Intervista a cura di Rocco Gumina

Oltre a generare l’emergenza sanitaria ed economica, la pandemia da COVID-19 ha messo in evidenza le fragilità ataviche del nostro Paese. Dal mondo della scuola ai servizi per bambini e anziani, dalla povertà diffusa alla gestione degli stranieri irregolari, oltre a gestire la crisi odierna la politica in Italia è chiamata a progettare un percorso di sviluppo capace di limitare le radicate diseguaglianze presenti nelle nostre comunità.

Di tale questione parliamo con Paolo Ciani. Membro della Comunità di Sant’Egidio, dal marzo 2018 Ciani è Consigliere Regionale del Lazio per Democrazia Solidale – DEMOS di cui è coordinatore nazionale. Ha lavorato come ricercatore ed è stato Consigliere del Presidente della Commissione Affari Sociali presso la Camera dei Deputati. Ciani è esperto di politiche sociali, dialogo interculturale, minoranze, immigrazione, integrazione, educazione alla pace, discriminazione e dialogo interreligioso.

Di recente il presidente della Repubblica Mattarella ha sottolineato l’importanza della scuola per l’edificazione della società del futuro. Uno dei problemi più significativi del sistema di istruzione del nostro Paese è la dispersione scolastica che, nella fase della didattica a distanza, pare aggravarsi ancor di più. Quali politiche occorre avviare per arginare la dispersione?

Il tema della scuola è molto delicato. Non sfugge a nessuno l’eccezionalità del momento quindi non si tratta di condannare o puntare il dito perché non è mai accaduto nella storia della repubblica che si chiudesse la scuola nel giro di qualche giorno, all’improvviso e su tutto il territorio nazionale. Così, la scuola è stata travolta dall’eccezionalità del momento e dalla preoccupazione per la salute pubblica.

Occorre dire che tutti, compresa la scuola, eravamo impreparati a gestire una simile emergenza. L’istituzione scolastica ha provato a mettere in campo nuove misure come la didattica a distanza, ma tale metodologia ha dimostrato subito la diseguaglianza sia fra le scuole – con più o meno mezzi informatici – sia fra le città e i territori del nostro Paese. I recenti dati Istat mostrano che tantissime famiglie italiane non hanno strumenti informatici a casa. Inoltre, sappiamo bene che diversi territori italiani non sono coperti dalla fibra e che tante famiglie non possono permettersi i giga a pagamento.

Perciò, questo tempo ci sottolinea come uno dei più importanti strumenti di uguaglianza sociale come la scuola non possa svolgere il proprio servizio aumentando nei fatti la disparità. In questa situazione bisogna ricordarsi maggiormente delle famiglie numerose, dei bambini disabili e con bisogni educativi speciali, dei ragazzi delle baraccopoli dove c’è la miseria e di tutti coloro che non sono raggiunti dalla didattica a distanza.

Alla luce di ciò, ancor prima delle polemiche su riaprire o meno la scuola, questo è il tempo di riportare nella comunità scolastica i più fragili senza dimenticare che il tema della dispersione era significativo anche prima della pandemia. Il rischio è che l’emergenza acuisca il problema.

In questo periodo, la necessità dei lavoratori stagionali ha aperto un acceso dibattito sulla regolarizzazione dei migranti. Lei è favorevole ad una forma di regolamentazione degli irregolari. Perché?

Sono favorevole alla regolarizzazione. Anzitutto perché è una questione ricorrente nel nostro Paese nonostante le strumentalizzazioni e le feroci contrapposizioni. Basti pensare alla più grande regolarizzazione in Italia fatta con la legge Bossi-Fini che porta il nome di coloro che erano fra i più restrittivi su questo tema. Inoltre, sarebbe importante farlo ora non solo per i lavoratori stagionali dell’agricoltura ma anche per gli altri lavoratori di tutta la filiera dell’agroalimentare.

Poi penso anche a tutti quei lavoratori stranieri che svolgono servizi alla persona e che operano nel nostro territorio. Una regolarizzazione darebbe loro uno strumento di emersione e allo stato uno possibilità maggiore per garantire la sicurezza specie in epoca di pandemia dove è necessario il controllo sanitario.

Con il DCPM che avvia la fase 2 dell’emergenza COVID-19, il governo – secondo molti osservatori – pare aver dimenticato le misure rivolte agli anziani, ai bambini e agli adolescenti. Concorda?

Nella rapidità della comunicazione di una conferenza stampa, quella di Conte è sembrata arida e capace di sottolineare soprattutto gli aspetti economici e commerciali. Ma la società non è fatta solo di codici Ateco! Serve guardare alle persone nella loro relazione sociale le famiglie, gli anziani, i disabili, i bambini.

Tuttavia, mi sembra che ci sia una preoccupazione non solo italiana in merito alla fase 2 cioè alla capacità di immaginare pienamente una ripresa perché c’è una grande apprensione su un possibile ritorno della diffusione incontrollata del virus. Inoltre, va sottolineato che fra la necessità di riavviare l’economia e l’urgenza di contenere la pandemia non può restare schiacciato l’aspetto umano ovvero le dimensioni concrete della vita delle persone non devono restare da parte.

Quest’emergenza aumenterà a dismisura tanto le diseguaglianze quanto la povertà assoluta. Oltre ai sussidi, le istituzioni a qualsiasi livello quali politiche dovrebbero attivare per limitare tali problematiche?

Questo è un tema importante. I buoni spesa e il sostegno economico immediato è basilare perché c’è stato un rapido impoverimento. Oltre a ciò dovremmo misurare quanto questa crisi allarghi il livello della povertà. Il grande timore è che la fascia media possa scivolare nella povertà. Occorre fare di più per garantire i lavoratori e per diminuire la disoccupazione.

Lei è un cattolico che dall’esperienza del volontariato ha maturato la decisione verso l’impegno politico. Perché reputa, da credente e da cittadino, importante l’impegno politico? Secondo lei quali peculiarità assume oggi la relazione fra cattolici e politica?

Come cristiani impegnati in politica questa pandemia ci ha riportato ai fondamenti del nostro impegno. Se pensiamo al dibattito sul “farcela da soli”, sul “prima noi” del sovranismo, la pandemia ci mostra che se non salviamo il sistema, il Paese, l’Europa, le relazioni fra i popoli e le economie crolla tutto. Allora abbiamo nuova forza per ribadire i nostri fondamenti come via maestra e tramite la sintesi della ricerca del bene comune. In ciò troviamo nuova linfa per l’impegno dei cattolici in politica.

Inoltre, la politica di questo nostro tempo è stata troppo leaderistica mentre da credenti abbiamo imparato che la politica si fa per il bene della comunità, coinvolgendo tutti e ricevendo forza da ognuno. Questo è qualcosa che va ripreso specie dopo che molti cristiani hanno preferito il volontariato sociale all’opera politica.

Intervista a cura di Rocco Gumina