di Teresa Nigro

Pubblichiamo post e foto sui social, dove indichiamo le nostre preferenze politiche, il nostro orientamento sessuale e religioso. Compriamo online, facciamo ricerche sui viaggi da intraprendere o sull’ultimo modello di scarpe, scarichiamo app che controllano il nostro ciclo mestruale, app che conteggiano i km e i percorsi fatti durante la corsetta. Scarichiamo app che controllino altre app. Lasciamo tracce di noi ad ogni click, ad ogni cookie accettato, creiamo un nostro chiaro quadro online a volte senza esserne pienamente consapevoli.

In tempi di clausura forzata, lo smartphone è l’unica parvenza di pseudo vita sociale e la gente si riversa nelle piazze virtuali condividendo compulsivamente. Sappiamo con esattezza il menù enogastronomico di tutti, una sorta di highlight di Masterchef in chiave casareccia.

Il tutto scandito da ammorbanti test degli amici online: “Qual è il colore della tua anima?”, “Vuoi sapere il significato del tuo nome?”. Test esistenzialmente illuminanti che invadono la nostra homepage e dopo aver abbandonato l’idea di cancellare tutti gli amici perché altrimenti resterebbero solo le foto del tuo cane, ecco sorgere la fatidica domanda: Perchè?.

Perché c’è un’invasione massiccia di questi test che cercano di dare risposte alla natura recondita del proprio IO? Tra i vari attacchi di panico causati dalla scelta di una nuova serie tv e l’altra, la gente si annoia e la noia è un campo perfetto per chi vuole informazioni. Tutte queste app non sono innocue generatrici di risposte sulla propria personalità, hanno uno scopo specifico: avere i tuoi dati. Niente è gratis online, i social non sono un dono divino concesso gentilmente all’umanità per farla “socializzare”. Facebook, Instagram non sono gratis, li hai pagati con i tuoi dati. Una miniera d’oro digitale che fa gola a tutti gli inserzionisti, un database enorme che rispecchia la realtà.

Si regalano ingenuamente informazioni private, lista di amici, post, foto, dispositivi di accesso, ID di Facebook. Mentre condividiamo allegramente l’immagine del nostro volto invecchiato dall’app “Come sarai tra 40 anni?”, parallelamente ci indigniamo e protestiamo contro le oscurità che avvolgono l’app governativa “Immuni”, lanciata per il tracciamento dei contagi da Covid-19.

L’effetto borderline non aiuta. Il rischio di violazione della privacy è reale e richiedere maggiori tutele è un diritto, ma questo senso di diffidenza sarebbe utile ampliarlo.

Potete iniziare controllando a quali app avete dato i vostri dati su Facebook, ecco come fare:

  1. Cliccate sull’icona del menù e selezionate, in sequenza: “Impostazioni”, “Impostazioni dell’account”, “App” e “Accesso effettuato con Facebook”.
  2.  Vi troverete davanti la lista delle app usate accedendo con Facebook, divise tra “Condivisione con tutti”, “Condivisione con amici” e “Condivisione con solo io”, a seconda del tipo di accesso che avete concesso loro.
  3. Selezionando ciascuna app potete vedere nel dettaglio le informazioni a cui ha accesso, e, in alcuni casi modificarle, rimuovere l’applicazione dalla lista o segnalarla. Inoltre, potete impedire alle app, a cui avete dato l’autorizzazione, di inviarvi delle notifiche o pubblicare dei post per conto vostro.

And last but not the least è importante eliminare le app non utilizzate, bisogna fare attenzione quando permettiamo alle nuove app di accedere ai nostri dati e ricordiamo di eliminare i cookie.

Troppi passaggi noiosi? Forse, ma almeno le lotte contro la violazione della privacy avrebbero senso.