di Alessio Amorelli
Make America Great Again, Get Brexit Done, Prima gli Italiani. Le cronache degli ultimi anni disegnano le nostre società come preda di interessi egoistici, rappresentati da diversi nazionalismi diffusi a seguito delle crisi economiche, sociali, migratorie e securitarie dell’ultimo decennio. Gli stati nazionali sono sempre meno avvezzi alla cooperazione internazionale, l’Unione Europea e le altre organizzazioni internazionali sono ridotte a meri organismi contabili preoccupate soltanto di mantenere i bilanci in ordine. Ci siamo sentiti tutti un po’ più soli, tutti un po’ più arrabbiati verso lo straniero. Gli istinti più reazionari sono esplosi, dando voce ai sentimenti autarchici dei nostalgici del ventennio, ai veleni razzisti degli intolleranti.
Oggi, però, ci riscopriamo nudi. Siamo impotenti davanti ad un virus ormai pandemico, in grado di mettere in ginocchio il nostro Sistema Sanitario Nazionale. Si moltiplicano gli appelli a restare a casa, i flash mob dai balconi, si esalta il senso civico degli italiani. È il tentativo maldestro di nascondere l’egoismo di questi anni dietro un’iperbole di ottimismo. Minimizzare la sconvolgente corsa ai treni di chi si è spostato dalla zona rossa in piena emergenza. Far passare sottotraccia le oltre 7.000 denunce registrate in sole 24 ore per la violazione delle restrizioni imposte dal governo. Cercare di ribaltare maldestramente la narrazione sovranista che ha invaso la nostra comunità. È il tentativo di distaccarsi da una tossica rappresentazione della realtà. È un tentativo frettoloso, necessario, urgente. Anni di propaganda nazionalista non si cancellano in un giorno. Rimane comunque il dovere collettivo di uscire da questa fase per evitare che la rinascita successiva alla pandemia si trasformi in una dolorosissima caduta nel baratro.
Nessuno si salva da solo. Per preservare la salute dei nostri cari abbiamo l’obbligo morale di tenerli a debita distanza. Dobbiamo fermarci oggi per tornare a correre domani, senza eccezioni, nessuno escluso. Abbiamo bisogno degli altri, dal nostro vicino di casa ai produttori tedeschi dei macchinari per la terapia intensiva. La cooperazione tra Stati nazionali è fondamentale, la rifondazione di un Unione Europea delle persone e non dei capitali non è più rinviabile. Dopo anni di chiusura, un essere microscopico ci impone di aprirci, di fidarci, di rispettarci. Non lo impareremo subito, ma faremo bene ad impararlo presto.
Boris Johnson, il Primo Ministro che ha portato il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, ha detto ai suoi cittadini di “prepararsi a perdere i loro cari”. Non si tratta di un gerarca nazista. È la frase di chi teme un lunghissimo collasso economico e decide di scambiare vite umane con un ipotetico vantaggio competitivo sui mercati. Quando decidi di fare da solo, può capitare di aver paura di non farcela. Guardi le risorse a tua disposizione e ti chiedi se il gioco vale davvero la candela. BoJo è stato costretto a fare marcia indietro e sta emanando misure progressivamente più tutelanti per la popolazione britannica. Anche il più grande impero della storia moderna si sta rendendo conto che, in questo mondo iperconnesso, nessuno si salva da solo.
Ci aspetta una missione difficilissima, dagli esiti incerti. Saremo tutti chiamati a ricostruire dalle macerie. La riedificazione avrà successo se avremo interiorizzato che aiutare la comunità significa aiutare noi stessi. Dobbiamo sostituire i mattoni del sospetto, dell’egoismo, del nostro familismo senza morale, con le pietre della fiducia, dell’altruismo, dell’inclusione dei più deboli. La dimensione nazionale non è più sufficiente per garantirci benessere e sicurezza. La prospettiva europea è l’unico orizzonte accettabile. Per questo motivo sarà necessario fare fronte comune per costringere Bruxelles a trasformarsi profondamente. Per chiarire una volta per tutte che l’economia è al servizio delle persone, non viceversa. Dobbiamo farlo tutti insieme, perché nessuno si salva da solo.
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