di Ivan Ariosto
A Dresda, nel cuore della Sassonia, qualunque visitatore può facilmente constatare che la gran parte degli edifici, che si intrecciano sul perimetro della città, è caratterizzata da linee architettoniche relativamente recenti. A pochi chilometri dal centro storico, sorge un ampio complesso fieristico, il Messe Dresden, inaugurato poco prima dell’avvento degli anni duemila. Il plesso è attorniato da piccoli edifici biancastri, tra i quali spicca quello che mostra – accanto alla porta di entrata dipinta in verde – una targa con su scritto «Schlachthof–Fünf», ovvero «Mattatoio n.5».
Proprio lì, nei sotterranei del vecchio mattatoio di Dresda, lo scrittore americano Kurt Vonnegut si rifugiò il 13 febbraio 1945, sopravvivendo a quello che gli storici chiamano «l’inferno di fuoco», al bombardamento alleato che rase al suolo la “Firenze del nord”, facendola inghiottire dalle fiamme per sette giorni e sette notti.
Ancora oggi non c’è certezza sul numero esatto di vittime civili.
«C’erano degli incendi fuori» – scrive Vonnegut – «Dresda era tutta una sola grande fiammata; quell’unica fiammata stava divorando ogni sostanza organica, ogni cosa capace di bruciare. Non fu prudente uscire dal rifugio fino a mezzogiorno dell’indomani. Dresda ormai era come la Luna, nient’altro che minerali, i sassi scottavano e nei dintorni erano tutti morti».
Anche (ma non solo) di questa vicenda, che segnò le sorti della Germania nazista nel secondo conflitto mondiale, tratta il suo romanzo più rinomato, intitolato appunto «Mattatoio n.5».
Nel libro, lo scrittore americano rivoluziona la classica struttura lineare del romanzo, descrivendo – con gli occhi del bizzarro protagonista Billy Pilgrim – frammenti della sua vita, saltando avanti e indietro nel tempo, senza un apparente nesso logico. Ci si trova di fronte ad una storia senza inizio e senza fine, senza buoni o cattivi; una storia eccessivamente frammentata, che lascia il lettore in un limbo di dubbi e incertezze.
Storicamente definito come un manifesto del pacifismo, in realtà Mattatoio n.5 è un racconto distopico, in cui l’orrore della guerra vissuto dal protagonista resta sullo sfondo, finisce per mischiarsi inscindibilmente con le sue paradossali vicende, tra matrimoni infelici e rapimenti alieni.
Vonnegut sembra sentire il bisogno di “diluire” il racconto dell’inferno vissuto a Dresda, con delle stravaganti vicende al limite tra il cinico e il grottesco, quasi come a non voler scendere nei dettagli di un massacro. Forse perché – come scrive lo stesso autore – «non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli. E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c’è da dire su un massacro, cose come “Puu-tii-uiit?”».
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