Intervista a cura di Rocco Gumina

Per la costituzione italiana, le amministrazioni locali rappresentano il cuore pulsante della vita istituzionale del nostro Paese fatta di costante relazione fra cittadini e istituzioni a loro vicine. Dopo le varie riforme degli enti locali degli anni scorsi, le amministrazioni sparse nel territorio nazionale attraversano un periodo di particolare sofferenza dovuto non soltanto alla scarsa disponibilità economica dei bilanci comunali ma anche alle conseguenze della pandemia da Covid-19.

Discutiamo di questi temi con Rosario Fabio Oliveri. Da quasi due anni assessore del comune di Lercara Friddi con delega al bilancio e alle politiche educative, giovanili e culturali, Oliveri si è formato nell’Azione Cattolica dell’arcidiocesi di Palermo per la quale è stato responsabile del Progetto Policoro.

– Quali sono, a tuo parere, le maggiori difficoltà che in questi anni affrontano le amministrazioni locali? Si tratta solo di assenza di disponibilità economica?

La crisi finanziaria ha inciso notevolmente sui comuni. I trasferimenti sia statali che regionali sono sempre più limitati, inoltre l’obiettivo di realizzare e attuare il federalismo fiscale si è tradotto in un sistema che si è rivelato fragile nella sua realizzazione concreta. L’attuazione di questa interpretazione sviata di federalismo fiscale, che in un certo senso non accompagna e non tutela in maniera completa gli enti locali, ha esposto i Comuni ad una serie di criticità. Le risorse su cui potevano fare affidamento gli enti locali si sono drasticamente ridotte, amplificando, in alcuni casi, i diversi disagi.

Nonostante il quadro delineato, la linea adottata dallo Stato sembra aver sortito effetti positivi in quanto i Comuni, non solo non hanno prodotto altro indebitamento ma, anzi, hanno apportato accreditamento alla finanza pubblica. Ma a quale prezzo per i cittadini?

È necessario sottolineare quanto sia stata compromessa la spesa corrente dei Comuni che per questi enti svolge un ruolo centrale e primario per erogare i servizi. Tagliare la spesa corrente, infatti, si è tradotto nella difficoltà di non poter garantire ai cittadini i servizi necessari, di non poter provvedere al risanamento del manto stradale, di non poter premiare le persone che lavorano sodo, ecc.

Da questo quadro emerge come sia indispensabile un nuovo orientamento. Nell’enciclica Laudato si’, al numero 189,leggiamo: “Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”.

In questo scenario, e da ciò che scaturisce dall’enciclica Laudato si’, bisogna ribadire che la crisi finanziaria, la crisi del lavoro che ogni giorno vede partire giovani, ma anche intere famiglie, è la conseguenza di una crisi culturale.  È necessario capire che nessuno si salva da solo, nessun comune si salva da solo! Servono nuove reti, relazioni di reciprocità tra i comuni degli stessi territori. È una grande occasione per ricostruire un’operosa fiducia collettiva tra comuni, imprese e associazioni, è il momento di tirar fuori generosità ed inventiva, di praticare buon senso e ragionevolezza.

– La costituzione italiana sancisce il principio di sussidiarietà verticale tanto per tutelare le autonomie locali quanto per sostenerle in caso di necessità. Alla luce della tua esperienza, come valuti le relazioni fra i vari livelli istituzionali? Ci sono criticità? Quali?

In un panorama sempre più ricco di connessioni culturali, politiche, economiche diventa necessario ripensare al valore della sussidiarietà come garanzia di sviluppo della democrazia. Un principio che è espresso chiaramente nella nostra costituzione, nell’art 118, che recita. “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

La sussidiarietà esige che lo Stato rispetti e garantisca l’autonomia degli enti minori. Si tratta di un principio che attiene all’ordine naturale delle relazioni non solo tra il potere dello Stato e l’autonomia delle collettività minori, ma anche di quelle tra l’autorità pubblica e la libertà dei cittadini. La sussidiarietà verticale esprime la modalità d’intervento – appunto sussidiario – degli enti territoriali superiori rispetto a quelli sottostanti, che resta legittimato solo nei casi in cui l’esercizio delle funzioni da parte dell’organismo minore risulti inadeguato per il raggiungimento degli obiettivi connessi alla funzione. La sussidiarietà verticale lega quindi in un rapporto gerarchico e funzionale gli enti territoriali cercando di privilegiare la centralità della persona umana nel processo politico di decisione.

I cambiamenti culturali, economici e politici stanno modificando i nostri territori che pongono in maniera ancora più pressante la domanda su come offrire misure adeguate a questi tempi ed ai bisogni dei cittadini.

