di Ivan Ariosto

In questo clima di campagna elettorale perenne ed infinita, l’inasprimento del linguaggio politico oltre ogni misura non è purtroppo qualcosa di inusuale e dunque, comprensibilmente, non suscita più lo sdegno che avrebbe provocato cinquant’anni fa.

Tuttavia non si può restare indifferenti quando gli slogan del partito che, già socio di minoranza del Governo in carica, è candidato ad essere la prima forza politica alle prossime tornate elettorali, toccano i gangli del nostro sistema giudiziario e costituzionale.

Se è vero che negli ultimi anni è divenuto sempre più pressante il sentimento di insicurezza percepito dagli italiani, è anche vero che le forze politiche che ci governano non dovrebbero mai perdere di vista i punti fermi del regime democratico in cui viviamo, che brillano come stelle polari nel firmamento costituzionale del Paese. Ciò vale a maggior ragione quando si discute su principi cardine del nostro sistema penale e giudiziario.

Tra quest’ultimi rientra quello della proporzionalità della pena, limite logico del potere punitivo nell’attuale Stato di diritto, consacrato negli artt. 3 e 27 della Costituzione, i quali impongono rispettivamente di trattare in modo diverso fattispecie diverse e di non prescindere dall’ineludibile giustizia della pena.

Non sembra aver ben chiara la portata di tali disposizioni l’attuale ministro dell’Interno, leader della Lega, Matteo Salvini che – a proposito del disegno di legge, presentato pochi giorni fa in Parlamento, che propone di abolire la soglia della “modica quantità” che rende non punibile il c.d. uso personale di stupefacenti – lo ha definito «un disegno di legge per inasprire le pene per gli spacciatori in modo da punirli come gli assassini, visto che vendono morte».

Dichiarazioni che non tengono assolutamente conto delle profonde diversità tra i due reati, ma che richiamano soltanto ad un sentimento comune di vendetta sociale.

Lo stesso sentimento che ha inteso invocare, pochi giorni fa, anche Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega Nord al Senato, che – in relazione alla baby gang smantellata dalle forze dell’ordine a Vigevano – ha affermato: «Non si applichino sconti, la giustizia sia inflessibile, le punizioni siano esemplari cosicché dal male possa nascere un esempio che valga per tutti».

Anche il leghista Andrea Bizzarri, sul caso delle maestre dell’asilo di Ariccia, sorprese a picchiare i piccoli alunni, ha dichiarato: «Simili atti di violenza nei confronti di piccoli bimbi indifesi devono essere puniti con una pena certa ed esemplare».

In occasione, poi, della spiacevole vicenda che ha coinvolto il senatore leghista Stefano Candiani, aggredito da alcune persone mentre si trovava al Cosmoprof di Bologna, il Responsabile Provinciale della Lega, nonché candidato sindaco di Caltanissetta, Oscar Aiello ha scritto sulla propria pagina Facebook: «spero che gli aggressori vengano puniti in maniera esemplare».

Il continuo richiamo, divenuto quasi un impulso coatto, da parte degli esponenti della Lega all’applicazione di pene esemplari si pone in palese contrasto – come sottolineato da giuristi del calibro di Giorgio Marinucci ed Emilio Dolcini – sia col principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.), poiché una parte della pena applicata al singolo si fonderebbe non su ciò che egli ha fatto ma su ciò che potranno fare in futuro altre persone, sia con la tutela della dignità umana (art. 3 Cost.) che esclude che l’individuo possa essere degradato dallo Stato a mezzo per il conseguimento di scopi estranei alla sua persona.

Le pene esemplari sono tipiche dei regimi totalitari, in cui si assegna alla pena il compito di ottenere a qualsiasi prezzo la fedeltà alla legge, anche prevedendo comminatorie draconiane e puntando sull’intimidazione per ottenere la prevenzione di nuovi reati.

Il fatto che Bizzarri e Aiello siano entrambi laureati in giurisprudenza, nonché avvocati, acuisce il senso di incredulità.

Dichiarazioni che sembrano riecheggiare le parole con cui Caifa si rivolse al Sinedrio per convincere a condannare Gesù: «non capite che conviene a voi che un uomo muoia per il popolo, e non perisca l’intera nazione?».

Tuttavia, per onestà intellettuale, non si può davvero pensare che le dichiarazioni di cui sopra siano frutto di una mera dimenticanza dei principi base del diritto penale, né che gli esponenti della Lega intendano riprendere il rito medievale di appendere, in cima alle torri delle città, le teste mozzate dei condannati affinché fossero visibili da qualsiasi punto. I frequenti richiami alla pena esemplare, simili a dei mantra che si ripetono da nord a sud, indicano una precisa strategia politica e comunicativa: promettere sicurezza per ottenere consenso.

Ma ciò può legittimare lo spregio dei principi e delle garanzie della Costituzione, base ineludibile dello Stato democratico (non autoritario, è utile ricordarlo) in cui viviamo?