di Luciano Zaami

Ogni giorno in più di pandemia alimenta finalmente il dibattito su quale mondo stiamo lasciando alle nostre spalle e su come sarà quello che dovremo ricostruire.
Punti di vista, opinioni e studi si susseguono, e tutti sono d’accordo sulla stessa cosa, il vecchio modello non è sostenibile, va ridiscusso e ripensato. Il problema è che spesso i cittadini capiscono meglio e prima quali siano le reali esigenze della società, se pensiamo per un attimo che questo mondo debba essere ricostruito dagli stessi leader politici che lo hanno distrutto, la nostra fiducia comincia a scemare, ma possiamo comunque immaginarlo e magari fare pressione sui governi affinché venga realizzato.

Il mondo che verrà potrebbe essere l’occasione per fermare il fenomeno dell’urbanizzazione.
Ancora oggi, come agli albori della rivoluzione industriale, migliaia di persone abbandonano le proprie città per spostarsi dove le opportunità sono maggiori, alimentando poi il fenomeno dello spopolamento di intere regioni, soprattutto di quelle del sud del mondo e del nostro caso d’Europa.

Ma se da un lato durante la rivoluzione industriale era necessario spostarsi là dove era presente la fabbrica, oggi gran parte dei nostri lavori sono di tipo intellettuale, legati al mondo dei servizi e del terziario.
Questa quarantena forzata ci ha fatto così scoprire il telelavoro, una chimera di cui si parlava da anni ma che non si è mai riusciti ad applicare per un concetto antico che vuole il dipendente presente nell’ufficio sotto l’occhio severo del padrone, che si sa, ingrassa il cavallo.

Adesso ci siamo accorti che quello che abbiamo fatto per anni stando in uffici grigi, in condizioni lavorative spesso non idonee, e con colleghi che qualche volta nemmeno amiamo, poteva essere realizzato tranquillamente da casa mantenendo gli stessi risultati.

Del resto, molti dei giovani che oggi emigrano finiscono per fare lavori, che con la giusta attrezzatura, potrebbero svolgere da qualsiasi altro posto.

Adattare quindi il nostro lavoro, dove possibile, a un mondo più connesso porterebbe solo ottimi risultati e finirebbe in una situazione win-win.

Dal lato delle aziende sarebbe sicuramente un vantaggio in termini economici, alcuni stipendi potrebbero essere abbassati e adeguati al tenore di vita del nostro Meridione visto che non dobbiamo più affrontare costi di affitti, bollette e tutto quello che consegue nel vivere in un grande metropoli.
Le aziende stesse potrebbero ricevere incentivi ad assumere personale attraverso il telelavoro. Infine sarebbe anche un risparmio nei costi di gestione di grandi sedi dove ogni giorno devono interagire centinaia di persone.
Ne beneficerebbero anche le città in termini di traffico, smog, servizi congestionati o altro.

Al Sud avremmo un effetto più che positivo. Migliaia di giovani non dovrebbero più emigrare, potrebbero quindi restare nelle loro città e grazie alla loro presenza, e soprattutto ai loro stipendi, ne gioverebbe tutto l’indotto, non solo le attività commerciali ma anche i paesi che resterebbero vivi.

L’impatto positivo andrebbe anche oltre, perché abbandonare il concetto di “luogo di lavoro” permetterebbe di vivere a pieno la nostra esistenza. Guadagneremmo tempo, quello spesso usato negli spostamenti da pendolari, potremmo decidere di lavorare da casa o dalla città nel mondo che più ci piace, potremmo coltivare e sbrigare contemporaneamente tante piccole cose che spesso rimandavamo al fine settimana, insomma, avremmo più tempo per noi, per i nostri affetti, e anche più tempo per reinventarci come persone nuove. Gli effetti positivi sarebbero molteplici, il vero peccato è non approfittare di questa opportunità che ci è stata data per trarre il meglio da una tragedia.

Chi potrebbe usufruire quindi del telelavoro? Molti, ma non tutti. Generalizzare sarebbe un male, ma almeno nel mio caso, e in quello di tanti come me che oggi vivono fuori dalla Sicilia, tornare a casa pur mantenendo il proprio impiego è una possibilità concreta e fattibile, serve solo un cambiamento di mentalità da parte del mondo del lavoro, perché la tecnologia ci ha dato già da tempo gli strumenti per non abbandonare più il nostro Meridione.