di Giulio Scarantino

La fiaccolata per Adnan di venerdì è stata abbastanza partecipata, oltre a diversi pakistani erano presenti tante associazioni, gruppi sociali, l’intera giunta, qualche sparuta rappresentanza di altre città della Sicilia e poi cittadini nisseni, italiani e non. Sicuramente una piazza commossa per il saluto al fratello Adnan e arrabbiata per il suo crudo omicidio. Il coro che chiede giustizia si leva dal pubblico più volte, nell’intervallo tra l’alternarsi di chi prende parola.

Tanti gli interventi, anche di rappresentanti delle associazioni, gruppi sindacali, dei partiti e infine anche del Sindaco . Tutti ovviamente opportuni. Eppure il momento più toccante di venerdì è stato il minuto di silenzio. Un silenzio faticosamente raggiunto, tra il chiacchiericcio di qualche curioso spettatore, ma che una volta realizzato è esploso in 60 secondi di commozione.

Sarà forse perché per un attimo quel silenzio ci ha ricordato chi è stato il complice esecutore dell’omicidio di Adnan. Il silenzio appunto. Adnan è stato invece Il boato che ha interrotto l’apparente torpore di Caltanissetta. Il silenzio omertoso di una città apparentemente tranquilla. Dove possiamo permetterci il lusso di avere come principale oggetto del dibattito politico le vetrinette di un negozio nel centro storico o qualche strada non ancora pulita. Insomma una città che per essere rigenerata ha bisogno solo di un po’ di pulizia o di decoro.

Eppure proprio dal silenzio dovremo ripartire, non quello omertoso, ma di meditazione e di riflessione. Il silenzio umile del senso di colpa, per non commettere l’errore di lasciare di nuovo nel silenzio fratricida il nostro amico Adnan.