fotografia dalla pagina facebook @donnaliafruit

di Antonio Picone

Nei pressi del comune di Delia, in provincia di Caltanissetta, tra le fertili e sinuose colline della Sicilia, dal 1978 esiste un’azienda agricola che oggi, a livello nazionale, è tra le più all’avanguardia del settore; stiamo parlando dell’Azienda Agricola Di Pasquale e del loro brand Donnalia fruit.

Abbiamo intervistato uno dei titolari dell’azienda il giovane Vincenzo Di Pasquale che, assieme al fratello Angelo, ha contribuito negli gli ultimi anni al rinnovamento dell’azienda sotto molteplici aspetti che vanno dalla produzione alla commercializzazione, dalla sostenibilità fino alla creazione, ormai quasi ultimata, della Pesca IGP di Delia.

Dopo essere stato ricevuto molto cordialmente nel suo ufficio e scambiato alcuni convenevoli abbiamo iniziato con l’intervista e la prima domanda è stata la seguente:

Come sei diventato imprenditore agricolo?

“Il mio percorso è cominciato dopo aver conseguito il diploma, quando ho deciso di iniziare a lavorare nell’azienda di famiglia. Il primo approccio, devo dire, non è stato positivo, perché in azienda si ragionava e si produceva alla vecchia maniera, cosa che non era più sostenibile. Così, io e mio fratello, dopo qualche anno di esperienza siamo riusciti nel nostro intento e cioè quello di dare una svolta all’azienda cambiando completamente mentalità nella produzione e nella commercializzazione. Volevamo fare qualcosa di nuovo e così abbiam fatto e i nostri genitori e i nostri zii hanno creduto in noi”.

Parlaci dell’azienda Di Pasquale:

“La nostra è un’azienda agricola familiare e si trova nel territorio nisseno a circa 450 m sul livello del mare vicino Delia, il nostro paesino d’origine. Oggi abbiamo 80 ettari di terra totalmente in produzione divisi in albicocche, pesche nettarine e uva da tavola.

Io seguo il settore commerciale ed amministrativo, mio fratello Angelo si occupa del controllo della qualità del prodotto nella lavorazione ed è anche il responsabile marketing dell’azienda, mio padre segue la parte burocratica dell’azienda e assieme ai miei zii si occupa della gestione, della produzione, della raccolta e dell’irrigazione. Poi vi sono l’agronomo, i capisquadra, gli operari ed in totale arriviamo anche a 80 unità stagionali”.

Com’è nato il brand Donnalia?

“Noi, 40 anni fa, eravamo solo produttori ma successivamente è nata l’esigenza di iniziare a commercializzare il nostro prodotto. Abbiamo quindi puntato sulla commercializzazione ed avendo conseguito sin dall’inizio ottimi risultati abbiamo deciso di dare vita al brand Donnalia che sta per Donna Rosalia. Oggi possiamo affermare che questo è uno dei brand più conosciuti d’Italia nel settore ortofrutticolo e questo grazie al fatto di aver puntato molto sul marketing, sugli alti standard del prodotto, sull’ innovazione, la tecnologia e la sostenibilità; tanto d’aver creato un grande interesse nella GDO (grande distribuzione organizzata) italiana e se infatti parli con un buyer di qualsiasi catena italiana ci conosce, al di là del fatto che li forniamo o meno”.

Quali sono le varie cultivar che coltivate?

“Noi coltiviamo Albicocche, Pesche nettarine, e Uva da Tavola.

Di quest’ultima coltiviamo l’Uva da tavola di Canicattì IGP, che è un nostro cavallo di battaglia, e la Red Globe. Abbiamo anche delle collaborazioni con altre aziende specie nel catanese di cui commercializziamo meloni, fichi d’India, arance e arance rosse. Perciò, qualunque sia la stagione, noi lavoriamo sempre”.

Tra queste cultivar, quale risulta la più difficile da gestire e quale la più semplice?

