di Annarita Giglia

Ben trovati lettori di LAO! L’ultima volta abbiamo chiacchierato sugli alimenti processati e ci siamo lasciati con un’informazione che ‘a prima lettura’ sembra insolita: nonostante gli alimenti processati siano responsabili di rapidi tassi di obesità, la ragione non si rintraccia nel loro contenuto calorico (il primo numero che compare nella tabella nutrizionale dell’etichetta del prodotto espresso in kcal).

“Quale sarebbe quindi la reale motivazione?”

A quanto pare gli alimenti rielaborati a livello industriale sembrano modificare il nostro metabolismo e gli ormoni che lo regolano attraverso l’aumento del nostro set point, cioè fanno percepire più tardi il senso di sazietà rispetto ad un alimento lavorato poco o per nulla. A dimostrarlo studi condotti sui roditori che dopo essere stati nutriti con una dieta ricca di grassi saturi, hanno sviluppato infiammazione anche a livello di cellule nervose situate nella regione del cervello addetta al controllo dell’appetito, quindi all’introduzione di cibo. I neuroni danneggiati pare siano diventati incapaci di percepire l’ormone che si occupa della regolazione del senso di fame condizione che, a sua volta, non permette d’inviare all’apparato digerente il segnala di sazietà. Il risultato è stato una maggiore introduzione di cibo (aumento del set point) nonché una maggiore probabilità di sintetizzare più grasso. E i neuroni dell’uomo non sono immuni da questo meccanismo.

Quello descritto però non è l’unico modo attraverso il quale gli alimenti trasformati possono aumentare il set point; possono farlo anche stimolando eccessivamente un’altra specifica area del cervello detta centro di ricompensa così chiamata perché risponde al piacere provocato dagli alimenti che aumentano i livelli di un’altra particolare molecola chiamata dopamina. Gli alimenti che più di tutti riescono a stimolare il centro della ricompensa perché più degli altri riescono a dare piacere: sono lo zucchero, il grasso e il sale.

Il meccanismo di funzionamento del centro del piacere è vecchio quanto il mondo. Fin dalla Preistoria infatti, i cibi che davano intensa soddisfazione all’uomo erano gli stessi. La differenza sostanziale è che nella Preistoria erano limitati per cui stimolare piacevolmente’ il cervello con questi alimenti aveva un senso: ricavare dagli stessi la motivazione per continuare a cercarli e sopravvivere (senza considerare i periodi di carestia inaspettati!).

L’industria alimentare e in particolare le grandi multinazionali, ingaggiano scienziati che sulla base del meccanismo di funzionamento dei centri di ricompensa mescolano la proporzione perfetta di grasso, zucchero e sale per creare un prodotto capace di donare il  maggiore piacere che si possa ottenere a livello gustativo. Per cui non basta consumarne una sola porzione. Se non riuscivate a spiegarvi come mai prodotti quali coca- cola, patatine fritte e crema al cioccolato diventano irresistibili, adesso potete!

Quello che invece crea meno piacere è sapere che i livelli di ricompensa superano quelli che il nostro cervello è in grado di gestire. Tale meccanismo spinge ad abbuffarsi di prodotti processati (e non di altri). Si ipotizza che si tratti di un ulteriore modo per aumentare il nostro set point. Diminuire quanto più possibile i cibi processati quindi è uno dei passi più importanti da compiere per mantenere un peso corporeo che si possa definire ‘sano’.