di Rocco Gumina

In poche settimane, la pandemia da Covid-19 ha innescato un processo di limitazione, paura e smarrimento in ogni componente della nostra comunità sociale, economica, politica e culturale. Il mondo della scuola è stato uno dei primi settori a subire un’emergenza imprevista capace di incidere tanto a livello organizzativo quanto sul versante emotivo e psicologico.

Nonostante ciò, il sistema scolastico non si è fermato. Infatti, la didattica a distanza ha avviato una serie di percorsi dai quali scorgere e ritrovare – al di là degli appesantimenti burocratici della cosiddetta normalità – una delle caratteristiche essenziali del mondo della scuola: la relazione educativa.

Di tale questione discutiamo con Cosimo Miosi, insegnante presso gli istituti superiori.

Se dovesse far riflettere i suoi allievi sul momento che viviamo quali tematiche solleverebbe?

Intanto, si sono diffusi alcuni modi di dire in questo delicato periodo che stiamo vivendo i quali rappresentano a parer mio una sorta di mistificazione della realtà, noi insegnanti ed educatori abbiamo il dovere di rivolgere l’attenzione alle parole. Le parole non solo descrivono il mondo. Le parole contribuiscono a crearlo. E agiscono. Agiscono su ciascuno di noi e ci portano ad agire, in un modo piuttosto che in un altro.

Dunque la “nuova relazione educativa” deve fondarsi innanzitutto su una operazione di verità linguistica. 

1) “Siamo in guerra”, non è vero e dobbiamo dirlo anche ai nostri ragazzi, la guerra è un’altra cosa. La guerra implica un nemico, credere di essere in guerra può generare sentimenti di odio, può giustificare comportamenti antitetici allo spirito di solidarietà di cui si ha bisogno, la guerra in fondo deresponsabilizza delegando a chi combatte (la prima linea, eccetera eccetera…). Qui siamo tutti responsabili.

2) “Siamo tutti sulla stessa barca”,anche questa è una falsità, non è assolutamente vero. Viviamo tutti lo stesso tempo delicato, siamo tutti dentro una tempesta, ma una cosa è trovarsi su una zattera e altra cosa è essere su uno yacht inaffondabile; le condizioni sociali, economiche, culturali in cui le persone si trovavano prima che tutto ciò si verificasse determina “il come” stanno affrontano questo tempo inedito e questo vale in particolare per la scuola. Sostenere che siamo tutti sulla stessa barca implica che stiamo soffrendo tutti allo stesso modo e che questo sia falso è sotto gli occhi di tutti.

3) “Questa è una grande occasione”,davvero possiamo definire una tragedia sanitaria come occasione? E in ogni caso dire che è un’occasione significa essere certi che cambieranno in modo radicale i paradigmi sui cui si fonda il nostro modello di sviluppo, davvero coltiviamo questo ottimismo ingiustificato? Pensare che è una grande occasione porta con sé il rischio che i cambiamenti in questo mondo globalizzato possano avvenire solo a causa di un agente esterno e dunque l’attenzione si concentra più sugli effetti che il Covid-19 può determinare piuttosto che sulle cause che hanno generato l’avvento del Sars-Cov-2, non è una questione filosofica, ma è il rovesciamento di un pensiero, non possiamo partire dagli effetti per cambiare, è necessario partire dalle cause.

– Alla luce dell’emergenza in atto, la didattica a distanza è l’unico mezzo capace di garantire il diritto costituzionale allo studio. Docenti e alunni non condividono un luogo fisico ma un nuovo stare insieme capace comunque di mantenere viva la comunità educante. Quali sono le caratteristiche principali di questa nuova relazione educativa?

