di Giulio Scarantino
In occasione della Giornata Mondiale del teatro abbiamo fatto qualche domanda all’attrice, scrittrice, regista e formatrice teatrale Diletta Costanzo, per mantenere viva l’attenzione su uno dei settori più colpiti dalla pandemia, che anche il 27 marzo, data prevista per la riapertura, è rimasto chiuso.
Come stai vivendo questa giornata? Quali sono i sentimenti di oggi per il protrarsi della chiusura dei teatri?
Cosa posso dire, la drammatica coincidenza è che proprio per questa giornata si era prevista la riapertura dei Teatri. Il problema non è soltanto che i teatri siano ancora chiusi ma parlare di riapertura già di per sé è sbagliato, la nostra è un’attività di programmazione, di organizzazione pratica e logistica anche nei semplici spostamenti. Nessuno si è chiesto che fine abbiamo fatto, dal Ministro al Sindaco. Ci sono perone che non torneranno a fare teatro perché non hanno più le risorse, dagli operatori alle compagnie teatrali, io ho amici attori che erano molto seguiti e che oggi fanno i “Rider”. Nonostante tutto questo penso che la categoria degli artisti e di chi opera nel teatro sia fatto da persone per bene. Siamo rimasti in silenzio, abbiamo accettato il sacrificio della nostra attività per la salute pubblica, però guardandoci intorno, vedendo ancora questi numeri e concittadini che muoiono sembra che non sia servito a nulla.
Ti sei fatta un’idea di come si può ricominciare a lavorare con i teatri?
Come ho già detto serve innanzitutto una programmazione seria, per questa estate ad esempio bisognerebbe già avere organizzato tutto adesso, non si può pensare di farlo poco prima. Sicuramente sono stati messi sul piatto tanti fondi, soprattutto per lo streaming, come soluzione economica per garantire quanto meno la nostra sopravvivenza, però il Teatro è altro.
Forse sarò estrema ma in una situazione del genere credo bisogna prendere misure estreme, credo che bisognerebbe sfruttare gli spazi all’aperto d’estate e in inverno. Non è una cosa impensabile, in fin dei conti le persone d’inverno vanno nei mercatini di Natale, a volte vanno allo stadio sotto la neve per guardare le partite. Perché non si può fare con il teatro? Perché non utilizzare gli impianti sportivi, gli stadi, per il teatro? Ti porti una copertina per coprirti ed è fatta. Io conosco il mio pubblico e penso che verrebbero a seguire uno spettacolo all’ aperto anche d’inverno. Certo bisogna anche cambiare il punto di vista, il teatro è stato anche momento di convivialità, comodità e condivisione ma il momento che stiamo vivendo è estremo quindi richiede anche misure estreme.
Cosa ti manca di più del teatro e quale opportunità invece ti ha dato questo periodo di chiusura?
Mi manca lo studio per il teatro, prepararsi per uno spettacolo. Questa incertezza non ti permette di studiare per preparare qualcosa di importante, anche noi abbiamo bisogno di obbiettivi, di date certe, viviamo anche noi di questo. E poi il rapporto con il pubblico, dopo tutto questo tempo chiusi non sappiamo che pubblico troveremo, chi ci seguirà, cosa vorranno da noi, se ridere o piangere.
Per quanto riguarda l’opportunità, era da tanto tempo che volevo lavorare su un classico per renderlo fruibile a tutti, anche i più piccoli. Faccio un esempio: la Divina Commedia. Spesso è affrontata con noia e le ragazze e i ragazzi non colgono subito tutta la sua bellezza. In questo periodo ho capito che forse la funzione dell’artista è anche di rendere accessibile e alla portata di tutti, in maniera diversa, il messaggio di alcuni classici che restano attuali ancora oggi, per portare i più piccoli a teatro. Smettere di pensare che se è incomprensibile è buono, se è sperimentale è fantastico. Forse alla fine quello che dovremmo fare in questo momento è avvicinarci alla semplicità.
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