Alla luce di queste trasformazioni è chiaro che manca una visione ed una decisione politica comune che possa rispondere alle aspettative di un territorio ed è per questo che è necessario ridisegnare le caratteristiche delle autonomie locali, tenendo conto del principio della sussidiarietà. Ciò comporta, riprendere un dialogo con gli enti territoriali intermedi come le Città Metropolitane e l’Unione dei Comuni. Bisogna ripristinare un dialogo che si traduca in una collaborazione, in una progettazione sociale coerente con i bisogni territoriali per dar vita ad una stagione di coordinamento e di governance unitaria più efficace, per rafforzare l’identità dei territori e custodire le tradizioni di questi luoghi, soprattutto dell’entroterra siciliano che, grazie alla ricchezza storica, enogastronomica e antropologica, possono dar vita a nuovi processi economici e a nuove forme di lavoro, che potrebbero arginare il fenomeno dello spopolamento.

È importante recuperare con questi enti territoriali intermedi un’idea di sussidiarietà come responsabilità rispetto alle sfide del tempo perché se “la realtà è superiore all’idea”, come afferma papa Francesco, nella Evangelii gaudium, non siamo noi a scegliere su che cosa operare ma è il “grido” del nostro popolo a indicarci le priorità del nostro impegno. Tutto questo significa costruire e rafforzare reti con altri soggetti, collaborare con altri enti, con organismi non governativi ed associazioni intermedie, per sviluppare connessioni e forme inedite di prossimità.

La crisi ha posto alle nostre comunità una nuova sfida: non solo innovare lo stile della prossimità, ma mettere a disposizione il capitale fiduciario, sociale e relazionale, per costruire coesione come promessa di sviluppo territoriale.

– Amministrare un comune vuol dire relazionarsi costantemente con la cittadinanza e, quindi, con le problematiche che questa presenta. Quali attese ripongono i cittadini nei confronti della “macchina comunale”?

Il contesto dentro il quale viviamo è senz’altro difficile, assistiamo ad un inesorabile spopolamento che riguarda molti piccoli e medi comuni.  I giovani, terminato il ciclo scolastico, fanno le valigie per trovare un’occupazione altrove, un vero e proprio esodo di risorse umane!!!

In uno scenario di questo tipo non è semplice fare l’amministratore, ma questa realtà, nonostante ciò, diventa positiva, perché vuol dire che è necessario intrecciare un filo diretto che ti metta in contatto con la gente e con i loro problemi, sia quelli più semplici ma anche quelli più complessi e drammatici: la casa, la mancanza del lavoro… ecc. A volte, per questi problemi non esiste una risposta immediata e certa, perché non dipende direttamente da un impegno personale ma da meccanismi più complessi che hanno a che fare con la politica e l’economia regionale o nazionale e, in certi casi globale, tutto ciò genera sfiducia nella politica e anche negli amministratori locali.

Se da un lato, però, è difficile poter dare alcune risposte, dall’altro è importante impegnarsi, per quanto possibile, a superare l’ethos burocratico, della macchina comunale, per far sì che il cittadino riacquisti fiducia e possa riscoprire un volto dietro a quella “macchina”. Non possiamo sottrarci o sfuggire a questo tipo di attesa! Bisogna indicare vie nuove, a volte anche andando controcorrente, per ricucire un tessuto sociale con prudenza, pazienza e generosità, basato su un dialogo capace di informare in maniera seria, competente e, soprattutto, completa, il cittadino.

Penso che “la macchina comunale” debba essere un fattore coagulante, per far ritrovare la ragione del nostro essere “comunità”. Questo significa restare dentro le dinamiche, abitare il confronto pubblico con uno spirito costruttivo, starci dentro con lo stile, il linguaggio di voler fare e costruire qualcosa insieme. La cura della casa comune passa attraverso questa attenzione: camminare insieme per essere risposta che non delude!

– Spesso, e non solo a scuola, si insiste sul bisogno di avviare processi educativi volti a generare una cittadinanza responsabile. Quanto aiuta gli amministratori locali la possibilità di collaborare con una cittadinanza partecipe e responsabile?

La ricerca di dialogo è imprescindibile per un amministratore, in modo particolare in un paese, come Lercara Friddi, dove tutti ti conoscono e ti fermano per strada. La sfida vera non è semplicemente fare, ma è fare con le persone.

Il vero avversario che tutti portiamo dentro di noi è l’indifferenza, il rischio di pensare solo alle “nostre cose”. Il percorso per coinvolgere i cittadini è il lavoro più impegnativo ma è anche quello che dà maggiore soddisfazione!!! I cittadini appassionati, che si sentono responsabili della casa comune e che si lasciano coinvolgere, diventano collaboratori preziosi ed indispensabili per un amministratore perché sono pronti a fare la loro parte per lo sviluppo della comunità. Ci sono sempre più persone e associazioni che, per esempio, vedendo un giardino pubblico abbandonato da molto tempo, vanno a pulirlo, oppure persone che aderiscono ad associazioni e dedicano parte del loro tempo a dare conforto ad ammalati, ai diversamente abili, o ai loro familiari per puro spirito solidale.