Non voglio qui ripetere temi e argomenti che sono stati enunciati, proclamati, scritti e riscritti. L’emergenza ci ha “costretto” a fare di “necessità virtù”. La scuola autentica non può prescindere da un “corpo a corpo”, non può prescindere dal luogo e dallo spazio, perché quel luogo e quello spazio sono anche la dimensione dell’istruzione come servizio pubblico rivolto a tutti garantito dalla Costituzione. Penso che se questa emergenza si fosse verificata venti anni fa gli studenti nella stragrande maggioranza dei casi sarebbero stati abbandonati e invece questo non è successo, perché oggi abbiamo degli strumenti e delle infrastrutture tecnologiche che ci consentono di poter continuare a tenere in piedi il filo dell’insegnamento-apprendimento e a svolgere didattica a distanza.

Gli insegnanti hanno dato e stanno dando una grande prova di responsabilità, senso del dovere e continuano a svolgere la loro missione anche in situazioni di notevoli difficoltà. Non credo si tratti di una “nuova relazione educativa” bensì di un diverso e spero solo eccezionale modo di proseguire una relazione educativa già costituita, di continuare a pensarsi dentro una relazione che è sempre trasformativa poiché il rapporto nella relazione cambia i soggetti che la incarnano. Lo strumento deve restare tale e non divenire invasivo, non dobbiamo scambiare il mezzo con il fine.

Credo che in questo momento sia più che mai necessario far sentire alle studentesse e agli studenti che è importante fidarsi, noi di loro e loro di noi e ciò non significa cadere in una sorta di riduzionismo da “Bignami”, significa semmai rielaborare la proposta educativa individuando l’essenza dell’insegnamento che non è mai un nozionismo. Tuttavia vi sono molti rischi nella didattica a distanza.

 Per il Ministro dell’Istruzione, la didattica a distanza non è un adempimento formale ma un insieme di azioni capace di garantire la sostanza dell’insegnamento. È d’accordo?

In linea di principio sono d’accordo con questa frase espressa nella nota ministeriale del 17 Marzo scorso e che tuttavia non fornisce altre indicazioni operative utili allo svolgimento dell’attività di didattica a distanza.

Sono giorni di prova e si sa, le prove possono insegnare tanto e allo stesso tempo logorare. Siamo tutti, chi più e chi meno, dentro una sorta di bolla, attoniti ad attendere il concludersi di questa storia inimmaginabile. Mi sento un privilegiato. Non sono in prima linea, né svolgo un lavoro ritenuto “essenziale” (inevitabilmente e giustamente in tempi eccezionali), continuo a ricevere uno stipendio, posso starmene a casa al riparo ipotetico dall’infezione.

In questa presunta assenza di “essenzialità” trovo la didattica a distanza appunto “essenziale”, ci sta aiutando a tenere vivo il filo, a volte debole, dell’apprendimento e dell’insegnamento dentro la relazione e a spingerci nella riconsiderazione del nostro ruolo educativo nella società. In realtà la didattica a distanza, proprio a partire dalla frase sopra citata, ci interroga sulla sostanza dell’insegnamento, in cosa consiste esattamente questa sostanza? Qui si apre il dibattito che vede fronti opposti: chi continua nella sequenza lezione/assegno/controllo/giudizio e chi crede che invece la sostanza dell’insegnamento si configuri nella costruzione di una relazione educativa che porti ad una partecipazione e attivi il senso critico necessario per divenire autentici cittadini.

Tuttavia la sostanza dell’insegnamento può essere garantita in modo universale e autentico nei luoghi e negli spazi a questo predisposti, il rischio è la decomposizione del senso della comunità educante, benché sia vero che opera ed esiste anche fuori dal perimetro fisico, la scuola resta un luogo a parer mio in cui il processo di de-materializzazione si arresta, la “materia” della scuola è la persona. 

La didattica a distanza pare aver amplificato le fragilità del nostro sistema connesse non solo all’organizzazione e alle possibilità degli istituti scolastici ma soprattutto ai diversificati contesti sociali di appartenenza degli studenti. Infatti, non tutti gli alunni vivono in ambienti familiari in grado di sostenere l’apprendimento a distanza tanto per motivi economici quanto per problematiche sociali. Dalla sua esperienza, cosa ci può riferire su tale questione?

