Di Giulio Scarantino

Ieri mattina in corso Umberto I, a Caltanissetta, si è tenuta la manifestazione contro il decreto sicurezza e a sostegno dei sindaci che hanno sollevato perplessità sull’applicazione di quest’ultimo, organizzata dall’associazione Caltanissetta Antirazzista. Così come pochi chilometri più avanti , in piazza Falcone Borsellino, si è svolta una manifestazione contro l’attuale governo nazionale , organizzata dal PD locale.

Insomma due piazze che hanno avuto in comune il destinatario della protesta seppur con argomenti a tratti differenti.
Ad essere in comune, invero , non è stato soltanto il destinatario, la città e il gelido freddo che ha accompagnato i due eventi ma anche una oggettiva scarsa partecipazione .
Attenzione, lungi da chi scrive voler delegittimare o sminuire l’impegno delle persone ieri in piazza.
Le piazze, riuscite o meno, vanno sempre rispettate.
Al contrario l’intenzione è scavare nelle motivazioni di una spesso carente mobilitazione dei cittadini.
In altri termini, perché a Caltanissetta non riusciamo più a manifestare il dissenso?

Neppure il più esuberante e indisponente Ministro della Repubblica, é riuscito a risolvere il torpore nisseno. Neanche un discusso e divisivo decreto, accompagnato da fervide e opinabili dimostrazioni di intransigenza, hanno generato quel tanto vitale dissenso.
Ebbene, per non soffermarsi sulla punta dell’iceberg occorre sgomberare il campo da equivoci.
Chi scrive, infatti, non vuol fare alcun riferimento alle sterili polemiche che hanno preceduto gli eventi, vedi ad esempio la solita filastrocca: “perché non protestate per i terremotati” ormai diventato un mantra di una parte politica tanto da aver suscitato il proliferare di immagini fake, fake news e di conseguenza Epic fail.
Peraltro una filastrocca tirata fuori sempre quando il tema è l’immigrazione, con filosofici paragoni che invece non vengono mai utilizzati quando oggetto delle proteste sono ad esempio: riapertura del traffico in centro o generico dissenso verso l’operato della Giunta, ovvero ancora imprevisti slittamenti di concerti.
L’indagine è più profonda rispetto alle criticità degli eventi di oggi, come la divisione di piazze che avrebbero potuto convergere, l’avvicinarsi delle elezioni che portano con sé il cono d’ombra che tutto possa essere in funzione di quest’ultime , ovvero ancora l’errore spesso (a parere di chi scrive) delle modalità di espressione dell’opposizione (legittima e condivisa) all’attuale governo.

Non possiamo fermarci qui, e ciò lo dimostra il fallimento di altre manifestazioni che in apparenza erano sostenute da diversi cittadini e che riguardavano argomenti più comprensibili,condivisi e a portata di mano.
Forse ciò che manca al nisseno è proprio questo, l’interesse di tradurre l’apparenza in tangibilità .
Quello che non si vede è il senso di appartenenza alla propria città, paese o più semplicemente alla vita pubblica. In altri termini, la consapevolezza di poter incidere su quest’ultima .
È vero che gli individualismi di buona parte della classe politica hanno quasi disinnescato la rabbia delle persone, al punto da connotare ogni appuntamento in piazza di un non poco velato scetticismo.
Non può essere soltanto questo, forse le motivazioni scavano in un più profondo anfratto dell’animo nisseno: la pigrizia, l’indifferenza . Gli stessi indifferenti di Gramsci, che dalla finestra guardano e deridono il fallimento altrui, inconsapevoli di esserne complici , fautori in prima persona della disfatta.

Per questo, è pur vero che ogni cittadino ha la classe politica che si merita, ed ogni protesta più o meno opinabile che ne deriva. Tutto ciò, però, non può giustificare l’assenza indiscriminata di partecipazione.
Alla luce di ciò, sminuire l’impegno di pochi, ma volenterosi, partecipanti non può che essere controproducente. Ad esempio bastava vedere alcuni sorrisi di ieri mattina per comprendere che spegnere indistintamente quel raro fervore, significa remare contro la nostra città.
Forse questo è il vero insegnamento per chi era in piazza oggi, chi lo era ieri e lo sarà domani.

Foto di Ettore Garozzo.