di Danilo Napoli
Maria, Pinuccia, Lia, Katia e Antonella sono cinque sorelle palermitane. Agili, chiassose, vanitose, ballerine e osservatrici. La vita di tutte gira intorno Antonella, la più piccina, che guarda con tenera ammirazione i gesti delle sorelle più grandi. Nella loro casa rumorosa vivono sole, non c’è traccia dei genitori, riescono a far tutto, ognuna contribuisce a suo modo alla vita famigliare. Sopra di loro un deposito di colombe, attività di famiglia con la quale riescono a mantenersi.
Nelle prime scene i preparativi per una spensierata giornata di mare e la complicità delle sorelle ci conducono in uno status emotivo affascinante e leggero. I loro corpi festanti tra l’acqua di mare, le loro urla e le loro risate ci fecondano di leggerezza, ma la m.d.p non è mai troppo ferma, traballa un po’ e per un occhio esperto quello può essere il segnale che qualcosa accadrà. Quella giornata al mare, quelle risate, i loro ingenui giochi rimarranno lì, fissati per sempre. Quel giorno tutto cambia, un’involontaria disattenzione e nasce così il loro più grande segreto, il loro più grande dolore. Un secondo e tutto si tramuta in tragedia, in disperazione. La loro vita prosegue, ma quel giorno al mare le ha cambiate per sempre.
Le sorelle Macaluso è uno di quei film che fissa il significato dell’intera vita nella parola FAMIGLIA. La rabbia, la disperazione, le angosce, i fallimenti e le incomprensioni che ognuno di noi prova nel nucleo famigliare, le troviamo in molte scene. Con eleganza ci viene narrato così il dolore che solo la famiglia ci può dare, il trascorrere del tempo che spesso non fa che peggiorare le cose e rendere tutto dannatamente più complicato. A raccontarci questa storia è Emma Dante, regista e attrice teatrale. La palermitana ha lucidamente adattato l’omonima pièce teatrale restituendoci tutto quella sofferenza attraverso le sue protagoniste. Il film trasuda, attraverso i corpi e le espressioni delle attrici, tutti quei sentimenti prima citati, con scene molto fisiche, proprie dello stile della regista. Radicale fino in fondo Emma Dante mette sullo schermo un film interamente al femminile, emarginando del tutto la presenza maschile. Scelta coraggiosa e che esalta le scelte e lo stile dell’autrice e che ricorda “Mustang” mirabile film franco-turco di un paio di anni fa. L’unico difetto degno di nota è il modo in cui è stato narrato il tempo, vi sono incongruenze che di sicuro non sfuggono ai più attenti. Nell’insieme comunque il film tiene per tutto il tempo un livello altissimo di qualità e tensione emotiva, coinvolge la storia e il modo in cui è raccontata, soprattutto un’ottima e curata fotografia ci permette di entrar dentro a ogni scena.
Dopo “Via Castellana Bandiera” dunque Emma Dante è tornata a Venezia con un film forte e raro, che ci permette di riflettere su noi stessi, sui rapporti che intraprendiamo in famiglia e su come gestiamo le sofferenze che questa comporta. Un film che sviscera sofferenza fa sempre bene, lo trovate ancora nelle sale.
Buona Visione.
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