La partecipazione dei cittadini, il camminare insieme sono le basi essenziali per produrre un vero cambiamento e generare un nuovo patto sociale, capace di incidere nella crescita del nostro paese. La democrazia ha bisogno di tutti, a volte proprio questo aspetto può risultare la parte più complicata e la più difficile, perché si possono venire a creare fraintendimenti.

Da circa due l’amministrazione di Lercara guidata dal sindaco Luciano Marino ha voluto avviare un percorso di democrazia partecipata e di cittadinanza attiva che ha previsto diverse tappe: la realizzazione di workshop, presso la Biblioteca comunale, per costruire alleanze e collaborazioni; la pubblicazione del bilancio comunale in una forma semplice, per consentire ai non “addetti ai lavori” una lettura facilitata ed una visione d’insieme; un sistema di tutoraggio dei quartieri che ha coinvolto tutto il consiglio comunale, con l’obiettivo di mantenere una relazione diretta con i cittadini e focalizzare meglio le problematiche del nostro territorio; infine, l’approvazione di un nuovo regolamento sulla democrazia partecipata ha permesso, e continuerà a permettere, di ascoltare e di avviare con i cittadini un confronto per tracciare, insieme, un percorso, il più possibile condiviso, che abbia come obiettivo quello di far realizzare direttamente ai proponenti i progetti presentati.

Non può esservi democrazia senza la partecipazione della società civile, essere buoni cittadini significa sapere che la vita democratica è faticosa, implica tempi lunghi, percorsi complessi e chiede rispetto delle regole. Solo partecipando al dibattito sociale e civile con la volontà di farne occasione di crescita per tutto il paese si generano percorsi e si liberano possibilità. Queste attività virtuose sono contagiose e diventano la buona Politica, come già diceva Aristotele “iniziare delle buone abitudini le fa poi diventare consuetudini e pratiche facili da ripetere”.

Il tuo impegno politico segue l’attività che hai svolto nell’Azione Cattolica Italiana e per il Progetto Policoro. Ti tornano utili – nel tuo servizio di amministratore locale – la formazione, le reti e l’esperienza che hai maturato nel mondo ecclesiale? Negli enti locali, quale contributo possono offrire i cattolici?

Certamente, e molto. Quando ho iniziato questo percorso politico non avevo esperienza. Appena eletto amministratore ho trascorso i primi tempi ascoltando, cercando di capire e questo mi è servito per imparare tanto e, a tutt’oggi, ancora non ho smesso di apprendere!!!

Grazie alla formazione e all’esperienza che ho maturato nell’ambiente ecclesiale, sono sempre più convinto che a partecipare s’impara partecipando, a dialogare s’impara dialogando, a fare l’amministratore si impara amministrando. Non c’è un periodo per la formazione e poi, a seguire, uno per l’azione ma entrambi fanno parte del medesimo tempo. Ciò che conta è costruire reti, costruire legami di collaborazione, promuovere il lavoro di squadra.

Per me amministrare significa essere a servizio di un progetto da portare avanti insieme ad altri. In quasi due anni di amministratore, infatti, lavorare in equipe è diventato fondamentale per progettare e programmare perché, proprio a livello locale, la logica dell’alleanza può dare i suoi frutti migliori per assumere iniziative concrete e provare a cambiare le cose che non funzionano.

L’esperienza in Azione cattolica rappresenta una risorsa preziosa. La vita associativa nella sua ordinarietà si è rilevata estremamente formativa. Le sue forme, le sue regole sono state e continuano ad essere un’occasione per imparare la bellezza e le difficoltà della vita democratica. I luoghi decisionali dell’associazione, i consigli e le assemblee, caratterizzati dalla collegialità e dal confronto fra generazioni, mi hanno permesso di sperimentare percorsi di corresponsabilità. Le tante iniziative, inoltre, mi hanno consentito di vivere il valore della cura e l’importanza della partecipazione e del confronto. Il Progetto Policoro, infine, è stato per me il laboratorio in cui ho potuto trovare nutrimento atto a tradurre il bene ideale in scelte concrete.

Negli enti locali, i cattolici sono chiamati ad essere dei catalizzatori di processi per connettere le persone alle esperienze virtuose, per condividere le competenze, per promuovere la cultura della fraternità e delle alleanze; via per costruire una società capace di futuro,  per motivare a costruire per il bene di tutti, non con un atteggiamento di efficientismo e tramite la pretesa di grandi risultati ma con lo stile di agire dentro i contesti con pazienza, collaborazione e creatività, senza avere la pretesa di fare meglio degli altri, o peggio ancora, nonostante gli altri. È importante ricordarci che il bene comune non si costruisce mai da soli, ma solo in comune.