di Danilo Napoli

Emanuela Pulvirenti è un architetto con specializzazione in progettazione illuminotecnica per i monumenti. È docente di Disegno e storia dell’arte nelle scuole superiori e autrice di Didatticarte, un blog che nel 2016 ha vinto il premio “Silvia Dell’Orso” per la divulgazione online dei beni culturali. Ha curato l’illuminazione di musei, chiese, aree archeologiche ed esterni urbani monumentali (tra questi l’interno del Duomo di Monreale e la villa romana del Casale a Piazza Armerina. Scrive testi scolastici di storia dell’arte per Zanichelli e vive a Caltanissetta, fuori dal centro urbano, nella tranquillità delle campagne nostrane. Le abbiamo posto qualche domanda:

  • Qual è il tuo percorso formativo? E come lo hai affrontato?

Sono un architetto con la passione per la luce. Ho conseguito anche un dottorato in fisica tecnica ambientale proprio per approfondire il campo dell’illuminotecnica. Per tanti anni ho lavorato come progettista nell’illuminazione dei beni culturali, dalle chiese ai musei, dai siti archeologici ai centri storici. Mi ha sempre appassionato il rapporto tra l’illuminazione delle opere d’arte e la loro percezione. Ho affrontato questo percorso con grande entusiasmo, anche se in Italia, e soprattutto in Sicilia, non c’è una cultura della progettazione illuminotecnica ed è difficile lavorare in questo settore.

  • C’è un libro, un film o un opera che ti ha particolarmente ispirato?

Mi piace molto leggere, soprattutto la narrativa. Ho diversi libri del cuore, ma non sono mai stati fonte di ispirazione né a livello personale né professionale. L’ispirazione, qualunque cosa essa sia, significa per me pensare ciò che prima non c’era. Avere un modello di riferimento, al contrario, rischia di ingabbiare il processo creativo. Ricordo che all’università i docenti di progettazione architettonica ci tenevano molto che ogni nostra proposta fosse accompagnata dal riferimento, cioè un edificio analogo disegnato da Le Corbusier o Alvaro Siza o altri di quel filone funzionalista ed essenziale. Risultato? Che i nostri progetti erano delle brutte copie di Le Corbusier, di Alvaro Siza etc. etc. I maestri servono e vanno conosciuti e studiati, ma poi occorre anche liberarsene.

  • Hai un blog d’arte “Didatticarte”, che è molto seguito. Ci racconti com’è nato e che tipo di contenuti si possono trovare?

Didatticarte è nato dieci anni fa come sito per archiviare materiali per insegnare storia dell’arte e successivamente è diventato un blog. Da quel momento l’ho vissuto come uno spazio più personale, non necessariamente collegato alla scuola, dove poter approfondire argomenti che mi incuriosiscono. Rimangono ancora alcune sezioni strettamente didattiche, come la raccolta di slide del corso di storia dell’arte, ma il blog parla un po’ di tutto: dalla pittura alla fotografia, dal fotoritocco digitale alla scultura, dall’architettura al disegno. Non c’è un piano editoriale e non pubblico con cadenza fissa proprio perché considero quel posto il mio “parco giochi” e scrivo solo quando ne ho voglia. Nonostante questo, il blog è molto apprezzato soprattutto su Facebook forse proprio per la sua impostazione non convenzionale.

  • Come nasce e si sviluppa il progetto della stesura di manuali d’arte per le scuole?

Si inizia ragionando con l’editor su come dev’essere il nuovo manuale, cercando di capire cosa manca in tutti quelli già presenti in commercio. Se non si pensa a qualcosa di nuovo ed efficace non ha senso scrivere l’ennesimo libro di testo. Io, per esempio, ho sempre trovato i libri di storia dell’arte un po’ asettici, cattedratici, poco avvincenti, per nulla coinvolgenti, il che è davvero un crimine verso l’arte e il patrimonio.

