di Ivan Ariosto
Molto spesso al cospetto di un film o di un libro riferito a fatti storici realmente accaduti, mi sono chiesto: perché c’è sempre la necessità di una rivisitazione? Perché non limitarsi a descrivere i fatti per come si sono verificati, a chiamare i personaggi con i loro nomi, evitando possibilmente di aggiungerne di nuovi mai esistiti? È come se esistesse, infatti, una specie di virus in grado di infettare qualsiasi regista o scrittore entri a contatto con la storia, causandogli una irrefrenabile voglia di romanzarla o addirittura di tradirla.
A giudicare dagli evidenti errori segnalati dallo storico Ernesto Galli della Loggia, in un editoriale pubblicato nel Corriere della Sera di qualche tempo fa, questo virus deve aver infettato anche lo scrittore Antonio Scurati nella redazione del suo ultimo best seller «M. Il figlio del secolo», che ha come protagonista Benito Mussolini.
Nel suo articolo, Galli della Loggia segnala (indicando addirittura i numeri di pagina) macroscopici errori relativi a date, citazioni e personaggi commessi da Scurati, rimarcandone la gravità e meravigliandosi della totale assenza di editing da parte della casa editrice Bompiani.
La risposta dello scrittore partenopeo è affidata ad un successivo articolo pubblicato anch’esso dal Corriere, in cui lo stesso fa mea culpa per gli errori, definendoli a volte “refusi”, altre volte “cortocircuiti”, altre ancora “sviste”. Per Scurati, le imperfezioni sono inevitabili in un libro di 850 pagine, ma – rintuzzando le critiche mosse da Galli della Loggia – sostiene esserci una profonda differenza tra lo sguardo dello storico e quello del romanziere, essendo – a suo dire – quest’ultimo titolare di una sorta di “licenza poetica” nel descrivere la storia, ed annuncia il tempo della “cooperazione tra il rigore della scienza storica e l’arte del racconto romanzesco”.
Giustificazioni che appaiono difficilmente convincenti per chi – come l’editorialista romano del Corriere – ha speso una vita intera nella ricerca e nella comprensione della reale portata degli eventi storici e nell’analisi delle loro dinamiche. Ed è ciò che emerge dalla risposta, per certi versi piccata, di Galli della Loggia che, fermo restando la separazione tra storia e letteratura, precisa come lo scrittore di per sé non abbia alcun potere (né alcun diritto) di contraffare – fino a caricaturizzarli – fatti e protagonisti storici realmente esistiti, senza dar modo al lettore di comprendere se si trovi alle prese con la realtà o con la finzione romanzesca.
Posto che un tale dibattito non può che arricchire il panorama culturale e fornire nuovi spunti di riflessione, una considerazione conclusiva va fatta: per troppi anni, nel nostro Paese, la storia è stata piegata alle tendenze politiche del momento. Sarebbe probabilmente l’ora di narrarla – e soprattutto di accettarla – così com’è, con le sue mille luci e le sue amare ombre.
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