Di Giorgia Moscarelli
Esiste un’antica convinzione secondo la quale gli ambiti scientifico ed umanistico sono nettamente separati. Infatti una visione complementare ed interdipendente di essi è considerata con scetticismo, se non addirittura collocata in un rapporto di rivalità. Medici ed intellettuali si contendono il primo posto nella classe dirigente, ignari del bisogno reciproco necessario al raggiungimento di ogni obiettivo. Non a caso, forse la più grande genialità di ogni tempo si è espressa nella figura di Leonardo da Vinci.
Dal suddetto principio di complementarietà non dipende soltanto il progresso, ma anche la salute psicofisica dell’essere umano: al giorno d’oggi, diagnosticare un qualsivoglia problema di salute ad un paziente risulta più o meno semplice anche per medico più inesperto; le difficoltà insorgono nel momento della gestione del malato e della malattia stessa, compito dal quale gran parte dei medici si esime. Sembra che il loro dovere sia quello di diagnosticare la malattia sulla base di sintomi fisici, indipendentemente dal soggetto indagato e dalle sue abitudini. Oltre ad ignorare il paziente in quanto soggetto, se ne dimentica l’anima: prendendo in esame il corpo che si ha davanti, si opera una sorta di biopsia che evade il significato letterale della parola stessa, focalizzando l’attenzione su quanto esprimono le analisi e l’indagine medica ed escludendo a priori la soggettività di chi si ha davanti, lo stile di vita e lo stato d’animo. La prescrizione di una cura farmacologica dinanzi alla cartella clinica del paziente basta a soddisfare la professionalità del medico, noncurante dello shock che una certa diagnosi può provocare nel malato e nella sua famiglia. E per ciò che concerne il malato terminale, fare in modo di allungargli la vita sazia il senso del dovere medico, indipendentemente dalla qualità del tempo che si riesce a recuperare.
Per fortuna le cose stanno cambiando, e possibilmente avete già sentito parlare di Medicina Narrativa: la medicina si apre ad altre scienze quali la psicologia, la sociologia, l’antropologia; la narratività compare sulla scena proprio quando la medicina risulta poco efficace nel rapporto con il paziente e, di conseguenza, nell’individuazione e nella gestione degli stati di sofferenza. Alla cartella clinica, vista come storia della malattia, si affianca oggi una cartella parallela che racconta la storia del paziente: le sue abitudini, i suoi bisogni ed i suoi vizi, i suoi sentimenti, la sua soddisfazione/insoddisfazione rispetto alla cura ad esso applicata, al fine di ridefinire la pratica clinica nel suo complesso. Da ciò si evince il modus operandi con cui approcciarsi ad un determinato paziente ed accompagnarlo nel corso della malattia, della guarigione o della convalescenza. Il malato diventa così, a tutti gli effetti, co-protagonista attivo del suo percorso di cura. Furono Rachel Naomi Remen e Rita Charon ad introdurre, alla fine degli anni Novanta, la Medicina Narrativa, sulla base del modello sviluppato già negli anni Sessanta presso la Harvard Medical School da B.J. Good. Fu allora che nacque l’acronimo NBM (Narrative Based Medicine), per cui si considera il punto di vista del paziente della stessa importanza dei segni e sintomi clinici della malattia, attraverso un rapporto empatico medico-paziente.
In Italia, molti autori hanno scritto testi che possono aiutare medici e non nell’approccio narrativo, seppur ancora se ne parli poco. Senza andare troppo lontano, l’Azienda Policlinico di Catania ha sperimentato la Libroterapia, un’esperienza narrativa che spinge alla riflessione attraverso l’analisi di brani letterari, utile sia nella formazione del medicus novus sia per la guarigione psicofisica del paziente. La letteratura, non solo stimola la creatività, fondamentale – insegna la psicologia – nel superamento di un trauma, ma conduce sempre ad una morale, accuratamente indicata in base al tipo di malattia diagnosticata. Un libro particolarmente indicato per chi affronta una grave patologia, ad esempio, è “La montagna incantata” di Thomas Mann.
Al contrario, sono gli stessi pazienti a poter scrivere la loro storia, sfogando la propria angoscia ed aprendosi a chi ha il bisogno ed il dovere di leggerli.
In definitiva, la Medicina Narrativa è un’ottima occasione per superare la visione tecnicista con cui si affrontano drammi che violentano probabilmente più l’anima che il corpo. La necessità è quella che non rimanga una pratica elitaria da salotto letterario, bensì la quotidiana prassi attraverso cui medico e malato possano incontrarsi.
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