“Diciamo che sono tutte un po’ difficili perché parliamo di frutta estiva che spesso è influenzata da anomalie climatiche. Possono esserci delle ondate di calore che possono fare aumentare la temperatura di ben 7° -9° nel giro di pochissimi giorni e per gli alberi può rappresentare un grave problema. Può per esempio accadere che siamo costretti a raccogliere, in alcune settimane, più prodotto del previsto e questo porta a delle conseguenza legate alla gestione del prodotto e alla sua conservazione”.

Quale ritieni sia stato il vostro ‘annus horribilis’?

Esita un attimo e quasi a voler tirar un sospiro risponde:

“Il 2018! A causa di una particolare fitopatia, chiamata craking, che ha colpito l’uva da tavola e che si sviluppa tramite le piogge e l’eccessiva umidità e quell’anno abbiamo perso più del 40% del prodotto”.

Come è nata e come si è sviluppata l’idea dell’IGP della Pesca di Delia?

Ecco che ritorna il suo sorriso deciso e soddisfatto:

“La pesca nettarina è il nostro prodotto di punta su cui crediamo tanto ed abbiamo investito tanto. A Delia se ne parla da una quindicina d’anni ma è con l’amministrazione attuale che si sono fatti dei notevoli e concreti passi in avanti e oggi il risultato di tutto l’iter burocratico è a Bruxelles e aspettiamo quindi il benestare dall’Unione Europea. Si è trattato di un lavoro molto impegnativo, specie negli ultimi 6 – 7 anni, poichè per l’ottenimento dell’IGP è necessario che vi sia dietro un lungo studio professionale e dettagliato basato su: analisi chimiche, organolettiche e storicità del prodotto che non deve essere inferiore ai 20 anni. Però, finalmente, ci siamo e una volta creata questa IGP, fonderemo il consorzio ed inizieremo la commercializzazione”.

Quali sono le differenze con le altre pesche siciliane IGP di Bivona (AG) e Leonforte (EN) ?

“Si tratta di tre prodotti differenti: a Bivona hanno una Pesca Bianca, a Leonforte una Pesca Tardiva Gialla e a Delia la Pesca Rossa (Nettarina). Quindi tre pesche diverse, coltivate in territori con caratteristiche differenti e che non vanno in concorrenza tra loro”.

In quali mercati esportate?

“Per l’85% in Italia, perché abbiamo ritenuto opportuno partire dal nostro mercato nazionale, visto che è quello che conosciamo meglio. Però non ti nascondo che nei prossimi anni cercheremo di aumentare la quota export perché riteniamo che all’estero il nostro prodotto possa essere ancor più valorizzato. Infatti noi non vendiamo una semplice pesca, ma si tratta di una pesca siciliana con bassissimi residui di trattamenti fitosanitari, confezionate in un packaging sostenibile e plastic free. Siamo stati tra i primi in Italia ad utilizzare i cartoni al posto della plastica e questo all’estero viene apprezzato moltissimo, in Italia meno anche se ultimamente riguardo a ciò notiamo una crescente sensibilità”.

Quali sono i vostri maggiori concorrenti?

“Uno dei nostri concorrenti principali è la Spagna che ha dei costi di produzione molto più bassi dei nostri e riescono a produrre un prodotto che esteticamente è superiore al nostro ma inferiore qualitativamente a livello di gusto e di gradi Brix (°Bx) di dolcezza”.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi per un imprenditore agricolo che investe nel nostro territorio?

