Di Federica Dell’Aiera
Sono un’amante dell’altrove.
L’uomo è errante da sempre, è esploratore, cerca nuove mete ma mette le radici.
Le mie radici sono libere, esplorano il mondo, ma tornano lì, proprio dove hanno cominciato a formarsi.
Siamo sotto lo stesso cielo, ma gli occhi che lo guardano gli danno nuova forma e colore.
Amo i paesaggi, i suoni di una lingua sconosciuta, il Vecchio continente, i nuovi sapori, le strade, i lampioni, le cassette della posta, la posta, i musei.
Viaggiare è crescere, imparare, arricchirsi. È conferma, confronto, è domanda e risposta.
Ogni viaggio è questo e di più per me.
Questo non vuole essere l’ennesimo diario di viaggio sulle meraviglie di New York, né tanto meno una guida. È solo un piccolo concentrato di sensazioni, suggestioni e impressioni su un viaggio inaspettato.
New York era nel cassetto del “chissà, una volta nella vita forse”, non era un’esigenza, né tanto meno un desiderio o un sogno.
Negli ultimi anni, complici le serie televisive e i film ambientati nella Grande Mela, il sogno si è insinuato con un’insistenza piuttosto invasiva, nel cuore e nella testa della mia sorella minore.Compulsivamente alla ricerca di super offerte sui voli, negli anni, come una goccia che scava una roccia, finalmente è riuscita a convincere due intere famiglie a partire all’avventura per New York.
Complici i miei 30 anni e gli studi conclusi, la sua laurea, i 50 anni di mia cugina, i quasi 60 del mio papà, ci convince a festeggiare tutti insieme compiendo un viaggio che sembrava veramente impossibile.
Impossibile per i costi, per gli acciacchi della vecchiaia, per i tempi troppo stretti e per chissà quali altri impedimenti più o meno immaginari che balzano in testa all’idea di un viaggio oltreoceano.
Così in un freddo pomeriggio di febbraio prenotiamo i voli per New York. Ormai è fatta.
Ancora titubante, forse anche un po’ incredula, non mi lascio trasportare da quella mia solita euforia che mi pervade non appena prenoto un viaggio. Titubanza totalmente compensata dall’euforia incontenibile della piccola di casa che però “finché non sono sull’aereo, per me rimane un sogno”.
Da amante della carta e delle cartine (seppur sia davvero pessima nell’orientarmi e campionessa nel perdermi), il primo acquisto necessario prima della partenza è una bellissima guida di New York. Rimango davvero stupita dalla quantità di bellezze da vedere. Ed io immaginavo soltanto un cielo punzecchiato dai grattacieli.
Inizio così a valutare nuovamente la città, mostrando un po’di interesse e finalmente trasporto.
Programmare un viaggio alla scoperta di una grandissima città non è per niente facile. Non si tratta soltanto di visitare i luoghi di interesse, ma programmare spostamenti, comprendere la metro, calcolare tempi e distanze.
Posso scrivere della vista mozzafiato dall’Empire state building e delle luci di Times Square, posso dirvi di mettere scarpe comodissime per i chilometri percorsi senza sosta e di non perdervi assolutamente una fetta di New York cheesecake, ma non lo farò.
Vorrei raccontare della modernità, dei tuoi piedi che non vedrai fino alla sera perché stai quasi tutto il giorno con il naso all’insù, del caos ordinato, dei taxi gialli, di quella sensazione di familiarità che ti avvolge.
Del mix di persone, di suoni e di accenti.
Della calma magica quando entri a Central Park, magica perché improvvisa e vicina al caos della metropoli.
Degli scoiattoli, tantissimi scoiattoli, dei dinosauri, della Statua della libertà, del famoso skyline visto dal lungo ponte di Brooklin.
Sono solo suggestioni.
Avevamo stilato un lungo programma, fitto, dettagliato nei tempi e nei percorsi, ma non siamo riusciti a seguirlo così come programmato. È complicato. Forse perché non abituati alle enormi distanze o ai disagi della metro, leggermente più complicata delle metro europee, chissà. È così che per caso, tra una fermata sbagliata e una sosta improvvisa, abbiamo scoperto angoli meravigliosi che ci hanno stupito.
Una sera, diretti verso l’albergo, mi trovo davanti la maestosa Libreria pubblica di New York. Era nelle mie personali mete, ahimè scartata per il poco tempo a disposizione. Decido lo stesso di entrare. Felicissima torno sui miei passi verso casa e a sorpresa mi imbatto in Battery Park. Me ne innamoro. Sono solo due esempi di scoperte casuali, sorprese che mi hanno fatto battere il cuore.
È così che improvvisamente mi è venuta voglia di tornarci. Io che proprio non volevo andare.
Mi balza in mente la figura del flâneur, il vagabondo urbano che cammina senza una meta, che si perde volutamente per scoprire luoghi mai visti.
Il flâneur compare nella letteratura ottocentesca, tra le pagine di Hugo, Baudelaire e Poe, arrivando a Benjamin che ne traccia un ritratto definitivo. È un uomo che si perde e ogni tanto si ferma a guardare, un uomo che stabilisce una relazione molto particolare con la città, la abita come se fosse la sua casa, la osserva, si lascia trasportare da ogni passo, ne assapora l’essenza.
Per assaporare la vera essenza bisogna concedersi il lusso di girovagare e perdersi. Lusso che purtroppo non ho potuto concedermi. Si assapora pienamente lo spettacolo della città quando se ne colgono gli stimoli senza badare ad itinerari guardando l’orologio.
È così che va colta la Grande Mela. Con gli occhi del flâneur, senza orologio, senza meta.
È stupirsi, innamorarsi, arrabbiarsi, perdersi e ancora perdersi, fermarsi in angoli nuovi, cogliere il bello, riflettere, confrontarsi con una realtà che è davvero molto distante dalla nostra.
Mi sono sentita rapita da una città che in fondo già conoscevo, cogliendo però una sensazione nuova di scoperta, mi sentivo turista di una città che già abitavo, affascinata da luoghi visti seppur nuovi, innamorata di angoli che non avevo programmato di vedere. È davvero molto complicato riuscire a mettere nero su bianco le sensazioni provate.
Di ogni viaggio porto con me luoghi del cuore, sapori nuovi, sensazioni solo positive e spunti di riflessioni. Di questo viaggio inaspettatamente toccante porto invece una nuova visione, un nuovo metodo di scoperta basato sulle sensazioni e sul trasporto. È così che la prossima volta visiterò New York ed è così che consiglio di visitarla.
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