di Federica Dell’Aiera
Mesi e mesi a casa in quarantena, finalmente inizia la ripresa dopo la pandemia. Piano piano la nostra Italia si sta riprendendo da un lockdown che ci ha costretti a casa, in smart working. Nel tempo libero tra un webinar e una video chiamata abbiamo colmato gli abbracci e gli aperitivi mancati a causa del distanziamento sociale e acquistato online le mascherine che ci proteggono dalle droplet. La sera invece, tutti attenti al tg tra un dpcm e l’altro ad osservare l’andamento della curva epidemica.
Quante parole ed espressioni di queste appena scritte non avevamo mai usato prima d’ora e sono entrate prepotentemente nel nostro vocabolario?
Iniziamo da quarantena e pandemia. Forse è una parola che abbiamo letto tra i banchi di scuola studiando storia o letteratura italiana. Pandemia si riferisce a qualcosa che ha la tendenza a diffondersi ovunque e rapidamente e quarantena, come ci suggerisce la sua radice, si riferisce a un periodo di quaranta giorni in cui qualcuno o qualcosa viene isolato. La parola deriva dal veneziano quarantina ed è nata nel XIV secolo per indicare il periodo di isolamento a cui venivano sottoposti gli equipaggi delle navi che provenivano dalle zone colpite dall’epidemia di peste nera. Come mai proprio 40 giorni? Il numero 40 è legato a tradizioni popolari e religiose e dunque per superstizione era ben accetto dalla popolazione. Inoltre all’epoca si pensava che in quaranta giorni si garantiva la guarigione del malato. Durante questa pandemia i giorni di quarantena sono stati invece 14, prolungati poi insieme al lockdown del paese. Lockdown è un anglicismo che ha in realtà due significati: il primo si riferisce all’isolamento dei detenuti nella loro cella come misura temporanea di sicurezza, il secondo invece si riferisce ad un protocollo di sicurezza che vieta entrata ed uscita da un’area geografica o edificio, in caso di situazioni estremamente pericolose. In realtà l’espressione lockdown è stata usata per descrivere i provvedimenti d’emergenza che il governo ha attuato per la sicurezza del nostro Paese, dunque i significati originali del termine sono totalmente lontani da quello che invece abbiamo attribuito in Italia. Cediamo sempre agli anglicismi, in realtà un’espressione che descrive le misure ed i protocolli di sicurezza c’era già ed è distanziamento sociale. Distanziamento sociale si riferisce infatti all’isolamento domiciliare, la chiusura delle scuole, le restrizioni sugli spostamenti, il divieto di assembramenti e la chiusura delle attività non essenziali.
Un’altra espressione che sentiamo ed usiamo spesso è smart working, anche in questo caso abbiamo ceduto all’anglicismo. Il termine lavoro agile esprime lo stesso concetto, ovvero la modalità di lavoro non vincolata da orari e luogo di lavoro, la sua definizione è contenuta nella Legge n.81/2017. C’è stato un bel dibattito poiché l’espressione è stata confusa e ha sostituito il termine telelavoro, più esatto per le modalità attuate in questo periodo di emergenza sanitaria. Smart working è in realtà un approccio all’organizzazione del lavoro i cui principi cardine sono flessibilità, autonomia, responsabilizzazione e ottimizzazione degli strumenti e delle tecnologie.
Parliamo dei webinar. Chi non ha assistito ad un webinar durante questa pandemia? La parola nasce dall’unione di Web e Seminar e indica un evento pubblico che avviene online mediante una piattaforma. Proprio come qualsiasi seminario, ci si trova tutti insieme ad un orario stabilito nella stessa stanza, che però è appunto virtuale. Grazie agli strumenti della piattaforma che ospita l’evento, è possibile intervenire, porre domande e condividere idee. Fortunatamente dalla comodità di casa nostra, non si indossano le mascherine per partecipare.
L’obbligatorietà delle mascherine per fermare le droplet è una delle misure varate da uno dei DPCM varati in questo periodo. Le mascherine, in TNT, Fpp1, Fpp2, Fpp3, in tessuto, homemade, chirurgiche, intelligenti, egoiste insomma sulle mascherine da parlare ne abbiamo abbastanza, per non parlare dei DPCM acronimo di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero è un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria e serve per date attuazione a norme o varare regolamenti (cit. Sole24 ore).
La parola droplet, che molti hanno tradotto come goccioline, si riferisce in realtà all’emissione di secrezioni respiratorie e salivari in forma di goccioline, espulse quando si starnutisce o si tossisce e che rimangono sospese nell’aria. Ragion per cui è necessaria rispettare la distanza di sicurezza di almeno un metro tra una persone e l’altra, misura necessaria per limitare il contagio e non far alzare la curva epidemica. La curva epidemica è un grafico statistico utilizzato dagli epidemiologi per visualizzare l’andamento nel tempo della malattia. È proprio su quest’ultima parola che dobbiamo soffermarci, perchè siamo noi a controllare davvero questa curva e non soltanto stando davanti al tg. Prima di poter sperare di arrestare totalmente la diffusione, è fondamentale rispettare tutte le misure ed il distanziamento sociale per poter rallentare i contagi e poterli spalmare nel tempo, salvando così vite umane e dando la possibilità agli ospedali di gestire le risorse e ai ricercatori di poter lavorare su cure e vaccini.
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