Una volta immaginato il taglio da dare al nuovo libro, si procede realizzando l’indice dei contenuti e un capitolo-tipo sul quale il grafico realizzerà lo schema d’impaginazione. Questi passaggi richiedono molti incontri con la redazione per mettere a punto il prototipo. Dopo aver creato la struttura del capitolo si procede partendo dall’inizio e lavorando ai capitoli in ordine cronologico. Nei passaggi successivi sono coinvolte anche altre professionalità: i ricercatori iconografici si occupano di reperire tutte le immagini in alta risoluzione scegliendole tra quelle delle agenzie fotografiche o chiedendole a musei e fondazioni. Di ogni immagine vanno pagati i diritti e indicati i crediti fotografici. Il testo invece viene analizzato accuratamente dai correttori di bozze che si occupano di cercare qualsiasi imprecisione sia dal punto di vista linguistico sia da quello dei contenuti. In parallelo lavorano anche i professionisti che si occupano dell’elaborazione dei disegni architettonici e delle cartine geografiche, dei materiali multimediali (video, audio, risorse interattive), della versione semplificata per studenti con “bisogni educativi speciali” e tanti altri materiali. Alla fine, quando tutte le bozze superano le revisioni si va in stampa.

  • Che differenze hai apportato al tuo approccio lavorativo nello scrivere un manuale per ragazzi delle medie piuttosto che per ragazzi delle superiori?

L’idea di fondo dei tue testi che ho scritto per Zanichelli (Artemondo per le medie, Artelogia per i licei) è sempre la stessa: la storia dell’arte deve diventare un viaggio appassionante nel quale lo studente impara a capire e a usare il linguaggio visivo. Dal punto di vista didattico però i due testi sono diversi: in quello per la scuola di primo grado lo studente è continuamente coinvolto attraverso attività pratiche per apprendere attraverso il fare (metodo chiamato learning by doing) mentre nel libro per il secondo grado questo aspetto assume una connotazione più intellettuale che manuale. C’è una maggiore complessità nei contenuti e una continua ricerca di interdisciplinarità. Nel testo per le medie si va per opere e autori imprescindibili, quelli che non si può non conoscere. Il libro per i licei, invece, è arricchito di tanti altri autori (tant’è vero che le pagine sono più del triplo) che aiutano a comprendere in modo più sfaccettato un’epoca artistica e uno stile. Anche il linguaggio è diverso: alle medie è meno tecnico, più sintetico, facilmente comprensibile. Al liceo è più preciso, le frasi sono più lunghe e vengono usati tanti termini propri della disciplina. 

  • Non sei originaria di Caltanissetta, come reputi il tuo rapporto col territorio?

Sono capitata a Caltanissetta per caso. Quattordici anni fa volevo trasferirmi da Palermo alle pendici dell’Etna, mio luogo del cuore, ma nell’attesa di trovare il posto adatto ci siamo sistemati provvisoriamente nella casa in campagna di mio marito, qui a Caltanissetta. Avendo due bambini piccoli quella situazione era per loro ideale: sono cresciuti tra gli alberi di ulivo, i gatti, i cani e le galline, una cosa impensabile nel caotico centro di Palermo. A quel punto abbiamo abbandonato l’idea di cercare casa nel catanese e ci siamo stabiliti qui definitivamente. Il fatto di stare in campagna, cosa che amo molto pure io, non mi ha fatto vivere molto la città, per cui ancora oggi non conosco i nomi delle vie e a volte mi perdo… All’inizio era strano anche che non ci fosse il mare all’orizzonte. Acireale e Palermo, le città dove ho vissuto più a lungo, sono sul mare. La presenza del mare, anche se da entrambe le città si vede poco, era per me un riferimento mentale, una certezza geografica. Qui ho imparato ad apprezzare paesaggi diversi, in cui l’orizzonte è sempre collinare, ma le cui forme e colori, cangianti con le stagioni, mi hanno stregata. E così, quando ho bisogno di mare lo cerco nei dipinti, ma resto qui, tra gli ulivi e il cielo.