Prima fa un sorriso sardonico e poi risponde:

“Un grande svantaggio che ha il nostro territorio sicuramente sono le distanze che ci penalizzano tanto e ci portano ad aver un costo di 10/15 cent. in più al kg e quindi competere sul prezzo diventa ancora più faticoso. Inoltre negli ultimi anni riscontriamo anche il problema della manodopera che non è semplice da trovare nonostante ci si adegui agli standard dei patronati e delle buste paghe che ci sono attualmente. Come vantaggio abbiamo un clima ideale per produrre questi prodotti e non a caso la Sicilia si è creata un nome negli anni e su ciò abbiamo avuto ottimi riscontri. Però vi è da dire che l’agricoltura è molto legata al clima e così anche alle anomalie climatiche che possono portare a ripercussioni serie e gravi sui prodotti. Il clima, ahimè, è l’unica cosa che non si può controllare e modificare, tutto il resto invece cerchiamo sempre di gestirlo ”.

A proposito, cosa ne pensi di questo inverno secco?

“Penso che bisogna difendersi dalla siccità e noi ci abbiamo pensato già in tempi non sospetti creando un lago di 150 mila litri cubi, tra i più grandi della provincia di Caltanissetta”.

Cosa ne pensi della frutta esotica sempre più coltivata in Sicilia?

“Io ho parlato con diversi buyer della grande distribuzione italiana e loro sono molto entusiasti di questo prodotto perché, in generale, cresce a doppia cifra sui banchi delle vendite. Quindi sicuramente l’esotico siciliano, se negli anni si saprà posizionare ed essere in linea con la frutta importata, penso che avrà ritmi di crescita non indifferenti. Così ci ritroveremo con più prodotti da coltivare nella nostra terra”.

Che cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere questo lavoro?

“Innanzitutto se vuoi fare questo lavoro ci devi credere, perché non è affatto un lavoro semplice. A parte che, secondo me, devi nascere in una famiglia di agricoltori, perché inserirsi in questo settore è molto difficile e si va incontro ad una serie di differenti problematiche. Oggi essere imprenditori agricoli non significa solo stare nei campi e nei frutteti, ma anche presenziare e partecipare alle fiere del settore, nazionali ed estere, per capire come affrontare gli anni futuri e come affrontare la concorrenza; significa pure conoscere i mercati e le tendenze, studiare e svolgere tanta burocrazia.

Io dico sempre una cosa ai miei genitori: ‘l’agricoltura non è più come una volta, oggi è un’industria’. Nel senso che bisogna conoscere bene quello che l’azienda ti riesce a produrre e remunerare sapendo fare bene i conti, stando dietro a tutti gli aspetti burocratici e riflettendo molto sugli investimenti e le spese d’attuare le quali non sono indifferenti specie se sono dedicati all’elevazione degli standard di sicurezza, alla qualità dei prodotti e all’innovazione tecnologica”.

Quali i progetti futuri?

“I progetti sono tantissimi ed essendo giovani cerchiamo sempre nuove frontiere e nuove ispirazioni. Nei prossimi anni sicuramente vogliamo raggiungere il residuo zero dei trattamenti fitosanitari nei nostri prodotti e vogliamo aumentare la quota export.

Entro il 2021, se tutto procede secondo i nostri piani, avremo anche un centro di confezionamento completamente nuovo con dei macchinari per la lavorazione della frutta altamente tecnologici, i quali automaticamente controllano non solo la divisone del prodotto stesso e quindi il calibro, ma anche i difetti esterni. Qualcosa d’innovativo che ancora sul territorio non esiste per quanto riguarda la lavorazione di pesche ed albicocche”.

In conclusione cosa vorresti aggiungere:

“Io vorrei che il territorio nostro così vocato alle pesche e l’uva si specializzasse un po’ di più, perché a noi manca la specializzazione sui prodotti e per cercare di alzare l’asticella nel territorio occorrerebbe che tutti noi imprenditori ci specializzassimo cercando di dare così anche un impulso all’economia del nostro territorio. In questo settore al confronto con altri Paesi europei siamo un po’ indietro e quindi dobbiamo cercare d’innalzare lo standard qualitativo e di non vendere semplicemente una pesca ma di vendere il valore che c’è dietro e quindi di dare valore a quello che vendiamo”.