali di spicco del mondo cattolico, nonché vaticanista della Rai.

Ed il fatto che a prospettare un futuro nerissimo per la Chiesa non sia un autore satirico un po’ blasfemo, ma un fervente cattolico, è il sintomo di quanto sia aperto oggi il dibattito all’interno del mondo dei credenti.

Nel suo pamphlet dal titolo “Come la Chiesa finì”, edito da LiberiLibri, Valli immagina un futuro distopico (che ai più ricorderà quello dei romanzi di George Orwell) in cui si succedono diversi Papi, tutti sudamericani e di nome Francesco, autori di una serie di grottesche riforme finalizzate a tenere la Chiesa al passo coi tempi, ma che ne decreteranno in realtà la fine.

Aldo Maria Valli

L’autore, seppur in chiave metaforica e in un certo senso ironica, esprime un profondo malessere per l’attuale operato di Bergoglio, sottolineandone le contraddizioni e la superficialità di fondo; in particolare, secondo Valli, il papato di Francesco­­ sta “abbassando” la Chiesa verso gli uomini, tentando di coinvolgerne un numero più alto possibile, invece di “innalzarli” col suo messaggio e con le sue opere verso Dio.

La centralità della misericordia – protagonista del poco fortunato Giubileo del biennio 2015/16 – come sommo strumento di tolleranza verso chiunque e verso qualsiasi cosa, diviene il sinonimo della rinuncia all’incarico ecclesiastico di indicare la «strada giusta» verso la salvezza delle anime.

Si coglie, nelle pagine del breve racconto, lo spettro di una Chiesa dal messaggio ambiguo, che lascia all’uomo il potere di decidere, in ogni diversa situazione, ciò che è bene o è male. Una Chiesa che fa sì che quel giudizio divino – perno della storica invettiva contro la mafia pronunciata sul palcoscenico della Valle dei Templi agrigentina da Giovanni Paolo II – appaia desaparecido nell’attuale orizzonte cattolico.

Un timore – quello di Valli – suffragato dalle critiche alla discussa esortazione apostolica “Amoris laetitia”, datata 2016, in cui per molti è apparso evidente il ruolo centrale assegnato all’uomo, a fronte di uno spazio residuale lasciato a Dio.

La modernità dell’attuale successore di Pietro, una della qualità più decantate dai fedeli e dai suoi personali estimatori del mondo laico, si riassume – per Valli – essenzialmente in un principio: «non Dio, ma l’uomo».

Il percorso di Papa Francesco, agli occhi del vaticanista, appare come animato dalla spasmodica ansia di volersi mettere al passo con i tempi, parlando il meno possibile di Dio e il più possibile dell’uomo. Da ciò la prevalenza, nei discorsi del pontefice, dell’economia sulla teologia, della sociologia sulla filosofia, dell’azione pastorale sull’elaborazione dottrinale.

Nelle trame della narrazione, l’autore fa sì che non si scorga più alcuna differenza tra la figura del Pontefice romano e quella di un politico di grido, di un economista qualsiasi o di un sindacalista alla moda.

Un ritratto che non viene di certo smentito ascoltando uno dei primi discorsi di Bergoglio, pochi mesi dopo essersi presentato al mondo dalla loggia della Basilica di San Pietro, in cui sostenne che «la radice di tutti i mali è l’economia dell’esclusione e dell’iniquità»: dunque, non il peccato – come tradizionalmente insegnato – ma la cattiva ripartizione delle risorse.

Valli rimprovera alla Chiesa attuale di essersi genuflessa – anch’essa come parte della politica – al cospetto del dogma dell’«accoglienza» di tutto e tutti, omettendo tuttavia di indicare come ed a quale fine.

Un qualcosa che fa riemergere dagli abissi della memoria cattolica, le parole quasi profetiche pronunciate dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1969 (quasi quarant’anni prima di diventare Benedetto XVI), quando confessò di «vedere all’orizzonte un passaggio epocale, una fase storica segnata dalla sostanziale fine della Chiesa, con tutti i preti trasformati in assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica».

Papa Francesco e Benedetto XVI

Il pamphlet in questione non è – come si potrebbe superficialmente ritenere – l’achtung! di un rigido pensatore ultracattolico che invoca il ritorno dell’Inquisizione. Si tratta, al contrario, di un testo che, seppur di dimensioni minute, contiene in sé il drammatico dilemma davanti a cui oggi si trova Papa Bergoglio: per fronteggiare i rapidi mutamenti di quest’epoca, bisogna agganciarsi saldamente alla propria dottrina (anche a costo di vederla contraddetta dalla modernità) per cercare di mantenerne intatto il messaggio, oppure occorre diluirla quanto più possibile al fine di far convergere su di essa un numero maggiore di persone? A ben vedere, su tale interrogativo – come evidenziato anche da Corrado Augias – si sta consumando non soltanto il futuro della Chiesa cattolica, ma anche quello di molte ideologie politiche.