di Rocco Gumina

All’inizio degli anni Novanta, un anziano – e ormai monaco – Giuseppe Dossetti sosteneva in modo assai arguto che la tragedia della seconda guerra mondiale avesse radicalmente mutato la storia dell’umanità tanto per la sofferenza generata quanto per l’urgenza di immaginare, pensare e percorrere modelli culturali, istituzionali, sociali e politici non più debitori alle visioni che avevano condotto al disastro.

Senza dubbio, almeno così pare finora, la pandemia originata dal COVID-19 non è per nulla paragonabile al disastroso periodo della seconda guerra mondiale. Tuttavia, sembra essere il primo grande evento – realmente globale – a mettere seriamente tutti in allarme al fine di tutelare sia la salute pubblica sia le sorti delle economie locali e internazionali. Insomma, la situazione creata dal Coronavirus potrebbe alla lunga risultare un’occasione, per l’intera umanità, di ripensare se stessa e il suo modo di organizzarsi tramite istituzioni, organismi e costituzioni. Così, mentre si cerca di comprendere e arginare i reali rischi della crisi e i costi umani e sociali che emergeranno, abbiamo la possibilità di cominciare a ragionare sul futuro alla luce di un possibile capovolgimento dell’ordine di tutte le cose. Sì, ma verso dove e a partire da cosa?

In piena crisi economica e sociale post seconda guerra mondiale, il sindaco di Firenze Giorgio La Pira – rivolgendosi al ministro della difesa Pacciardi – affermava: «c’è da salvare la fiducia nella democrazia». La linea di partenza per avviare un radicale ripensamento deve essere ben chiara, tracciata e visibile a tutti: salvare, e ove possibile migliorare, il nostro sistema democratico. Ciò avverrà se tutte le democrazie riusciranno ad assumersi la responsabilità delle comunità coinvolte senza isolare o scartare nessuno.

A monte di tale prospettiva risiede una concezione delle istituzioni statali, e internazionali, assai distante da qualsivoglia a-finalismo. Infatti, come mostra in modo indubitabile la crisi che attraversiamo, le istituzioni di qualunque grado sono invitate a condurre le comunità verso il bene comune il quale deve essere, con il concorso libero dei cittadini singoli e organizzati, difeso, promosso e sviluppato. Allora si tratta di ribadire, ancora una volta, che i sistemi democratici sono chiamati ad impegnarsi non solo a garantire il libero mercato ma soprattutto, specie nei momenti di crisi, a colmare le ingiustizie, a superare i dislivelli, a creare le condizioni affinché ogni uomo, per dirla con Aldo Moro, sia: «presente e conquisti la sua parte di beni secondo giustizia».

Se l’impegno a salvare la fiducia nella democrazia, o meglio di un certo modo “sostanziale” d’intenderla, è la linea di partenza per avviare – attraverso la crisi – un capovolgimento dell’ordine di tutte le cose, il passo successivo è rappresentato dalla comprensione della fraternità non più in chiave esclusivamente volontaristica bensì come parte costitutiva dei poteri pubblici. Difatti, l’attuale emergenza attesta – qualora fosse ancora necessario – che le istituzioni non possono essere fondate su legami stipulati fra “caini”, cioè fra individui interessati solo alla tutela della propria salute, ricchezza, posizione sociale, bensì fra fratelli convocati a relazionarsi alla luce del bene proprio e altrui e, quindi, a partorire una comunità umana libera, giusta e fraterna.

Per far ciò, bisogna avviare tutti quei processi capaci di concepire una nuova coscienza politica soprattutto fra i giovani i quali – dinanzi al disorientamento, allo scoramento e alla balbuzie morale e intellettuale di molti adulti in questo periodo di emergenza – sono invitati a percorrere, con la propria responsabilità, vie nuove. Si tratta di rispondere all’appello di una missione trasformante da compiere al fine di prospettare, alimentare e rendere operative, visioni nuove gravide di un nuovo umanesimo volto tanto a relativizzare il potere economico e quello politico quanto a reinterpretare in chiave umanistica le istituzioni.

Come diversi analisti hanno già affermato, nel cuore della crisi bisogna attivarsi non solo per fronteggiarla ma anche per intraprendere vie possibili per il futuro. È questo il nostro compito affinché non resti soltanto il doloroso, e al contempo strano e inaspettato, ricordo di una quarantena.