Di Antonio Picone

Cosa vuol dire essere pastori oggi nel centro SiciliaI pastori sono spesso poco considerati da noi, snobbati e talvolta anche emarginati. Eppure è una delle professioni più antiche del mondo, infatti la capra e, successivamente, la pecora sono state addomesticate, probabilmente in Anatolia e Mesopotamia, tra il 10.000 e l’8.000 a.C.
Prima di loro solo il cane.
Gli ovi-caprini hanno accompagnato l’uomo per gran parte della sua esistenza e, non a caso, la storia dell’uomo è ricca di riferimenti, detti e figure retoriche inerenti la pastorizia.
Per esempio nella sacra Bibbia (e anche nel Corano), uno dei pastori più celebri è Abramo che obbedendo a Dio sta per sacrificare suo figlio Isacco e viene fermato poco prima da un angelo, inviato da Dio, che gli indica di sacrificare un montone. Troviamo poi molti riferimenti nel Cristianesimo come la parabola della ‘pecorella smarrita’ [Matteo (18,12-14); Luca (15,3-7)] o l’adorazione dei pastori durante la natività [Luca (2,8-20)] o ancora quella del buon pastore [Giovanni (10,1 – 18)] dove lo stesso Gesù dice: “Io sono il buon pastore. Il pastore dà la propria vita per le pecore”. Per poi passare alla simbologia dell’agnello di Dio, dell’agnello Pasquale o a eventi, anche “recenti”, come l’apparizione della Madonna di Fatima ai 3 pastorelli portoghesi.
Ma anche la mitologia sia greca che romana è piena di riferimenti: il dio della pastorizia Pan, assimilato a Fauno in quella romana; il Vello d’oro cercato da Giasone e gli Argonauti; il pastore e ciclope Polifemo beffato da Ulisse; la capra Amaltea che allattò Zeus; il pastore Aci e tante altri miti.
E ancora le favole come quella di Esopo sul pastorello che gridava “Al lupo! Al lupo” o il cartone animato della piccola Heidi con Peter e la capretta Fiocco di neve sui pascoli alpini.
E che dire della frase mussoliniana, twittata da Trump durante le elezioni: “Meglio un giorno da leone che cento anni da pecora”, che suscitò non poche polemiche!?
E poi tanti modi di dire: essere dei pecoroni, contare le pecore, essere un caprone, esser la pecora nera…
Persino il Kamasutra fa riferimento a questo animale nonostante i numerosi quadrupedi presenti sulla terra.
E chi di voi non ricorda la, clonata, pecora Dolly!?

Fatta questa premessa vorrei analizzare cosa significhi oggi fare il pastore nel centro Sicilia ed in particolare nella provincia Nissena, Agrigentina ed Ennese.

Gli animali utilizzati:
Nelle aziende del centro Sicilia il gregge è composto solitamente da 100 fino a 500 capi. A questi vanno aggiunti da 3 fino a 15 cani (non tutti da pastore). Perché vi sono i cosiddetti cani di Mannara (ovile) antichissima razza siciliana (a cui stanno lavorando gli appassionati per il riconoscimento da parte dell’ENCI) che sorvegliano l’ovile e il gregge da eventuali ladri, cani randagi e un tempo anche lupi. Poi vi è il cane da pastore che ha il compito di guidare il gregge e non viene affatto aiutato dal cane di Mannara.
Una volta erano utilizzate razze autoctone come appunto il cane di Mannara, lo Spino degli Iblei, lo Spinotto e lo Spinusu Sicano. Oggi a fare la guardia al gregge troviamo anche il Pastore Maremmano-Abruzzese e il Pastore dell’Asia Centrale mentre al guida del gregge il Border Collie, il Pastore Australiano e il Beauceron (con le dovute eccezioni).
Per quanto riguarda ovini e caprini, solitamente i nostri pastori utilizzano razze autoctone sia da latte che da carne.
Come ovini: Comisana (tipico capo color ruggine), le p. della Valle del Belice (la miglior produttrice di latte), le Pinzirita (adatta ai pascoli più aridi) e le Barbaresca (di grossa mole ed in via d’estinzione).
Come caprini: Rossa Mediterranea, Maltesi (bianche col capo nero), le Girgentane (dalle lunghe corna a spirale).

In cosa si sostanzia il lavoro:
Ci si alza intorno alle 6 del mattino e inizia la mungitura di decine e decine capi che termina dopo qualche ora. Successivamente si porta il gregge al pascolo. Si rinuncia solo in caso di neve e alluvioni. Gelo, vento, pioggia, caldo torrido, umidità e afa non fermano il pastore. Così come non lo fermano Natale, Pasqua, Ferragosto e compleanni. Durante il pascolo si sta in continuo movimento, gli animali vengono lasciati nello stesso terreno non più di un ora, si percorrono insieme ad essi una decina di km al giorno. Ritornati all’ovile intorno alle 17 bisogna fare la seconda mungitura, spalare il letame del recinto e dare da mangiare ai cani finendo per le 20 circa. Il pastore conosce tutte le sue pecore e le sue capre e conosce anche le erbe di cui si nutrono. Lui decide quale sarà macellata, le femmine che dovranno essere fecondate e seleziona i migliori montoni e becchi per la monta.

Questa è la giornata tipo del pastore.

Senza contare i trattamenti sanitari, spesso molto costosi, che necessitano gli ovi-caprini (e anche i cani) infatti basta che si ammali un solo capo per contagiare l’intero gregge. Non contiamo neanche il faticoso periodo della nascita degli agnelli sia in primavera che in estate; oppure, sempre in primavera, quello della tosatura e serve quindi impiegare altre ore di lavoro. In più molti di loro impiegano altre ore nel produrre prodotti caseari nella loro azienda.

Un lavoro usurante e stancante che non vuole fare più nessuno.
Quando il pastore arriva al caseificio con il latte ricavato dalle mungiture, del mattino e della sera, si sente poi rispondere che per le leggi del mercato non possono che ricevere 0,60/ 0,70 centesimi al litro.
Bisognerebbe avere più rispetto e considerazione per questi instancabili lavoratori e andargli incontro senza tante storie, magari tutelandoli attraverso scelte politiche, nazionali ed europee, che prevedano la consultazione dei rappresentanti di categoria e meno concessioni commerciali a Paesi extra-comunitari.

Tutelando loro si tutelano: le razze autoctone, i prodotti caseari, le carni, i prodotti DOP, le tradizioni; insomma il nostro patrimonio storico-culturale, gastronomico e sociale.