di Alessio Amorelli

Si avvicina il primo maggio, la festa dei lavoratori. È un po’ di anni ormai che bazzico attorno ai temi del lavoro e ho pensato di usare questi giorni per fornire alcuni spunti riflessione. Il primo sembrerà una provocazione, ma forse non lo è. Diciamoci la verità, il primo pensiero di tutti sul primo maggio di quest’anno è che non c’è un cazzo da festeggiare. Non niente, nulla, una mazza, proprio un cazzo. Quest’anno se si pensa al lavoro viene subito da arrabbiarsi.

Non dovrebbe essere così. Il primo maggio serve innanzitutto a ricordare le conquiste dei lavoratori, a partire dalle 8 ore lavorative fino ad arrivare allo Statuto dei Lavoratori. È ancora una volta un esercizio di memoria, ricordare per conoscere chi siamo.

La ricorrenza è utile anche per interrogarsi sul futuro. Che prospettive ha il lavoro nel 2020 di fronte al rischio di una gigantesca depressione globale? Per molti giovani, quasi tutti direi, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato è una chimera. Il livello dei salari sta subendo una preoccupante stagnazione (ne parlavo qui https://thevision.com/attualita/stipendi-italia-futuro/). Il futuro, se possibile, fa ancora più paura.

Non è possibile lasciare un’intera generazione nello sconforto. Bisogna trovare una via di uscita, bisogna inventare il futuro. “Inventare il futuro” è il titolo di un libro di Nick Srnicek e Alex Williams che approfondisce il “Manifesto Accelerazionista” in foto.

Come dicevo in apertura, il contenuto può sembrare una provocazione ma vale la pena condividerlo con voi. Restando sul tema del lavoro, i due scrittori inglesi propongono di rivoltare il paradigma esistente. Sintetizzando il più possibile, si dovrebbe partire da una critica ragionata a quell’idea per cui soltanto il lavoro “nobilita l’uomo”. Negli ultimi decenni abbiamo visto troppe volte disapplicato questo principio. Persone costrette a lavorare in nero, stipendi da fame, patologie psicologiche derivanti da ritmi infernali. Una volta acquisita questa nuova consapevolezza collettiva, le istituzioni, i corpi intermedi e gli individui dovrebbero lottare per la piena automazione nei settori in cui è possibile fare a meno del lavoro umano. Se lo può fare una macchina, che lo faccia soltanto una macchina.

Condizione essenziale per la rivoluzione di cui sopra è l’istituzione di un reddito di base universale, da garantire ad ogni essere umano come diritto alla nascita. Reddito di consistenza tale da liberare l’individuo dal bisogno di lavorare. Vivere per le proprie passioni è un’aspirazione, non è un vizio. Il lavoro umano necessario a far funzionare la società sarebbe notevolmente ridotto. Questo lavoro andrebbe redistribuito equamente tra le persone più bisognose e/o appassionate e retribuito con salari esponenzialmente più alti di quelli esistenti oggi.

La provocazione che sto lanciando non si verificherà domani e nemmeno l’anno prossimo. Ma in un momento in cui vediamo tutto nero e incerto la prospettiva di un futuro diverso può aiutare.

E se la soluzione quando tutto sembra fermo fosse quella di “Accelerare”? Ai prossimi anni l’ardua sentenza.

Piccola nota a margine: se si dovesse verificare questo scenario, la mia professionalità subirebbe un duro colpo. In definitiva, si tratta di un discorso con i miei interessi più intimi. Ma quando si parla di politica e di società utilizzare i propri interessi personali per argomentare significa essere intellettualmente disonesti. Spero di non esserlo mai.