In Italia hanno interrotto la scuola 9.040.000 bambini/e e ragazzi/e e oltre 1 milione di bimbi/e dei nidi e dei servizi educativi della prima infanzia. Il rischio che la DaD possa ulteriormente scavare il solco della discriminazione economica, sociale e culturale è fortissimo. Sono convinto che questo contesto emergenziale possa far ulteriormente crescere le disuguaglianze, si veda l’allarmante rapporto ISTAT “Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi”.

Data questa situazione l’unica cosa da fare è pensare ad un massiccio investimento pubblico che tenda a mettere tutte e tutti nelle condizioni di poter essere raggiunti da questo modo di fare scuola, è inammissibile che alcuni bambini, adolescenti e anche studenti universitari non siano nelle possibilità di poter esercitare il diritto allo studio, naturalmente non mi riferisco solo alla possibilità di fornire alle studentesse e agli studenti tablet e strumenti informatici, ma soprattutto al contrasto alla povertà educativa che è un tema molto più ampio e complesso della povertà economica.  

Inoltre, credo sia necessario che il ministero si doti di una piattaforma e-learning e che questa possa essere utilizzata da tutte le scuole della Repubblica. Una piattaforma pubblica, statale, gratuita e omogenea. In queste settimane la scuola a distanza funziona perché il servizio è garantito molto spesso da multinazionali del web alfieri di una capitalismo della sorveglianza che a causa del Covid-19 sembra avanzare ancora più spedito.  

E la risposta dei ragazzi?

Dal mio piccolissimo osservatorio considero la risposta che arriva da parte dei ragazzi buona, nonostante la “reclusione”, vi è tanta consapevolezza, gli adolescenti, che spesso sono tacciati di superficialità, stanno mettendo in campo tutta la loro resilienza e una maturità nascosta.

All’interno del mondo della scuola è partito un dibattito legato alla valutazione degli studenti in questo nuovo scenario caratterizzato dalla didattica a distanza. Se valutare vuol dire attribuire valore nel processo di insegnamento-apprendimento pare opportuno continuare a valutare gli alunni. Condivide?

La risposta è insita nella domanda, valutare significa attribuire valore e non è sempre detto che l’attribuzione di valore debba essere espressa con un voto che sappiamo essere assai riduttivo e soprattutto rende plastico l’aspetto della misurazione, ma questa è una vexata quaestio, per cambiare tale sistema è necessario un rovesciamento di paradigma e interventi di riforma legislativi. Non si deve mai dimenticare che il verbo valutare viene dopo altri due verbi che sono apprendere e insegnare. Mi concentrerei di più su apprendere e insegnare e su come far partire in sicurezza l’anno scolastico 2020/2021.

A suo parere, cosa deve apprendere il mondo della scuola dall’emergenza in corso?

C’è tanto da apprendere, peccato che a insegnarlo debba essere una tragedia. Ecco, la prima cosa da imparare è che per cambiare le cose non dobbiamo attendere la prossima pandemia, anzi pensare che in questo multiverso globalizzato le forme di protezione collettiva in vista di fenomeni del genere vanno accresciute e consolidate, mi riferisco dunque alla forza dei sistemi pubblici (sanità, scuola, welfare, etc…).

Il mondo della scuola può apprendere che è essenziale formare generazioni che coltivino “ossessivamente” il rapporto equilibrato tra genere umano e natura, se impareremo a livello globale che questo equilibrio ha qualcosa di sacro forse ridurremo il generarsi di tali fenomeni. È indispensabile avviare nella scuola in modo serio e indifferibile una riflessione, attraverso contenuti e nuove discipline, su temi come la deforestazione, il cambiamento climatico, la densità di esseri umani in alcune aree del mondo, il rapporto tra risorse e popolazione, le disuguaglianze planetarie, il futuro delle città, e infine far convivere questo cambiamento con la democrazia e dunque con i diritti.

Tutto questo ci spinge a riconsiderare a partire dalla scuola la civiltà dello sviluppo. Ecco, su questo mi concentrerei e mi sembrano questioni che superino di gran lunga il tema della valutazione in decimi o meno.