di Ivan Ariosto
Renè Magritte è certamente uno dei più enigmatici pittori del Novecento europeo, le sue opere sono divenute dei simboli della nostra cultura ed il mistero sul loro reale significato affascina, da sempre, la mente di chi le osserva.
L’artista belga è, infatti, prima di tutto un pittore di idee, di pensieri visibili, non di semplici oggetti materiali. Per Magritte, tra il visibile delle immagini e l’invisibile dei pensieri c’è un nesso, una sorta di patto, che è tuttavia un patto diabolico, poiché le parti che lo stringono sono per natura incompatibili.
Riprendendo la semiotica dell’oggetto teorizzata da Roland Barthes, Magritte rimarca che tra la realtà e l’immagine della realtà c’è una distanza incolmabile, come quella che intercorre tra ciò che è detto e ciò che è pensato. Un nesso che per certi versi è legato anche al paradosso che emerge nella filosofia di Wittgenstein, il quale sosteneva che “su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” e ciò proprio perché parlandone automaticamente lo tradiremmo. Il sentimento dell’amore, in altre parole, non sarà mai uguale alla definizione di amore che l’uomo può esprimere con le sue parole; la descrizione di un’emozione o di un oggetto sarà sempre qualcosa di non autentico, di diverso, e quindi un tradimento della realtà.
In Magritte questa filosofia di fondo emerge con tutta la sua potenza. Incorporata nell’immagine dipinta sulla tela, anche la realtà autentica degli oggetti, delle persone, dei paesaggi viene automaticamente trasformata in altro, viene tradita, viene trasformata in qualcosa di artificiale e che quindi non è più, per definizione, qualcosa di reale. Tuttavia, l’arte non resta inerte dinanzi alla impossibilità di riprodurre la realtà, ma riesce ad attribuire ad essa un significato ulteriore, a metterne in evidenza degli aspetti nuovi e inaspettati. Così come Marcel Duchamp, anche Magritte si limita a “pensare per immagini”.
La sua pittura è, in sostanza, la rivincita del pensiero filosofico (di per sé dubbioso e incerto) sullo strapotere della tecnica, fondata sul dogmatismo e sul sapere costituito. Le sue opere vogliono dimostrare che la vita è un mistero e che la scienza e la politica non potranno che fallire nel loro tentativo di controllarla e manipolarla. Ciò che il pittore belga tende a sottolineare con le sue tele è quanto il visibile sia paradossalmente meno autentico dell’invisibile: ciò che non si vede, infatti, non potendo essere rappresentato (e quindi reso “altro da sé”), è destinato a restare autentico.
Invece di cercare uno stile pittorico più o meno originale o di inventare nuove tecniche, Magritte ha preferito usare la pittura come uno strumento del pensiero e del sapere filosofico, come uno mezzo che evocasse in chi guarda lo stesso mistero che è proprio della realtà.
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