L’essenza dell’intelligenza nel capolavoro incompiuto di Robert Musil
di Ivan Ariosto
Un’opera “mostruosamente intelligente” fu la definizione coniata dai critici letterari per “L’uomo senza qualità” di Robert Musil, quando la “scoprirono” molti anni dopo la morte del suo stesso autore, avvenuta nel completo anonimato e in stato di semi povertà.
L’opus magnum musiliano, infatti, fa luce nei tratti di un’epoca – quella della “finis Austriae” – in cui i vertici della società viennese assisterono inconsapevolmente allo sgretolamento (sociale, prima che geopolitico) che travolse l’Impero austro-ungarico al termine del primo conflitto mondiale.
Nella sua struttura irregolare, fatta di continue digressioni e riflessioni, l’opera (somigliante più ad un saggio che ad un romanzo) ha come protagonista Ulrich, giovane matematico dell’alta borghesia viennese, che sotto la spinta del padre entra a far parte di uno strano comitato chiamato “Azione Parallela”, a cui prendono parte nobili decaduti, ricchi industriali, anziani reduci dell’esercito e presunti intellettuali. Tutto ciò finalizzato all’organizzazione delle celebrazioni del settantesimo anniversario del regno di Francesco Giuseppe, che – come si sa – non vedranno mai la luce, a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale.
“Azione Parallela” non è altro che il simbolo della decadenza dell’intera società austriaca del periodo: come in una sorta di sineddoche, questa piccola cerchia di personaggi diviene lo schermo su cui lo scrittore proietta le immagini della dissoluzione dei valori morali ed etici del mondo in cui vive.
Ma ciò che rende davvero affascinante il romanzo è la capacità di Musil di esprimere e descrivere, tra le righe della narrazione, la vera essenza dell’intelligenza: l’intellettuale Ulrich osserva tutto, analizza ogni cosa e – soprattutto – riesce a “leggere” gli eventi prima che accadano. Tramite gli occhi del protagonista, infatti, si fa luce nei tratti di un’epoca, nella molteplicità dei suoi linguaggi, delle sue manie, delle sue follie, riuscendo a penetrare nelle insenature di una realtà in cui tutti vivono inconsapevoli del crollo che li sta investendo.
L’inesatta traduzione del titolo trae in inganno circa il carattere del protagonista, che non è affatto l’inetto che potremmo pensare. In realtà, il titolo si dovrebbe tradurre come “L’uomo senza proprietà”, poiché Ulrich nulla possiede del mondo in cui vive, è distante dagli altri esponenti dell’alta società austriaca, è come sospeso, estraneo al contesto che attraversa. E proprio questa posizione di distanza dal mondo, gli permette di vedere “da dentro” ciò che gli altri non vedono, di assistere come uno spettatore in platea alla fine inesorabile del più potente impero europeo dell’Ottocento.
Il disincanto velato di nostalgia con cui vede scorrere gli eventi lo rende come uno specchio su cui i caratteri delle varie orbite sociali si riflettono, mostrandosi limpidi dinanzi al lettore.
Da tutto ciò emerge, non solo uno straordinario ritratto storico di un’epoca, ma anche una riflessione critica sul ruolo dell’intellettuale posto dinanzi alla crisi del proprio mondo.
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